Il rosario vietato ai minori?

Ancora sulla difficoltà di valorizzare la tradizionale preghiera a Maria. Ecco alcuni tentativi riusciti con i ragazzi e anche con i giovani
2 Maggio 2011

Le lunghe sere di maggio sembrano regalate apposta per far uscire il rosario dalle chiese. Attorno ai capitelli dei rioni o delle frazioni gli anziani rivivono così un momento dei loro anni giovanili – quando il ritrovo vespertino favoriva pure timidi approcci con l’altro sesso – e fra tanti capelli bianchi c’è anche qualche ragazzino che gusta un dopocena speciale in cui poter reggere l’altoparlante al parroco.
Molto meno facile proporlo agli adolescenti, ai quali il rosario non va giù: “che rottura…”, tagliano corto, in fuga da una ripetitività incomprensibile. I più critici lo rifiutano come conferma di una fede formale se non masochista, “roba da vecchi “, i più attenti al linguaggio mettono al rogo la terrificante preghiera conclusiva “preservaci dal fuoco eterno”. E i genitori possono ben fare da pompieri, riportare alla centralità cristologica, spiegare cosa significa riconoscersi “come esuli figli di Eva, gementi e piangenti”. “…In hac lacrimarum valle” chiosano i ragazzoni che a scuola debbono masticare un po’ di latinorum.
Dunque: è davvero proibitivo riproporre ai minori questa recita (ecco, il verbo sbagliato: recitare il rosario!), attualizzare la “catena dolce” come preghiera comunitaria – storicamente presente anche in altre confessioni religiose – che non è mai passata di moda?
Qualche catechista ci è riuscito: a maggio la recita del rosario affianca o sostituisce l’incontro settimanale di catechesi con una modalità innovativa, attenta a valorizzare tre chanches poco considerate: la preghiera (in tempi in cui non è facile “fermare” i ragazzi), l’annuncio (centrato sull’ascolto della Parola e sui misteri della vita di Gesù), la crescita comunitaria (che offre un richiamo infrasettimanale alla convocazione domenicale).
Cosa fanno di speciale questi bravi genitori-catechisti? Oltre a scegliere in paese qualche capitello in cui sostare recuperando i significati tradizionali di quella dedicazione, modificano anche la modalità: i cinque canonici misteri non vengono frettolosamente enunciati, ma introdotti ampiamente dalla Parola di Dio, da una breve riflessione sul brano del Vangelo, con tanto di impegno ripreso nella preghiera relativa.
In mezzo, per ogni mistero, tre o cinque sole Avemarie: non è d’obbligo recitarne dieci e questa variazione (talvolta incompresa dai nonni, che si fermano in chiesa a “completare” il rosario) aiuta a capire che la preghiera non è mai un fatto quantitativo. Si punta sulla “qualità”, sulla capacità di far passare i significati, di far contemplare i passaggi centrali dell’incarnazione di Gesù.
Ben lontani insomma dalla contabilità o da quell’atteggiamento retributivo, talvolta incentivato (forse involontariamente) dal parroco che premia con un fioretto-bollino colorato la partecipazione al rosario, neanche fosse una penitenza superata.
E i giovani? Anche loro possono ritrovare il rosario, non solo alle GMG. Invece che noiosa, quella ripetitività da sgranare può risultare efficace, certamente più semplice e comprensibile a tutti – “Ave Maria, Santa Maria, così sia” non ha quasi la cadenza sintetizzata degli sms? – rispetto a certi intellettualismi spirituali di cui infarciamo i nostri predicozzi di adulti. E in fondo anche i canoni modulati a Taizè – così graditi da tanti giovani di tutto il mondo – si reggono sulla ripetizione continua, sul “battere il chiodo” della lode o dell’invocazione…
Il rosario “rinverdito” viene talvolta arricchito dalla citazione di qualche santo più vicino ai giovani (e sfrondato quindi di qualche Ave Maria) e funziona ancora meglio quando le parole devono lasciare spazio al ritmo dei passi e della strada silenziosa, come in certi affollati e apprezzati pellegrinaggi a piedi che – non solo a maggio – riescono ad appagare ancora tanti giovani.
Ma non è solo questione di modalità il trovare equilibrio fra tradizione e nuovo annuncio, preghiera di popolo e ricerca personale. Come evidenziato anche la settimana scorsa dai commenti a “Mira il tuo popolo…” di Roberto Beretta, in gioco c’è anche la responsabilità degli annunciatori di presentare Maria ai giovani non come un’immagine eterea in salita o in discesa dalle pale degli altari, ma “giovane donna” nostra coetanea, esempio “raggiungibile” di una ragazza che si lascia interrogare dalla chiamata di Dio, vi risponde con scelta coerente e fedele.

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