Futuri preti ed amore in seminario

In attesa della nuova Ratio per i Seminari è utile interrogarsi sul rapporto tra amore e seminarista
9 Dicembre 2022

Nell’estate appena trascorsa, dal 25 al 28 luglio 2022, tutti i Rettori dei Seminari d’Italia e i responsabili delle Comunità propedeutiche si sono ritrovati a Siena per confrontarsi e poter offrire ai Vescovi alcune linee guida in vista del Sinodo e della nuova Ratio prevista per la primavera del 2023.

La domanda di fondo è stata quella di intercettare nei segni dei tempi la voce dello Spirito che chiama a vita nuova, superando la tentazione del si è fatto sempre così. Ma da dove partire per una riflessione oculata?

La questione circa la riforma dei Seminari è vecchia tanto quanto l’istituzione degli stessi e non riguarda solo e semplicemente una riforma di struttura – sarebbe come mettere un po’ di cipria su un viso vecchio e pieno di rughe – quanto una coraggiosa proposta di novità, anche teologica, ancora tutta da scrivere e che sicuramente non vogliamo trattare in questa sede.

Considerando gli scandali che stanno interessando la Chiesa, la tentazione sarebbe quella di confondere ogni cosa e ridurre il tutto a responsabilità personale di qualcuno. Sappiamo bene invece che la verità è molto più complessa e riguarda sia l’uomo nella sua totalità di spirito incarnato e corpo spiritualizzato (direbbe Levinas), capace di peccato e di santità, sia le dinamiche della struttura ecclesiale.

Volendo trattare tuttavia della formazione che il giovane seminarista riceve negli anni che sta in Seminario, ci chiediamo se ci sia spazio per l’amore. Il rischio sarebbe, infatti, quello di confondere il celibato con il non-amore e, negli anni, ci si potrebbe costruire la corazza – solo apparentemente invincibile – dell’apatia, dell’anaffettività e della durezza relazionale. Segni purtroppo molto ricorrenti tra i preti, capaci di parlare alle folle cercando like di consensi, ma incapaci di perdere mezza giornata per condividere le gioie e le sofferenze di un figlio spirituale o di una famiglia.

Ecco che la domanda torna e stavolta con molta perentorietà: ma questo prete è capace di amore?

È chiaro che si vive solo amando e se non ami il tuo stato di vita, trasformandolo in luogo di donazione amorosa e di feconda vita relazionale, allora si amerà altro.

La Ratio fundamentalis Il dono della vocazione, attualmente in vigore e pubblicata nel 2016, al n. 35 dice che “i presbiteri sono nel mondo e nella Chiesa, segno dell’amore misericordioso del Padre”. Tale virtù essenziale del presbitero è legata dal documento all’unico sacerdozio di Cristo. È necessario allora ricordarci che si sta parlando del Verbo del Padre incarnato e non di una dottrina o di un sistema di valore.

I presbiteri sono segno dell’amore rivelato del Padre, ma per essere tali occorre vivere in pienezza la propria umanità, senza paura del proprio limite ma senza neanche consacrarlo. La Gaudium et Spes al n. 41 dice che “seguendo Cristo Uomo perfetto, l’uomo diventa più uomo” e questo vale per tutti gli uomini, al di là dell’Ordine Sacro.

Ma è davvero così?

S. Bernardo nel “Discorso sul Cantico dei Cantici” dice: “Amo perché amo, amo per amare. L’amore è sufficiente per sé stesso, piace per sé stesso e in ragione di sé”. L’amore è ragione a sé stesso, non si ama per essere un buon prete o per andare in Paradiso: si ama per restare uomini.

Il problema per il prete è chi amare e come educarci ad amare! Si può amare il proprio ruolo e la propria immagine, ed ecco che si ha don Narciso eternamente in bilico tra amore per sé e incapacità di un minimo segno di attenzione per gli altri. Come si esce dal narcisismo? Imparando la logica di Gesù, accettando le sconfitte pastorali e facendo pace con una logica di servizio umile e disinteressato.

La situazione di crisi che stiamo vivendo ci sta facendo un buon servizio in merito, a meno che sopportiamo il tutto passivamente, in vista di un ritorno alla gloria di un tempo. Si può amare confondendosi con la gloria di Dio e sentendosi talmente responsabili degli altri tanto da volerli salvare! Ed ecco che si ha il don Apocalisse con la sindrome del “faccio nuove tutte le cose” e con la pericolosa tendenza ad entrare nella sacralità della coscienza altrui.

Infine, si potrebbe trovare il prete che ama l’anima più del corpo (o il corpo più dell’anima), tra Platone e i figli dei fiori, e si avrebbe il don Costantino, non l’opinionista Della Cherardesca, ma l’imperatore romano con l’ansia di voler battezzare a tutti i costi i suoi sudditi per far ottenere loro la salvezza.

“È triste avere preti alla guida di una parrocchia che gridano a squarciagola o che vivono semplicemente di tre o quattro cose e non sanno dialogare”, così papa Francesco rivolgendosi ai presbiteri. Il problema di fondo è, dunque, imparare ad amare e questo si può fare solo seguendo la logica di Cristo – che è quella dell’incarnazione – superando l’autoreferenzialità del single.

Da prete posso dire di aver amato solo se durante la mia giornata sono stato capace di prossimità, di ascolto e di perdono nei confronti delle persone che mi sono state affidate, altrimenti diventa tutto retorica o idealizzazione astratta. Ecco la fecondità ordinaria e normale dell’amore che basta a sé stesso ed è capace di credibilità.

