Don Tonino Bello e lo sguardo dell’anima

A quasi trent'anni dalla morte di don Tonino Bello, è ancora significativo ascoltare la voce di chi lo ha visto e ascoltato da vicino
20 Aprile 2021

Gli occhi sono lo specchio dell’anima”.

Citando la famosa frase di Platone nel Fedro, non posso negare, a ventotto anni dalla nascita al Cielo del vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi don Tonino Bello, che questo sia valso senz’altro per lui.

Ho avuto il privilegio di conoscerlo di persona e, dato che gli amici mi hanno invitato più volte a tramettere i miei ricordi, provo a condividerli con voi.

Ricordo ancora la prima volta che lo conobbi, anche se non di persona.

Ero appena sceso dalla corriera nella cittadina barese, alla ricerca di un sacerdote che avrei dovuto incontrare. Senza che ne fossi a conoscenza, mi trovai con una scena alquanto singolare: una processione solenne cittadina d’ingresso nella cattedrale, giacché quel giorno si celebrava il patrono san Corrado. Mi ritrovai, senza averlo programmato, ad entrare e a partecipare con gli altri fedeli, chiesa gremita, alla celebrazione.

Ricordo ancora la passione che questo vescovo trasmetteva nella sua omelia, parlava davvero “dall’anima”: si trattava del brano evangelico che parla dell’incapacità per un ricco di entrare nel regno dei Cieli, “sarebbe più facile per un cammello entrare per la cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno dei Cieli” (Mt 19,23-30).

Don Tonino era francescano come terziario e profondamente attento “al potere dei segni”, più che “ai segni del potere” e le sue catechesi sulla lavanda dei piedi da parte di Gesù, con quell’unico paramento che si sia concesso, il grembiule del servizio, sono una meravigliosa esternazione, dal cuore, delle sue scelte.

Come vescovo, aveva scelto il motto da un versetto del Salmo 34: “Ascoltino gli umili e si rallegrino”; la croce pettorale non in oro ma in legno di ulivo della sua terra, l’amato Salento; l’anello episcopale ottenuto dalle fedi dei genitori. Girava con una vecchia cinquecento gialla. Sempre disponibile e alla mano, al punto di scendere ad aprire il portone di persona quando qualcuno citofonava in episcopio.

Questa abitudine non la perse fino a quando le forze glielo permisero.

Il primo incontro personale con lui: mi trovai a partecipare a una cena, suoi ospiti in episcopio, quaranta giovani, e lì non mancava chi prendeva la parola, lo riempiva di domande e tutti ascoltavamo ammirati le sue risposte, un vescovo così “alla mano” era insolito trovarlo.

Personalmente, non mi andava di intervenire, erano tutti entusiasti e molti lo facevano, io rimasi in silenzio, in ascolto, un po’ defilato, gioioso come tutti di questa accoglienza e di questo clima di fraternità.

Al temine della cena don Tonino ci volle accompagnare non all’uscio ma giù per le scalinate dell’episcopio fin sulla strada. Ancora una volta, eravamo in gruppo e continuavano gli interventi, non avremmo voluto lasciarlo, avviene come quando con un caro amico il tempo vola velocemente. A un certo punto, senza che me ne rendessi conto, mi si avvicina, mi fissa negli occhi e mi chiede: “Come ti chiami?” Io rimango incredulo: “Alessandro!”. Non ricordo cosa abbia aggiunto, qualche parola affettuosa, quale quella di un buon padre. Mi colpì il suo gesto. Don Tonino si era accorto della mia silenziosità, della decisione di rimanere quasi nascosto, per lasciare spazio ad altri, visto che tutti erano entusiasti di riempirlo di domande.

Era un pastore attento alle persone, entusiasta ed appassionato, con una parola che toccava il cuore.

Oltre al suo ministero episcopale, alla sua attenzione per tutti e per gli ultimi, altra grande testimonianza fu quella del suo impegno per la pace.

Come vescovo presidente nazionale dell’associazione Pax Christi furono memorabili tanti suoi interventi, tra i quali quel discorso appassionato, tenuto durante l’assemblea dei “Beati i costruttori di Pace” (Arena di Verona, 20-22.02.1986), “In piedi costruttori di pace” .

