Dare la vita per il proprio popolo

Nel 41° anniversario dell’assassinio dell’arcivescovo di San Salvador Oscar Romero e nel 38° di quello della presidente della Commissione per i diritti umani Marianella Garcìa Villas è ancora giusto ricordare il sacrificio della loro vita per il proprio popolo.
24 Marzo 2021

Lunedì 24 marzo 1980, alle ore 18,25, mentre sta celebrando la Santa Messa, appena terminata l’omelia, l’arcivescovo di San Salvador, Oscar Arnulfo Romero, è colpito al cuore da un colpo di arma da fuoco. Caricato su una vettura, muore poco dopo in ospedale. Viene così messa a tacere una voce scomoda per le oligarchie politiche ed economiche che si definivano cattoliche e sostenevano di lottare per la difesa della civiltà cristiana contro il comunismo. Per i poveri e gli oppressi è invece una voce amica e fedele, una difesa contro i soprusi e le prepotenze.

Tre anni dopo, il 13 marzo 1983, viene assassinata, a soli 38 anni, in El Salvador, Marianella García Villas, presidente della Commissione per i diritti umani. Le sue denunce e le sue prese di posizione erano divenute inaccettabili per la giunta militare al potere. Pertanto, come accaduto tre anni prima per mons. Oscar Romero, con il quale aveva a lungo collaborato per difendere i diritti del proprio popolo, anche la sua voce viene messa a tacere per sempre.

Un sacerdote “romano” e una giovane borghese

Oscar Arnulfo Romero nasce il 15 agosto 1917 a Ciudad Barrios. Nel 1937 viene inviato a Roma, dove frequenta la Pontificia Università Gregoriana. I sei anni che vi trascorre operano in lui una sorta di “romanizzazione”, centrata sull’adesione piena al Magistero della Chiesa e sullo svolgimento puntiglioso dei propri doveri di pietà religiosa. A 25 anni è ordinato sacerdote e nell’agosto 1943 fa ritorno in El Salvador.

Marianella García Villas nasce in El Salvador il 7 agosto 1948. La sua famiglia fa parte dell’alta borghesia. Durante gli studi universitari, a Legge e Filosofia, Marianella entra a far parte dell’Azione Cattolica Universitaria e qui si trova a discutere e ad analizzare i documenti del Concilio e di Medellin, a leggere i testi della teologia della liberazione, ad approfondire i concetti di “ingiustizia strutturale” e di “scelta preferenziale per i poveri”.

Un giovane prete legato alla tradizione, una giovane donna determinata

Fino al 1967 Romero rimane nella diocesi di San Miguel, come segretario del vescovo e come parroco. In continuità con il periodo romano, la sua costante preoccupazione è rappresentata dalla difesa e dalla trasmissione dell’ortodossia cattolica nella sua integrità.

Intanto Marianella nell’Azione Cattolica Universitaria aveva ben presto compreso la grave situazione in cui versava il proprio popolo. Il primo strumento che utilizza per cambiare la realtà delle cose è la politica e così entra nella Democrazia Cristiana, divenendo in breve tempo segretaria organizzativa del partito.

Un vescovo conservatore, una parlamentare progressista

Il 15 ottobre 1974 Romero viene nominato vescovo di Santiago de Maria. Qui Romero sta tra la gente e ciò gli permette di rendersi conto della situazione di profonda miseria in cui versa gran parte della popolazione: disoccupazione, alcolismo, analfabetismo, malattie sono realtà presenti ovunque. Anche a Santiago, Romero continua a riferirsi in modo preciso al Magistero e a Roma, tuttavia avverte una maggiore responsabilità verso le persone che gli sono affidate.

Nel 1974 Marianella viene invece eletta come deputato al Parlamento, che è comunque controllato dalle forze espressione dell’oligarchia e dei militari.

Una speciale “fortezza pastorale” per Romero, le armi del diritto per Marianella

Alla fine del 1976, la scelta del nuovo arcivescovo di San Salvador, sostenuta dalle massime autorità ecclesiali della regione e anche dall’oligarchia economica e politica, cade su Oscar Romero, ritenuto un moderato. L’ingresso a San Salvador avviene il 22 febbraio 1977.

Pochi giorni dopo un fatto drammatico sconvolge la vita del nuovo arcivescovo. Il 12 marzo 1977 il gesuita padre Rutilio Grande, fraterno amico di Romero, viene assassinato a colpi di arma da fuoco. Rutilio Grande, con la sua vita accanto ai contadini, era considerato come colui che li spingeva alla lotta politica e sindacale; dunque un pericolo per gli interessi degli agrari. Per la prima volta la violenza del potere tocca Romero nei suoi affetti più cari: inizia così a comprendere che il Corpo vivente di Cristo, i poveri, sono oppressi e uccisi da un potere politico ed economico che si presenta come baluardo della cristianità, ma che in realtà è inumano e anticristiano.

Tra il 1977 e il 1980 altri cinque sacerdoti vicini a mons. Romero vengono assassinati dalle Forze di sicurezza e dagli squadroni della morte, oltre a un numero imprecisato di catechisti e di delegati della Parola, di contadini sindacalizzati e di esponenti delle forze di opposizione. Romero sceglie così di stare dalla parte di chi subisce l’ingiustizia e chiede ai governanti di porre fine alla repressione. L’arcivescovo era solito dire che, grazie al sacrificio di padre Rutilio, Dio gli aveva concesso una particolare “fortezza pastorale”, capace di fargli affrontare con coraggio conflitti e persecuzioni.

