Dedicarsi ai giovani con il metodo di Padre Pino Puglisi (3P)

Cosa c'entrano i giovani accusati di violenza sessuale a Palermo e a Caivano con il primo prete martire ucciso dalla mafia 30 anni fa?
5 Settembre 2023

Il 15 settembre ricorrerà il trentesimo anniversario della morte di Padre Pino Puglisi e da poco Papa Francesco ha inviato una lettera all’Arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice, che in un passaggio dice: «I giovani poi siano al centro delle vostre premure: sono la speranza del futuro». I giovani di Palermo (ma potrebbero esserlo di qualunque città o paese italiano), alcuni dei quali diventati tristemente noti per la violenza e lo stupro di gruppo nei confronti di una coetanea (e quanto accaduto a Caivano dimostra che non è una questione ristretta ad un determinato territorio!), sono quelli a cui “3P” ha dedicato la vita e a cui il Santo Padre fa riferimento? Non altri, sono proprio loro! Che c’entrano con la mafia? Niente in quanto ad appartenenza, tanto purtroppo per l’atteggiamento mafioso, cioè quella convinzione di restare impuniti, di essere cacciatori in quanto maschi, di usare violenza a piacimento, di muoversi in gruppo come una cosca, di colpire gli indifesi, di marcare il territorio, di agire nell’indifferenza altrui.

Questi giovani sono stati al centro della missione sacerdotale ed educativa di Padre Pino ovunque si trovasse ad operare. Questi giovani ma anche tutti gli altri! Spesso, praticamente sempre, la figura del Beato è legata all’epilogo tragico e al martirio per mano della mafia che, vigliacca e impotente, ha avuto paura di un povero prete e insegnante. Chi però lo ha conosciuto veramente, chi ha letto tutto di lui e su di lui, sa bene che la sua “santità educativa” era nella quotidianità della vita pastorale ben prima degli anni passati a Brancaccio dove tra l’altro era nato. La cura per i bambini, i ragazzi, i giovani era un tratto fondamentale che si trasformava man mano in coinvolgimento, fiducia, protagonismo e, crescendo, in corresponsabilità. Pensare che i problemi della gioventù siano solo quelli provocati dalla malavita organizzata è molto riduttivo e la cronaca ce lo dimostra continuamente.

Padre Pino, che conosceva benissimo queste problematiche, non le ha lasciate ad altri, non si è ritirato in un angolo, al contrario ha vissuto la propria vocazione con il cuore di padre e maestro per ognuno di loro, e loro se ne accorgevano. Ha scelto, per esempio, di coinvolgere i suoi alunni e altri giovani nel servizio ai più piccoli e svantaggiati; lo ha scelto per quest’ultimi – infatti “se ognuno fa qualcosa, insieme possiamo fare molto” – e pure per i primi che nel volontariato e nel dono di sé hanno imparato ad essere “buoni cristiani e onesti cittadini”.

Il passaggio terreno di Padre Pino è stato un vortice di amore, gioia, impegno che ha offerto a tutti e a ciascuno lo spazio per ritrovare sé stessi ed essere per gli altri; oggi tanti di loro ormai adulti vivono ancora con questo anelito e continuano a rispondere a quella chiamata. Le “premure” di cui parla il Papa – per le quali abbiamo in “3P” un modello straordinario nell’ordinario – ci invitano a non colpevolizzarci come genitori, docenti, educatori, strappandoci le vesti dinanzi a certe notizie, bensì ad un pensiero e ad un’azione preventivi. Più offriremo alla gioventù spazi per operare il bene insieme, sin da piccoli, meno poi si trasformeranno in un branco famelico, sapendo dire di “no” quando rischieranno di trovarsi in mezzo.

Nelle “terre dell’educazione” non basta essere presenti e vigili, poiché anche le sentinelle finiscono per chiudere gli occhi ad un certo punto; così come non si tratta tanto di controllare ciò che fanno i figli o gli alunni, perché saranno sempre un passo avanti al nostro. Padre Puglisi ci insegna a camminare con i giovani su quelle terre e a condividere l’esperienza di bene, per poi lasciarli andare nella libertà con responsabilità.

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