Un magistero deciso. Non posso dimenticare una intervista che lo vide in trasmissione in Rai, erano i giorni del primo conflitto contro l’Iraq, quello dovuto all’invasione del Kuwait. Tutti giustificavano l’intervento armato, dovuto alla violazione di ogni diritto internazionale. Egli, voce nel deserto, si pronunciava con passione contro l’embargo, misura che si sarebbe abbattuta contro le popolazioni civili, citando con piglio quasi profetico la visione di Isaia (2,1-5) che contempla le spade trasformarsi in vomeri e le lance in falci. Sembrava uscito da un altro mondo, una voce che parla a chi non la può capire, come quello che è toccato a tutti i profeti biblici.

La passione di don Tonino per la causa della pace vide la sua pagina più alta quando il vescovo, ormai minato dalla malattia, non volle mancare nel partecipare alla “spedizione” organizzata da “Beati i costruttori di pace” che portò 500 persone, partite con la nave da Ancona a Split, a portare solidarietà, speranza e un annuncio per la pace al centro di Sarajevo, durante il conflitto Serbo-Croato-Bosniaco, a rischio della vita per la presenza di cecchini. Fu un avvenimento completamente taciuto dai media, e don Tonino pubblicò il suo diario di quei giorni, con ricordi memorabili, sulle pagine de Il Manifesto.

Il male lo aveva consumato e costretto a letto. Fu detto che don Tonino non poteva più ricevere visite, come era uso fare, ad ogni ora del giorno, quando alcuni andavano a trovarlo. La malattia non permetteva di decidere e programmare quando egli fosse stato in grado di ricevere, ricordo che qualcuno informò che se fosse stato possibile chi lo desiderava poteva essere chiamato per andare a salutarlo. Così mi ritrovai nella sua stanza.

Quel pomeriggio saremmo stati 40 o 50 persone, tra laici, seminaristi del corso, preti celebranti; tante persone riunite in piedi in quella stanza da letto. Don Tonino partecipava alla celebrazione della Messa allettato, rivestito della stola al collo, la celebrazione veniva portata avanti dagli altri celebranti. Ma al momento dell’omelia volle prendere la parola e riprese quell’episodio da lui raccontato, che è diventato celeberrimo, della “Croce come sistemazione provvisoria”.

Nel racconto egli narrò di essersi recato in visita pastorale da un suo parroco. Durante la visita aveva notato che in un angolo della sacrestia si trovava un antico crocifisso ligneo, rimosso dal suo posto a causa di alcuni lavori in corso. Accanto al crocifisso un cartello con una scritta: “Sistemazione provvisoria”. Don Tonino ebbe un sussulto, si rivolse deciso al parroco: “Quella scritta non la devi togliere, anzi, me la devi incorniciare!”

E da questo episodio costruì il suo annuncio che quel pomeriggio attualizzava con noi.

“Ragazzi, non vi preoccupate! La croce? È una sistemazione provvisoria! Quanto si sta in croce? Qualche ora? Ma, dopo, tutto cambia! Le cose si trasformano!”

Parlava con un filo di voce. Il corpo ischeletrito. Il volto scavato, divorato dalla malattia. Ma gli occhi. Gli occhi vivi, penetranti, pieni d’amore. Fissava ciascuno di noi, ci parlava con determinazione, con certezza, con parresia evangelica. Lui, un uomo ormai sulla soglia. Lui, crocifisso da dolori lancinanti e spazzato via da una malattia inesorabile. Parlava a noi. Ci rincuorava. Ci incoraggiava. Ci spronava. Ci invitava a guardare alla vita con gli occhi della speranza, con la certezza della fede, con la gioia nel cuore. “Coraggio, ragazzi! Non temete! Non abbiate paura! La croce? È una sistemazione provvisoria!”

Ancora adesso, scrivendo, non posso evitare di commuovermi.

L’ultimo saluto, il giorno del funerale. La celebrazione fu organizzata all’aperto, sul porto.

Presiedette la funzione Mons. Mariano Magrassi OSB, Arcivescovo di Bari-Bitonto e presidente della CEP, concelebranti tutti i vescovi pugliesi ed altri vescovi, decine e decine di sacerdoti e circa cinquantamila persone. Nel video veniva trasmessa la famosa preghiera di don Tonino “Dammi, Signore, un’ala di riserva” che fu musicata e cantata per la prima volta durante questa celebrazione.