 

9 risposte a “Futuri preti ed amore in seminario”

  1. Gian Piero Del Bono ha detto:

    Forse e’ una grazia della Provvidenza divina che QUESTI seminari siano vuoti:forse Dio non vuole permettere che generazioni di giovani siano corrotti e deviati dalla Verita’ da insegnanti a loro volta corrotti e deviati dalla Verita’ . Meglio per i fedeli non avere preti che avere cattivi preti o peggio preti formati all’ eresiae che insegnano e propagano tutt’ altro che la fede cattolica ( ricordate il Don “io al Credo non ci credo?) . Forse e’ provvidenziale che la gramigna e le male piante infestanti stentino a crescere e avvizziscano .

  2. Clara Vitale ha detto:

    Me da muchísima alegría de ver que la pureza de acción incluye el amor puro de familia, convivir unidos en hermandad.
    Hoy hablé de eso, hermanas consagradas con mujeres embarazadas y familias consagradas a Apóstoles de la Palabra .
    En estado de gracia no hay pecado.
    La convivencia es esencial para la educación de los jóvenes.
    La tribu del Nuevo testamento.
    Jesus vivo en todos los corazones, somos sagrario!!!

  3. Luigi Gino Bonometti ha detto:

    Lasciamo che i seminari si svuotino. Ognuno che è capace della scelta pastorale (non sacramentale) studi come qualsiasi studente rimanendo nel proprio ambiente e frequentando, assieme a maschi e femmine, una scuola formativa dal punto di vista Biblico, non teologico, perché questo è nato dopo, quindi aperta a tutti. Il presbiterato non è sacerdozio (che nella Chiesa dei primi secoli non è mai esistito). Così ci sarà anche una maturazione umana e affettiva necessaria come il pane per l’individuo.

  4. Sergio Di Benedetto ha detto:

    Mi chiedo se dire che una riforma di struttura sia solo “un po’ di cipria su un viso vecchio e pieno di rughe” non sia un alibi per non cambiare una struttura nata in un mondo agli arbori della modernità e che ancora oggi non viene cambiata nelle strutture. Parlare di amore senza andare a toccare il quotidiano (quindi la struttura) del seminarista mi pare alquanto astratto.

  5. Giuseppe Risi ha detto:

    Riflessione molto fine e profonda.
    Tuttavia, non si dice che i seminari sono luoghi totalmente innaturali, o per natura artificiali: come fanno ad insegnare a vivere l’amore se i possibili destinatari sono selezionati principalmente sulla base del dato biologico del sesso maschile? L’amore si può dare solo nel rapporto con l’altro, ma nei seminari l’”altruita’” più semplice e naturale, quella sessuale appunto, viene esclusa di diritto (ecclesiastico, non evangelico). Ma la Chiesa si intestardisce nelle sue scelte, anche se evidentemente sbagliate o anacronistiche. Forse, quando i seminari saranno definitivamente vuoti (o frequentati solo da soggetti con problemi, e quasi ci siamo…) il problema si risolverà da se’.

  6. Roberto Beretta ha detto:

    Ci sarebbero davvero tantissime cose da dire in materia. Ne dico solo una: possibile che in 500 anni di esperienza e infinite culture approcciate, la Chiesa cattolica abbia trovato un solo modo- il seminario tridentino – per educare i suoi pastori? Non è che li vuole tutti uniformi a bella posta?

  7. Marco Spotorno ha detto:

    Da laico posso dire che è possibile voler bene a un prete, anche molto bene, ma è davvero difficile avere un prete come amico.
    I motivi sono tanti, ma fondamentalmente il rapporto non è quasi mai paritario.
    E allora mi chiedo: è possibile per un prete vivere senza amici?

  8. Pietro Buttiglione ha detto:

    Leggendoti è stato come camminare su una trave in equilibrio (impossibile x un sonusitico come me 😭). Soprattutto in ogni punto si sente il VUOTO sottostante.
    Mi sono raddrizzato solo con le parole del Papa, specie “incarnazione”.
    Ad es. Oggi che si parla di secondo cervello intestinale, possiamo almeno chiederci se il SESSO fa parte dell’Incarnazione, della antropologia Cristiana?
    Do you know:
    Farsi EUNUCHI x Cristo? Significa sublimarsi (??) o “tagliarselo”??
    È possibile vivere come se non..?
    Ma ci sono altri vuoti che meritano risposte…
    Si parte invocando NOVITÀ ( ma nn si esplicitano, restano nel vuoto..😰), si finisce centrando su amore, ci si chiede se è possibile quello platonico, mi sovviene Abelardo, mann si affronta quello fisico, castrato ( come Abelardo..)..
    E quando il Papa parla di Preti che urlano ( ne ho qui due su tre parrocchie😂) mi chiedo se alzano la voce x irrisolto equilibrio interiore.

    • Sascia Valori ha detto:

      Buonasera,

      Volevo darti luce su questo argomento il religioso diventa religioso in virtú di una chiamata divina si chiama vocazione e a chi gli è stato fatto questo dono sente una attrazione ed un amore e un desiderio di donarsi a Dio, pwrxhè è in quello stato di vita che si sente felice e non altri. Con tutta la persona e con tutte le facoltá interiori al suo posto

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