Il virus aguzza l’ingegno

L'emergenza ha svuotato le chiese, ma ha sviluppato la creatività liturgico-pastorale. Con soluzioni che non dovranno essere dimenticate non appena terminato il contagio.
9 Marzo 2020

«Ecco ora il momento favorevole»… Forse aveva proprio ragione l’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini ad esortare a cogliere la crisi del coronavirus come un’occasione.

La necessità aguzza l’ingegno. E infatti, almeno dal punto di vista della «creatività liturgico-pastorale», non posso fare a meno di annotare quanti sacerdoti o vescovi e Chiese locali abbiano cercato di trovare rimedi al divieto o sospensione delle messe, generando così di fatto una varietà notevole di proposte di cui si potrà tener conto anche quando tutto tornerà “normale”. Ecco un elenco parziale delle iniziative sviluppate:

  • Tenere aperto in chiesa un piccolo spazio per la preghiera personale
  • Celebrare i funerali all’aperto, per permettere la più vasta partecipazione.
  • Seguire la messa in diretta streaming, magari recitando insieme alcune preghiere
  • Supplire pregando a casa propria, da soli o (meglio ancora) in famiglia
  • Subire il “digiuno eucaristico” come pratica quaresimale, ma anche come opportunità per affrancarsi dall’abitudinarietà liturgica e magari tornare ad avere una diversa «fame» della comunione.
  • Approfittarne per approfondire il contatto, la meditazione, lo studio della parola di Dio, altro modo di Dio per essere realmente presente
  • Celebrare per gruppi contingentati: un felice ritorno delle «eucarestie domestiche» di post-conciliare memoria…
  • Fissare orari in cui si distribuisce la comunione (rigorosamente sulle mani…) ai singoli fedeli che si presentano in chiesa

Sicuramente i lettori potranno aggiungere altri elementi all’elenco. Da parte mia, senza voler discutere del valore più o meno maggiore dell’una o dell’altra proposta, e nemmeno pretendere che nessuna di esse possa sostituire la messa domenicale (ma d’altra parte senza neppure degradare queste iniziative al puro rango di “surrogati”…), pongo alcune osservazioni, sempre per punti:

  • come mai per dare sfogo a questa libera e ortodossa creatività pastorale abbiamo dovuto aspettare il coronavirus? Forse che le abitudini, la mitica “tradizione”, sono anche un rifugio tanto rassicurante da farci addormentare sul «si fa così» e basta?
  • la messa è importante, fondamentale, ma non è l’unico “modo” possibile. In teoria lo sapevamo già, in pratica… Ricordarlo potrebbe essere importante soprattutto per i casi di catecumenato adulto, per i famosi divorziati risposati, per altre situazioni in cui si richiede una gradualità di accostamento all’eucaristia.
  • l’Amazzonia siamo anche noi, e viceversa. Ovvero: quando avremo clero insufficiente, queste sono alcune delle risposte possibili. E d’altra parte, se in Amazzonia (o in tante altre contrade del mondo) si praticano queste alternative, non è impossibile essere cristiani
  • infine: molte di queste pratiche possono essere “officiate”, in maniera del tutto cattolica, da laici e laiche…

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