Immagini di sinodalità – 2

In questo rinnovato cammino sinodale speriamo che adulti inclusivi e aperti sappiano discernere competenze, capacità, passioni e buona volontà...
23 Maggio 2022

In conclusione dell’articolo precedente ci siamo chiesti «che fare?» nei confronti di una Chiesa che potremmo paragonare a un’automobile ormai ferma e “in panne”. Per provare a rispondere, cominciamo con l’affermare la necessità, innanzitutto, di cambiare prospettiva, di uscire dal proprio «piccolo mondo (sempre più) antico» – che ormai è sempre meno abitato, meno fecondo e meno capace di «restare in piedi» (cf. Mc 3,24-26) – e volgere lo sguardo all’esterno. È la famosa «chiesa in uscita», che con umiltà (e senza pretendere) chiede un aiuto per farsi “spingere”, per infonderle quell’energia che sembra aver perso, perché in fondo è proprio questo ciò di cui ha bisogno: riscoprirsi popolo di Dio, comunità di fratelli e sorelle con una spirituale (in senso forte) ricchezza di carismi e di ministeri, e non un’istituzione gerarchica, burocratica e arrugginita. Ecco quindi il senso della sinodalità: non semplicemente (e questo dovrebbe essere ormai chiaro) una chiesa che «fa sinodi», ma una chiesa che «è sinodale», che cammina insieme come un solo corpo il cui capo è Cristo.

Come raccordare, allora, i due discorsi fin qui condotti, il primo di stampo più paolino e il secondo più narrativo? Innanzitutto, la dinamica che si vuole mettere in luce è la medesima: «i molti» sono al servizio «dell’uno», e questo uno è la comunità ecclesiale che noi aiutiamo o, meglio, che noi stessi siamo: testimonianza nella storia e nel mondo del messaggio di salvezza che Dio ci ha ultimamente rivelato in Gesù per mezzo dello Spirito (cf. Eb 1,1-2). Come afferma lo stesso Paolo: chiunque entri in contatto con la comunità riunita dev’essere in grado di affermare: «Dio è veramente fra voi!» (1 Cor 14,24). Vi è però anche un punto di divergenza tra le due narrazioni, un dettaglio piccolo ma decisivo, ed è proprio qui, ritengo, che si gioca il futuro o quantomeno un aspetto imprescindibile di questo cammino sinodale. Nell’immagine “stradale” che abbiamo tratteggiato a grandi linee, «i molti» necessari e riavviare il “motore” ecclesiale sono un tutto indistinto, e così spesso viene interpretata la volontà di papa Francesco di richiamare e interpellare tutti i fedeli nel cammino sinodale, come un tutto indistinto.

Ben diversa, invece, sembra essere la prospettiva paolina. Anche in questo caso vi sono diversi carismi, diverse parti del corpo, diversi ministeri ecc., ma questi sono ben chiaramente definiti, mettendone in luce la diversità e la complementarietà. Non ci troviamo di fronte a un tutto generico, vario o imprecisato. In altri termini, sinodalità si ricollega a ministerialità e più generalmente fraternità-sororità, non a uniformità. Senza voler dilungare troppo il discorso, “essere uguali” ed “essere fratelli e sorelle” non sono assolutamente sinonimi. Nel primo caso, si afferma un’uniformità pressoché impossibile da ottenere (di fatto siamo tutti diversi, salvo ricadere in una babelica dittatura dispotica, come ci viene narrato in Gen 11). Nel secondo caso, ci si riconosce come individui singoli e irripetibili di fronte all’origine (questa sì, unica) che tutti allo stesso modo ci vuole, ci crea e ci custodisce; in una parola, ci ama. Similmente, il discorso di Paolo richiama il fatto che come comunità, come popolo di Dio, come chiesa, non siamo un amalgama indistinto di persone, fino ad oggi diviso in sé tra “clero” e “laicato”. Il tutto è molto più complesso, più ricco e più fecondo. E proprio questa ricchezza chiede di essere considerata nel momento in cui si decide di interpellare questo unico popolo. Diversamente, per tornare all’immagine utilizzata, c’è il pericolo che qualcuno spinga in senso “opposto” a dove la macchina dovrebbe andare, che qualcuno ci metta troppa foga e rischi di calpestare chi fa più fatica, che si avanzino delle pretese a seconda dell’impegno che si è messo per far ripartire il motore ecc.