Marianella intanto era uscita dalla Democrazia Cristiana, ritenendola troppo tiepida nei confronti dei militari. Nell’aprile 1978 si decide di costituire una “Commissione per i diritti umani”, di cui Marianella diviene presidente, con il compito di coordinare le difese dei prigionieri politici e raccogliere prove e testimonianze sulle sempre più gravi e diffuse violazioni dei diritti umani. Marianella, abbandonata l’attività politica diretta, sceglie dunque le armi del diritto per opporsi alla dittatura militare.

Insieme contro la repressione e in difesa del popolo salvadoregno

A Oscar Romero, divenuto la voce di un popolo oppresso e perseguitato, ogni fine settimana Marianella fa pervenire informazioni dettagliate su quanto avvenuto nel Paese: uccisioni, torture, massacri, sparizioni. Così l’arcivescovo può preparare le denunce che farà nella messa che ogni domenica alle otto celebra nella cattedrale. Per mons. Romero infatti compito del sacerdote è annunciare la Parola di Dio, senza però separarla dalla realtà storica. Le omelie rappresentano il tentativo di illuminare con la Parola di Dio i momenti difficili e tragici che il Salvador sta vivendo.

Ben presto i vescovi del Paese, ad eccezione di Arturo Rivera y Damas, contestano fermamente l’operato di Romero. Lo accusano di fomentare le rivolte e di non ricercare la collaborazione con il potere politico. Da Roma però Paolo VI incoraggia e sostiene l’arcivescovo di San Salvador.

L’assassinio dell’arcivescovo e l’esilio di Marianella

Con gli inizi del 1980 la situazione in Salvador va sempre più degenerando. Le forze armate e gli squadroni della morte continuano nella loro opera di repressione contro la guerriglia e contro le forze sindacalizzate, contro i sacerdoti e i catechisti più impegnati nella pastorale, contro gli esponenti delle comunità di base; numerose persone sono catturate, torturate e uccise, altre vengono espulse dal Paese.

Domenica 23 marzo, ultima di Quaresima, Romero celebra la messa nella basilica del Sagrado Corazón. Nell’omelia, dopo aver denunciato tutti i crimini di quei giorni, si appella direttamente ai soldati perché non obbediscano a leggi ingiuste e non agiscano contro la legge di Dio, che chiede di non uccidere. Questo invito alla disobbedienza è probabilmente ciò che spinge gli squadroni della morte a mettere in pratica il piano, pronto da tempo, di eliminare la voce scomoda dell’arcivescovo.

Il giorno successivo, lunedì 24 marzo, mentre sta celebrando la Messa nella chiesa dell’ospedale della Divina Provvidenza, Oscar Romero viene assassinato.

Con la morte di Oscar Romero, il Paese scivola lentamente verso la guerra civile, che si protrae fino al 1992, con quasi 80 mila vittime su una popolazione che allora contava meno di quattro milioni di abitanti.

All’indomani dell’assassinio di mons. Romero, la Commissione salvadoregna per i diritti umani trasferisce la propria attività a Città del Messico, per le continue minacce e violenze di cui era fatta oggetto. Marianella rientra comunque diverse volte in Salvador per condurre indagini sulle brutali violenze delle forze militari.

Un vescovo educato dal popolo, una donna avvocata del popolo

Soprattutto nei tre anni in cui è stato arcivescovo di San Salvador, Romero ha sempre più chiaramente sentito e accolto il grido del proprio popolo, oppresso nei diritti fondamentali, e a questo popolo ha prestato la propria voce, indicandogli la strada della conversione e della nonviolenza per uscire dal dramma che stava vivendo. Come ha scritto il card. Carlo Maria Martini, Oscar Romero è stato «un vescovo educato dal suo popolo».

In qualità di Presidente della Commissione per i diritti umani, Marianella si reca spesso all’estero per illustrare la situazione del proprio Paese e per chiedere aiuto e sostegno per il proprio popolo. Diverse volte viene in Italia accolta da Raniero La Valle, da Ettore Masina, dalla Fondazione Basso, da Linda Bimbi. Marianella viene poi accreditata a Ginevra presso la Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite, dove si reca più volte per presentare a livello internazionale i drammatici problemi che interessano il proprio Paese .

Per Marianella la stessa fine di Monsignore

Il 13 marzo 1983, mentre sta raccogliendo per la commissione Onu sui diritti umani le prove, anche fotografiche, sull’uso armi chimiche da parte dei militari, Marianella viene arrestata. In quella stessa operazione decine di campesinos rimangono uccisi. Condotta in elicottero alla Scuola Militare di San Salvador, viene brutalmente torturata e infine dilaniata da proiettili esplosivi. Il giorno dopo, 14 marzo, il suo corpo martoriato viene riconsegnato ai familiari.

Testimoni di un altro mondo possibile

Richiamando il titolo di un saggio di Raniero La Valle, possiamo affermare che Marianella García Villas e Oscar Romero sono stati “testimoni di un’altra storia possibile”. Hanno dimostrato, cioè, che di fronte al male la strada da percorrere consiste nell’assumersi le proprie responsabilità e nel prestare la propria voce ai più deboli e ai perseguitati. Marianella García Villas e Oscar Romero, e come loro tanti altri anonimi e sconosciuti martiri, hanno dimostrato con la loro vita che un altro mondo è possibile, che perseguire il diritto e la giustizia rappresenta la strada maestra per costruire una società più umana e più fraterna.

 

Una risposta a “Dare la vita per il proprio popolo”

  1. Luigi Consonni ha detto:

    Bravo. Grazie!!!!!
    Ho vissuto (da lontano) la vicenda di Romero e quella di Marianella.
    Qui collegate con chiarezza nella paurosa storia di quelgi anni in Salvador.
    C’è tanto bisogno, oggi, che le nuove generazioni sentano raccontare vite come quelle di Marianella e di Romero.
    Vite donate, come quella di Cristo…
    Grazie ancora!

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