Avevo cercato di descrivere qui i possibili scenari del conclave. Adesso, credo, ci sia la possibilità di ipotizzare ciò che è accaduto, partendo da quegli stessi presupposti, pur ammettendo che la mia è una ricostruzione basata su pochi indizi concreti, interpretabili anche in altri modi, ma che spiegherebbe molto di ciò che si sta già vedendo.
Le congregazioni pre conclave dei cardinali hanno visto centrare le discussione soprattutto su questioni interne alla Chiesa, come ovvio che sia. E le due tematiche che, sembra, abbiano tenuto banco sono state l’unità della Chiesa e la sinodalità. La prima con una attenzione particolare alla ricomposizione della frattura tra Francesco e la Chiesa nord americana, la seconda, connessa alla prima, nel tentativo di garantirsi che la sinodalità vada avanti, ma senza aprire fratture ulteriori.
Sembra, poi, che negli ultimi due giorni i cardinali abbiano cercato di individuare chi potesse essere il nome che maggiormente poteva raccogliere consensi su quei due temi. E qui, probabilmente, c’è stata la mossa di una parte dell’episcopato del nord America, quello meno “anti” Bergoglio, di offrire la candidatura di Prevost. Questa avrebbe trovato molto consenso nell’area moderata sulla base di un patto con i nord americani, chiedendo al futuro papa la garanzia dell’unità della Chiesa e una certa quota di continuità sul tema della sinodalità. Patto garantito, agli occhi dei moderati, dalla biografia di Prevost, come uomo nato e cresciuto tutto dentro l’istituzione ecclesiastica (fin dai 14 anni!) e, nello stesso tempo, voluto da Francesco in un dicastero chiave, come quello dei vescovi.
Con questo accordo e il relativo nome, sono entrati in conclave. Nella prima votazione, questa nomina è apparsa subito molto consistente, superando già Parolin ed Erdò, gli altri due più votati. A questo punto, è altamente probabile che chi dall’area moderata votava Parolin, si sia spostato su Prevost (della stessa area), visto l’impossibilità di fare papa lo stesso Parolin. Così la seconda votazione, probabilmente, ha visto alzarsi i consensi su Prevost, ma senza ancora raggiungere il quorum.
Segno del fatto che la somma di quasi tutti i moderati e dei nord americani meno estremi, non arrivava a 89 voti. Ma se, come rivelato sabato, Prevost è stato eletto con più di 100 voti, deve essere intervenuto qualcosa tra la seconda e la terza votazione, per giustificare uno spostamento di almeno 12 voti (probabilmente più di venti). Ipotizzabile, quindi, che i sostenitori di Prevost si siano resi conto che avrebbero dovuto trovare altri voti. Ma dove guardare? Impossibile presso il gruppo più estremo degli anti bergogliani, che continuava a votare Erdò.
Era necessario, quindi, guardare ai continuisti meno estremi. E qui si potrebbe essere consumato, forse, un secondo patto, in cui alcuni continuisti, (dai 15 ai 20) , fino ad allora su candidati minori, avrebbero potuto spostarsi su Prevost a condizione che lui avesse garantito di mantenere l’attenzione ai temi più sociali di Bergoglio: la guerra, gli ultimi, il pianeta. Accordo possibile, questa volta, sulla base di altri due dati della biografia di Prevost: l’essere stato missionario per 28 anni, compresi quelli da vescovo, e l’essere stato pescato da Francesco per il cardinalato e la gestione del dicastero dei vescovi da una oscura diocesi periferica del Perù, dove questi temi sociali erano molto vivi. Così alla terza votazione il quorum è stato abbondantemente raggiunto.
La cosa interessante, però, è che, già prima di entrare in conclave, Leone XIV aveva annusato la possibilità di essere eletto, visto il primo patto. Ciò è segnalato da tre piccole tracce. Sembra che la sera prima di entrare in conclave, telefonando al fratello, Prevost avesse discusso con lui dell’eventuale nome da assumere. Intervistato, poi, prima dell’ingresso in conclave sulla possibilità che potesse essere lui il nuovo papa avrebbe risposto: “resta nelle mani di Dio”, invece di una più attendibile risposta “schernita”, o di ritrosia, molto più consona al suo carattere schivo e riservato. Poi, dopo l’elezione, si è affacciato al balcone con uno scritto, in una lingua non sua. Contando i tempi tecnici di accettazione dell’elezione, del saluto di ossequio da parte dei cardinali e della vestizione, è difficile ipotizzare che quello scritto sia stato redatto dopo l’elezione.
Questo, se fosse vero, spiegherebbe, al momento, come le aree ecclesiali moderate, sia “anti” che “pro” Borgoglio, tentino entrambe di ascriverlo alla propria parte, mentre le ali estreme avvertono più disagio che attrazione. Ma forse spiegherebbe anche come, sempre al momento, i pochi discorsi di Leone lascino pensare che lui si senta più debitore al primo patto, dal quale avrebbe avuto la stragrande maggioranza dei voti, che non al secondo, arrivato solo a conclave già aperto. I temi dell’unità della Chiesa e della sinodalità sono stati ampiamente citati da Leone, mentre quelli degli ultimi e del pianeta sembrano scivolati, per ora, sullo sfondo, salvando la fedeltà al secondo patto solo sul tema della guerra.
A questo punto entra, però, in gioco la personale teologia di Prevost, che come tutti i credenti, si costruisce non solo sugli studi fatti, ma soprattutto sulla propria esperienza personale ed esistenziale. Per ora è difficile dire, quindi, come Leone declinerà la fedeltà ai patti che lo hanno eletto. Ma già si mostrano alcune tendenze, sue proprie: una missione prima “teologica e identitaria” e solo dopo “mediatrice e umanizzatrice”; una comunicazione che pur partendo dalla persona tende ad anticipare molto la presentazione della verità della Chiesa; una percezione del mondo meno luogo potenziale dello Spirito che parla alla Chiesa e più come luogo a cui la Chiesa deve parlare; uno stile più istituzionale e rituale, che creativo e fuori schema.