Ricordo la processione finale, il canto toccava l’anima. Io mi ero riproposto di trattenere le emozioni e cercavo di farlo. Ma quando proseguimmo, alzai lo sguardo: donne, uomini, giovani, bambini, anziani, gente semplice e persone distinte, tutti, senza eccezione, erano rotti in pianto. Un popolo che piangeva il suo pastore, il suo padre, il suo amico, il suo fratello. Anch’io non potevo trattenermi. Davanti a questa scena la commozione mi prese da dentro e scoppiai in pianto, partecipe di questo tributo sincero. Ci aveva lasciato un uomo, un pastore, un vescovo che aveva parlato al cuore della gente, senza distinzioni, con passione, amore, benevolenza e freschezza evangelica. Non è stato solo uno scrittore ma un grande oratore e i suoi scritti e i suoi interventi, trascritti, occupano otto volumi.

Negli anni che sono seguiti ho avuto occasione di incontrare ed ascoltare le testimonianze preziose di altri che lo hanno incontrato di persona e conosciuto.

È veramente una scoperta sempre nuova e continua. Lo stesso Papa Francesco ha voluto ricordarlo con la sua visita.

Sono certo che la sua testimonianza continuerà a far innamorare tante persone, credenti e non credenti, perché un uomo vero, un uomo che ha dedicato e donato la sua vita, donando un senso profondo di gratitudine e di speranza, parlando ai cuori e proponendosi, anche dopo l’elezione episcopale, come faceva: “non chiamatemi Eccellenza, Monsignor Antonio Bello. Sarò sempre per tutti don Tonino”.

E i suoi occhi parlavano. Gli bastava uno sguardo.

 

6 risposte a “Don Tonino Bello e lo sguardo dell’anima”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Grazie, che straordinarioPRETE, che fa impallidire certi altri dei quali i si domanda dove sta questa vocazione che sembra d’altro tempo! Queste persone non dovrebbero morire mai, però se tanta gente piange hanno fatto passare il testimone che è Cristo. Perché quello che stiamo assistendo oggi, un uomo incarcerato per idee diverse da quelle dei governanti e che solleva folle a pretendere la sua libertà, non merita che non si stia soltanto a guardare perché la cosa non riguarda i nostri interessi?E la solidarietà con coloro che mancano di sufficiente cibo, o medicine, mali che ci affratellano, perché restare in silenzio? A che cosa serve vantarci di cultura secolare, ammantarsi di obiettivi scientifici raggiunti, se poi siamo inattivi perfino a chiedere giustizia per un prossimo in sofferenza. ,!!Salviamo almeno la vita umana dove è in pericolo! Ci trovi solidali Il benecomune, dalla parte dei più deboli, a sconfiggere certa povertà!

  2. Vida Perco ha detto:

    Grazie ! Don. Tonino mi accompaga spesso.Stanotte sul letto dell’ ospedale dopo un intervento per un tumore preso al volo..

    I miei amici della comunità pastorale mi sono tanto vicini ed hanno trasformato questo momento difficile in in momento di pace, inondandomi di affetto. Stasera nella nostra chat è arrivato questo iscritto.Grazie ancora!

  3. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    Domanda x chi lo ha conosciuto;
    Secondo voi lui sarebbe contento del processo di canonizzazione intrapreso?

  4. Pietro Taffari ha detto:

    Fin da quando ho conosciuto don Tonino, tramite i suoi scritti, ne sono rimasto affascinato per il suo essere “beato povero in spirito” con e per i poveri e “affamato e assetato di giustizia” per la pace.
    Ho celebrato tutto un mese di maggio con i miei parrocchiani , portando la Madonna pellegrina nei vari quartieri, leggendo all’omelia il suo mese mariano MARIA…. Credo che, quando Gesù è tornato a prenderlo con sé, “dopo avergli preparato un posto”, e condottò al Padre, questi “vide che era molto Bello” 💖e…che festa!!!👍🏻
    Pietro Taffari, presbitero uxorato!

  5. Dario Busolini ha detto:

    Semplicemente grazie di cuore per questa testimonianza che commuove e fa sgorgare le lacrime pure nei lettori, non tanto per la memoria di don Tonino quanto per la dolorosa consapevolezza di non avere più, e forse non meritare, un pastore come lui.

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