I sacerdoti stranieri in ‘servizio estivo’ e le nostre parrocchie

In estate spesso i sacerdoti stranieri garantiscono i sacramenti nelle nostre comunità: servizio prezioso, ma ci sono delle criticità da tenere presente.
29 Luglio 2020

Nel tempo estivo, ormai da anni, molte delle nostre parrocchie vedono la presenza di sacerdoti stranieri, spesso giovani studenti a Roma che, nei mesi di sospensione delle lezioni, prestano la loro opera pastorale nelle varie comunità, permettendo così ai parroci di godere delle proprie vacanze.

Questo servizio è senz’altro prezioso, perché garantisce celebrazioni che altrimenti non ci sarebbero e consente ai sacerdoti residenti di vivere un periodo di riposo. Tuttavia vi sono alcune criticità, che è bene mettere in luce e che potrebbero portarci a riflettere su quale parrocchia incontriamo in estate (ma, a ben vedere, anche durante l’anno, perché in estate si manifestano forse tendenze consolidate).

La prima difficoltà riguarda la lingua: spesso il giovane sacerdote straniero non conosce bene l’italiano. È una questione su cui si è espressa anche la CEI riguardo a una situazione simile, ossia quella dei sacerdoti provenienti dalle ‘terre di missione’ che permangono in Italia per diversi anni: a riguardo, la Conferenza Episcopale richiede il conseguimento del livello A2 di conoscenza dell’italiano, che è comunque un livello basso. Si tratta di una conoscenza linguistica assai approssimativa. Per l’importanza del servizio che i presbiteri svolgono (pensiamo alle confessioni), almeno il livello B sarebbe necessario.

I giovani sacerdoti che troviamo durante la vacanze conoscono spesso poco e male l’italiano; fino a quando si tratta di leggere il Messale, può andare bene (basta forse un po’ di allenamento); ma quando si tratta di predicare (pure con l’omelia scritta) la comprensibilità delle parole viene fortemente minata, la capacità linguistica del celebrante è messa alla prova, così come la pazienza dei fedeli. In questo caso non sarebbe meglio che l’omelia venisse omessa o affidata a un laico formato?

Seconda questione: l’inculturazione del sacerdote. Anche qui può capitare che il giovane sacerdote abbia una sensibilità e una cultura parecchio differenti da quelle italiane. Si dirà: è una ricchezza lo scambio di sensibilità. Questo è vero, ma il tutto deve essere ben preparato, armonizzato, inserito in modo intelligente nei diversi contesti. Altrimenti si creano fratture o indifferenze.

Anche in questo caso non sarebbe meglio affidare la predicazione a laici formati?

Terza questione: la conoscenza delle persone. Anche in estate si celebrano i sacramenti, anche in estate si celebrano i funerali. Ad esempio, per un fedele può essere di conforto, nel momento del dolore e del congedo da un proprio caro, avere qualche parola di consolazione dal sacerdote che conosce il suo gregge. Al contrario, un prete che parla male italiano e che non ha alcuna conoscenza del contesto relazionale in cui è arrivato (e che magari ha poco interesse a conoscerlo, trattandosi di un servizio molto breve) può realizzare un congedo molto più anonimo e sterile.

Pure qui, non sarebbe meglio affidare le recita del rosario, il momento della preghiera, l’omelia del funerale a laici formati (come già accade in qualche parrocchia quando manca il sacerdote)?

Quarta questione: che conoscenza abbiamo del sacerdote che arriva, a parte qualche rassicurazione generica, qualche informazione raccolta, magari a Roma?

Sempre la CEI, in relazione ai presbiteri che si fermano più anni, ha fornito un ‘modulo di dichiarazione di buona condotta’ che il vescovo del presbitero deve fornire alla diocesi ospitante, con alcune rassicurazioni e anche indicazioni riguardanti il sacerdote. Esiste qualcosa di simile anche per i sacerdoti in ‘servizio breve’?

Ricordo un brutto episodio capitatomi l’anno scorso in vacanza: un sacerdote di origine africana, a fine messa, ha fatto un severo rimprovero perché le offerte nel cestino erano poche, dicendo che la domenica dopo avrebbe contato i soldi all’offertorio, prima della consacrazione…

Non voglio generalizzare: ci sono sacerdoti non italofoni che parlano bene l’italiano, che svolgono il proprio servizio con passione e dedizione anche se per una manciata di giorni. Tuttavia vi possono essere delle criticità destinate ad aumentare stante il numero calante dei sacerdoti italiani, criticità che andrebbero affrontate.

In fondo, però, mi pare che sotto questo ‘servizio temporaneo’ si nasconda ancora una visione molto clericale della parrocchia, con il sacerdote al centro e i laici ruotanti attorno a lui.

Peraltro, a dire il vero, non mi pare che la recentissima nota della Congregazione per il Clero sulla Conversione pastorale della comunità parrocchiale dia una direzione diversa: non a caso, infatti, è ribadito che solo ai ministri ordinati compete l’omelia domenicale. Così come la responsabilità giuridica ed economica della parrocchia.

Quindi, anche se in un italiano stentato, ascolteremo ancora – e sempre – omelie presbiteriali, perché ancora vige il modello tridentino. Anche se la parrocchia è ‘in uscita’.

