«E se la mamma non mi porta a messa?»

Come rispondere all'obiezione - sincera e anche dispiaciuta - di un bambino di nove anni senza ferirlo ma anche senza banalizzare quell'appuntamento
5 Ottobre 2012

Qualche tempo fa il Vescovo ha presieduto l’Eucaristia nella nostra parrocchia, in un’occasione speciale. Durante l’incontro di catechismo, la settimana seguente, ne abbiamo approfittato per parlare con i bambini di questa figura, che incontrano raramente.

Al termine, un piccolo (nove anni) mi si avvicina, serio serio: “io non sono andato in chiesa, domenica, non l’ho visto, il Vescovo…”

“Stai tranquillo, sarà per un’altra volta!”

“Beh sai, però io non ci vado mai a messa, qualche volta domando alla mamma di portarmi, ma lei dice o che dobbiamo andare via, o che è stanca, che non le piace, e non ci andiamo mai”.

Mi guarda, gli occhi un po’ preoccupati e un po’ interrogativi, un chiaro senso di disagio in viso, e io davvero non so come cavarmela.

Il fatto è che questo succede troppo spesso. Nella nostra piccolissima realtà pastorale, come in quella dei paesi vicini, registriamo infatti una frequenza al catechismo, con la richiesta dei Sacramenti dell’Iniziazione cristiana, vicina alla totalità della popolazione scolastica, mentre la partecipazione alla messa domenicale è molto meno numerosa. Ma a tutti quei bambini che vengono a catechismo e non a messa, cosa raccontiamo?

Naturalmente non potevo, e non possiamo, rispondere “Non importa, se la mamma non vuole non andarci…” perché sarebbe una grande menzogna: non è vero che non importa!

Ma è altrettanto vero che noi catechisti non vogliamo far sentire i bambini in colpa, o caricarli di un peso che non compete loro. Quindi, ogni volta che emerge questa domanda, diciamo (più o meno, a seconda delle circostanze): “beh, tu fai così, ogni tanto chiedilo a mamma o a papà, vedrai che una volta o l’altra ti portano; oppure vai con i nonni… poi quando sarai grande potrai prendere la bici e venire in chiesa da solo, o magari anche loro vorranno accompagnarti. Intanto la domenica dì una preghiera speciale a Gesù, chiedigli di starti vicino”.

Certo, questa è una soluzione molto mediocre, ma è l’unica strada che abbiamo trovato per non ferire i piccoli, non sminuire i loro genitori e, nello stesso tempo, non banalizzare troppo la pratica domenicale. Ma questa volta ci sono rimasta particolarmente male, perché ho colto in quel bambino una sofferenza vera.

Lui, come tutti i compagni, partecipa agli incontri e ascolta un annuncio. Sa che venire a catechismo è necessario, perché i genitori lo accompagnano, e gli dicono anche “fa il bravo”, ma a volte ha una percezione un po’ confusa dei motivi per cui obbedire: capita di frequente che, di fronte alla sua domanda “perchè devo andare a catechismo?” i genitori non sappiano rispondere che con un arido “perchè altrimenti non ti ammettono ai Sacramenti” (salvo che poi non ci crede nessuno, ma questo è un altro discorso).

Nello stesso tempo, nelle scelte quotidiane in cui è coinvolto, riceve messaggi contrastanti, che non fanno che creare in lui disorientamento, fatica. Una situazione di disagio, che in qualche modo dovrà pur risolvere, crescendo: in che direzione andrà?

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