Insomma, il passaggio da una chiesa piramidale e gerarchica, dove qualcuno (solitamente pochi, anziani e alieni dalla vita reale) decide a nome di tutti, a una chiesa radicalmente sinodale, non può avvenire invocando un “colpo di spugna” in nome della democrazia (che a sua volta, anche in campo politico, sta rivelando i proprio limiti) e all’insegna di uno sterile indifferentismo (chiediamo a tutti, “spariamo nel mucchio” e qualcosa ne uscirà). La ricchezza che lo Spirito ci dona dev’essere riconosciuta, tutelata e custodita, avviando quindi un’opera di discernimento che sappia riconoscere le competenze, le capacità, gli interessi, la buona volontà, la preparazione… propri di ciascuno, e partendo da qui condurre insieme un vero cammino di conversione pastorale ed ecclesiale. Un adulto che, per mostrarsi inclusivo, aperto e disposto ad affidarsi, si lascia guidare in una situazione di smarrimento da un bambino di pochi anni, lasciando che sia questi a decidere la strada da percorrere, non è un paladino della libertà o un modello di condivisione; è semplicemente un irresponsabile, pericoloso per sé e per l’altro.

Per usare un’ultima immagine, speriamo che in questo nuovo capitolo appena iniziato dell’unico cammino della storia ecclesiale non si cada “dall’altre parte del cavallo”, ma si riesca a stare saldamente in sella, come popolo che, avendo ritrovato una vera comunione, è capace di “tenere le redini” di questo dono che, in ultima istanza, non è un suo possesso, ma gli è stato affidato e, pur in mezzo a tante difficoltà, sta cercando di ricondurlo con gioia e convinzione a colui che gliel’ha affidato, colui che con pazienza sta aspettando di vederlo da lontano per potergli correre incontro, abbracciarlo e baciarlo (cf. Lc 15,20).

 

3 risposte a “Immagini di sinodalità – 2”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    …compito dunque molto gravoso quello dell’educatore a trasmettere scienza e sapienza e anche far conoscere he cosa significa amare. Se il catechismo è un “corso” e non vita vissuta a ricevere ideali sicuri sui quali il bambino avverte certezze, se non apprende e vive l’amore, il rischio è che questo non lasci traccia . La società si è evoluta nel creare un mondo di cose, introducendo dei valori che si comprano e vendono; la comunicazione digitale isola se la persona naviga senza avere un preciso interesse. se e riempire il suo vuoto; e cosa questa anche da considerare come facente parte i un uso positivo delle cose, aspetto che andrebbe trattato a difesa di come saper riconoscere i mali che oggi sono molto insidiosi.e come e perché evitarli, è un compito, una cura. Conoscere la Parola Gesù, Gesù, ma anche le opere di Belzebu’

  2. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Secondo una mia percezione e a partire proprio da : se un adulto si lascia guidare da un bambino assecondandolo nei desiderata in nome di libertà, è irresponsabile . Da quello che si vede però, sembra proprio he oggi sia così, quasi un non volersi far carico del ruolo di educatore,mancando anche in comunicazione e quindi un rapporto già on un vuoto tra famigliari ma anche on coloro che all’esterno, scuola e chiesa se compresa, sono l’ambito di comunità dove il bambino abita.In tal modo appare che il bambino è lasciato a se stesso, diventa ripetitivo di ciò che vede e sente, senza aiuto a ragionare, essere conosciuta la sua persona. Perciò si vedono bambini che mangiano e dormono, assecondati in ciò che vogliono, accontentati in tutto quanto il mercato offre, anzi dipendenti tutti di come fa e pensa la collettività, comunità, un vivere ognuno nteressato più che donare custodire una propria libertà.Manca l’amore per il donare, che è diverso dal “dare”.

  3. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    Lucido
    Sintetico ma aperto.
    Solo una ?
    Ma quel bambino non potrebbe essere depositario di karisma?
    PS
    Imo ripartire dal basso.
    Aggregazioni autonome nel territorio da cui gair uscire Tutto
    Anche i Vescovi

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