7 risposte a “I sacerdoti stranieri in ‘servizio estivo’ e le nostre parrocchie”

  1. Domenico Marino ha detto:

    Per anni abbiamo avuto la “grazia” di avere sacerdoti stranieri in parrocchia e la cosa più bella che mi sento di dire, che superata la differenza legata all’uso della lingua italiana, tutto il resto è stato sempre un dono che il buon Dio ha voluto elargirci nella gratuità. Non abbiamo mai fatto una questione del loro italiano, anzi, in qualche occasione, siamo stati proprio noi ad offrire la nostra disponibilità, a fare loro scuola insegnando la nostra lingua e ciò è stato un’opportunità in più per farci comprendere che “che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio”. Alcuni di loro, hanno fatto ritorno volutamente negli anni, proprio per l’accoglienza che hanno avuto modo di vivere nel tempo che sono stati tra noi e con noi e nel momento in cui hanno completato gli studi teologici, e sono ritornati nei loro paesi d’origine, la storia è continuata e continua.

  2. Luca Gentili ha detto:

    L’omelia non è un bell’esercizio di esegesi biblica di tipo accademico o divulgativo. È l’espressione liturgica di una vita che si spende per la comunità, è una “masticazione” della Parola di Dio, che tale deve rimanere, fatta per la comunità da un ministro ordinato al bene della comunità.
    È triste che per trovare soluzioni al problema linguistico si parli di laici formati e non dei diaconi, ministri ordinati in continua crescita (anche in Italia) e di cui la Chiesa (dagli altri gradi del clero ai laici, come è evidente in questo articolo) fatica a leggere il senso profetico. Chiediamo vocazioni, lo Spirito manda diaconi e continuiamo a pensare che non ci siano vocazioni. Non si può continuare a pensare al rapporto laici-preti in modo (questa volta sì, davvero) tridentino, lasciando queste risposte nel limbo della nostra distrazione.

  3. Dario Busolini ha detto:

    Se parliamo di sostituzioni estive queste osservazioni mi sembrano eccessive: per poche settimane ci si può adattare all’italiano stentato e se si riconosce al parroco il diritto ad andare in vacanza in estate questo lo dovranno avere pure i “laici formati” e le loro famiglie, per cui la proposta non mi pare concretamente fattibile. I problemi, invece, si pongono quando le parrocchie sono affidate a stranieri per tutto l’anno, in questi casi forme di sostegno, anche per l’omelia, un percorso stabilito per l’integrazione linguistica e culturale e qualche verifica periodica sarebbero necessarie. Ma comprendo quanto non sia facile: il vescovo che riceve i sacerdoti da fuori sa di godere di un aiuto che potrebbe non aver più ponendo troppe condizioni e alle diocesi di provenienza non fa certo piacere perdere i sacerdoti che mandano a studiare a Roma.

    • Stefania Manganelli ha detto:

      Siamo nel mondo ma non siamo del mondo. La Messa è passaggio, ricongiungimento, per mezzo di Cristo, al Padre. In estate, inverno, primavera ed anche in autunno… devo essermi persa qualche passaggio del Vangelo in cui si parla di vacanze come interruzione/pausa/intervallo nella vita da figli di Dio in Gesù!

      • Dario Busolini ha detto:

        Ovviamente mi riferivo all’appuntamento con la messa in parrocchia, cui celebrante e fedeli possono mancare se si trovano altrove, non alla Messa in sé che resta irrinunciabile. Gesù, certamente, non ha mai parlato di periodi di pausa nella vita da figli di Dio ma credo abbia riconosciuto più volte che ogni tanto c’è bisogno di staccare, in primo luogo per poter pregare un po’ ma poi anche semplicemente per riposare (per es. Mc 6, 31).

  4. Stefania Manganelli ha detto:

    3 anni fa (io e altri 2 adulti laici) accompagnammo un gruppo di ragazzi 16-17 anni a una camminata sulla Via Francigena, inserita in un bel percorso di accompagnamento. Arrivati a Monteriggioni la domenica mattina andammo a Messa: un giovane prete africano con un italiano scarsissimo rovinò completamente la celebrazione, arrecando evidente scandalo (intralcio, inciampo) ai ragazzi. Parlandone poi con il mio Vescovo, lui si dimostrò ben più preoccupato di difendere il prete che di ogni considerazione in merito ai ragazzi. P.s.: ho usato il passato remoto solo per correttezza linguistica, ma purtroppo è ancora il presente!

    • Elisabetta Manfredi ha detto:

      Cara Stefania leggo solo ora la tua testimonianza. Che il vescovo difenda il pastore e non tuteli il gregge é paradigmatico del clericalismo. Il clero cattolico fa ció che vuole senza rendere conto a nessuno. Il popolo di Dio non ha diritti, neanche quello a una messa decente. Di sacerdoti stranieri incapaci di comunicare efficacemente in italiano ce ne sono tanti e ce ne saranno sempre più. Educati in seminari che del Concilio non hanno neanche sentito parlare, presumono spesso di fare corsi biblici e catechesi per adulti, e i vescovi felici perché hanno ‘tappato un buco’ e ci sarà una messa in più in diocesi, la sua qualità sia quella che sia.
      Forse esagero ma mi ricorda l’orchestra del Titanic, con la differenza che loro sapevano che la fine era imminente…
      Sull’accountability, la responsabilità e il controllo del clero ha parlato molto bene e chiaramente Serena Noceti ieri al seminario del Coordinamento Teologhe Italiane. Si ascolta su fb e you tube.

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