Il che spingerebbe ad ipotizzare un papato più centrato sulla Chiesa e meno sul mondo. Perciò attenzione maggiore sulla sinodalità e sull’unità della Chiesa e forse meno a temi aperti sulla donna, sulla morale, sulla interconnessione tra povertà, ecologia ed economia. Quale equilibrio potrà trovare Leone? Il suo curriculum dice che prima del gennaio 2023 era un quasi sconosciuto vescovo di una diocesi di periferia del Perù, pur essendo stato superiore generale degli Agostiniani. Il ruolo papale potrà aprirgli orizzonti interpretativi del mondo e della Chiesa che al momento sono impossibili per lui? Presto per dirlo, ma probabile.
Un dato, comunque, va sottolineato. Le aree ecclesiali “più vicine” a Bergoglio ammettono una pluralità di visioni del vangelo, molto più di quanto non facciano quelle “anti”. Perciò mentre queste ultime, se l’istituzione viaggia in direzione contraria alla loro visione, tendono a ribellarsi e ad aggredire, come è successo con Bergoglio, a volte anche in forme poco evangeliche, le prime, invece, non reagiscono allo stesso modo, perché sanno bene che una linea non simile alla loro è legittima e che a guidare la Chiesa è sempre lo Spirito Santo, anche dopo il conclave.
Perciò, se una delle due tendenze va un po’ “sacrificata” per garantire di più l’unità della Chiesa, potremmo aspettarci che Leone mostri una linea un po’ più verso la moderazione, rispetto al suo predecessore, in modo da far sopportare il “peso” di questo camminare insieme (sinodo!) per l’unità a coloro (i bergogliani) che meglio sanno sopportare evangelicamente le differenze, senza produrre conflitti interni, così accesi come con Francesco.
Lo Spirito soffia dove vuole, sia dentro che fuori la Chiesa, anche se dentro non tutti ne sono proprio convinti. Possiamo aspettarci, perciò, una sinodalità e unità della Chiesa perseguite più “dall’alto” che “dal basso”, ma anche la sorpresa di lati pastorali e attenzioni teologiche di Leone che, al momento, non emergono, deludendo coloro che in questi giorni hanno prontamente esultato per un ritorno indietro.
L’elezione a papa di uno statunitense seppur atipico come Prevost ha moltepilici origini tra cui quelle descritte bene in questa riflessione. Aggiungo anche la questione economica del Vaticano, la profonda crisi della potentissima e ricchissima Chiesa statunitense, la centralità delle Americhe per la Chiesa cattolica visto che quasi la metà dei cattolici vivono nelle Americhe.
Se Papa Leone terrà posizioni più rigide allora ci sarà uno scisma o una emorragia di fedeli invece dovrà legittimare posizini diverse in contesti diversi, come Papa Francesco evidenziò in Envagelii gaudium ed Amoris laetitia. Bisogna capire quale posizione avrà con la Chiesa tedesca. Lo so che la missione di papa Leone di tenere unita la chiesa è complessa ma non è impossibile per cui potrebbe convocare un Concilio.
@Pietro.
Appunto. Occorre per ciascuno riscoprire che cosa significa, in essenza, l’essere Cristiani, cioè credenti in Cristo vero uomo e vero Dio. Riscoprirlo in profondità, non in via approssimativa o monotematica. Per poterlo anche comunicare e testimoniare.
Altrimenti possiamo chiamarci in qualunque altro modo, ma non Cristiani. E non è davvero la stessa cosa.
@Elena. Qs è un luogo di confronto di opinioni, non una stanza di orazioni.
La mia opinione.
Concordo con Gil: L14 si dedicherà alla Chiesa. Per affrontare il MONDO non ha gli skill. MA….MA…. Basterà x affrontare il probl della CHIESA rivisitare Tradizione e Dottrina?? Si rende conto delle ENORMI divisioni che attraversano oggi la Chiesa?? E se il probl fosse solo politico. Di trovare il modo di mettere insieme i cocci.. forse ce la farebbe..
Ma il probl invece è esistenziale, deve trovare risposte NUOVE e moderne alla domande:
Cosa è UOMO??
CHI DIO? E Gesù come si relaziona con lui?? ( Dal Vangelo di oggi: IO SONO LA PORTA… Cioè non quello che incontri quando attraversi la porta!)
Finchè bastava il VATI e suoi anatemi x tenere fuori le domande dei ‘modernisti’..
Ma oggi le domande sono DENTRO la Chiesa.
Dispiace, ma non stupisce, leggere anche qui tante dietrologie di tipo politico, affermate con certa sicumera. Il Papa è il successore di Pietro, e Cristo ha dato a Pietro un doppio incarico: pascere il suo gregge e, soprattutto, confermare i fratelli nella fede. Io credo che i cardinali abbiano cercato di identificare la persona che, per esperienze e per carattere, potesse meglio assolvere questo compito. Prevost non era uno sconosciuto vescovo di un luogo remoto, ma era stato generale degli agostiniani riconfermato nell’incarico per la sua capacità di ascolto e di governo. Nella sua lunga esperienza missionaria aveva dimostrato empatia e amore per il suo gregge. Inoltre è colto e di mente aperta, umile e capace di ascolto, come testimoniato da chi lo ha conosciuto. E non dimentichiamo che il suo motto è In Illo Uno Unum, un ottimo programma anche per la Chiesa. Forse non servono tante elucubrazioni…