Come un levita sulla strada di Gerico

Un invito a parlare ai genitori, una situazione poco favorevole e una storia che, in forme sempre diverse, si ripete. Troppo spesso.
17 Ottobre 2019

È la prima volta che sono invitata in questa parrocchia. Un piccolo paese di campagna, ma alle volte sono i contesti più interessanti, per la consuetudine con il cristianesimo che ancora li segna e per la possibilità di intravvederne tanto le potenzialità che le derive.

Al primo impatto resto sorpresa. Ci sono molte persone, mamme e papà dei bambini di catechismo (sono invitati tutti i gruppi), la chiesa è quasi piena. Molti stanno nascosti, però, come se dovessero difendersi: le zone più affollate sono quelle a ridosso e dietro le numerose colonne della navata.

Mi è stato dato un tempo ristretto, il parroco vuole concludere in un’ora e mi raccomanda di lasciargli un congruo spazio per le cose che deve dire. Sviluppo il mio intervento sul senso della catechesi per la vita dei bambini e ragazzi, e medio i contenuti attraverso una narrazione biblica. Mi sembra di aver raggiunto almeno qualcuno, paiono attenti. Quando concludo il parroco prende subito la parola, mi ringrazia, raccomanda alle catechiste di imparare dallo stile narrativo e … inizia a parlare di tutt’altro. Nessuna ripresa, domanda o provocazione, nessun dialogo né con me né con la sua gente. Si distende in mezz’ora di indicazioni orari nominativi per i quali era più che sufficiente un foglio affisso nella bacheca parrocchiale. I catechisti indaffarati lo assecondano nella distribuzione di foglietti, e tutti mi paiono assai preoccupati delle mille cose da fare.

Mi coglie un senso di amarezza profonda, insieme a una percezione: stasera l’abbiamo inamidata, la Parola. E non contenti l’abbiamo incorniciata e inchiodata alla parete, come un bel centrino decorativo. Così che non ci disturbi più. Al limite serve ai catechisti, per ‘tenere lezione’. Ma la vita?

Eppure non mi alzo, non dico nulla. Non conosco le persone e le loro storie, né l’ambiente della parrocchia. Sarò qui solo stasera, non mi è stato chiesto di iniziare un percorso, ma solo il favore di un intervento estemporaneo. Se intervenissi col ditino sollevato, a dire “Così non si fa”, che risultato otterrei?  Solo di esautorare parroco e catechisti di fronte alla comunità …

Però alla fine esco sentendomi come un levita sulla strada di Gerico.

Questa è la storia di un uomo. Un uomo come tanti, non particolarmente buono o bravo: un tipo comune, assorbito dal suo lavoro e dal desiderio di guadagnare un po’ più di benessere.  Ha girato tutto il giorno col suo furgoncino lungo il litorale adriatico, e ha venduto un bel po’ di roba, è soddisfatto mentre guida verso casa. Una bella dormita, e dopo pranzo si riparte. Sta percorrendo una strada interna normalmente molto trafficata, ma sono le tre di sabato notte, non c’è nessuno …  Quasi nessuno. In lontananza vede il lampeggiante e una paletta rossa che si alza.  ‘Accidenti, che ci fanno i carabinieri qui a quest’ora?’ Si ferma, e proprio mentre si dice che c’è qualcosa di strano, un uomo spalanca la portiera e lo strattona fuori dall’abitacolo. Non sono carabinieri, è una trappola. Altri uomini come lui vogliono i suoi soldi, le sue cose, e pur di averle sono disposti a passare sopra la sua vita.

Ci prova, a dire che non ha denaro, ma non gli credono: lo picchiano, gli svuotano le tasche e poi decidono di prendersi direttamente il furgone, lasciandolo là mezzo morto. E mentre sta perdendo i sensi si sorprende a pensare che tutte le cose prima così preziose adesso non contano nulla: di colpo è bloccato, al margine della strada. Non può tornare a casa, non può andare da nessuna parte, non è più padrone di niente, neppure delle proprie scelte. È debole, sporco, sanguinante. Totalmente in balia del prossimo.

Le ore passano veloci, sono le sei di mattina e un prete percorre la stessa strada. Sta andando a celebrare la prima messa in una parrocchia della sua Unità Pastorale e quando vede l’uomo (perché lo vede, eccome!) cento pensieri gli passano per la testa, mentre solleva piano il piede dall’acceleratore: “chi sarà? Magari si è sentito male. Ma che rogna … Non ho tempo … se mi fermo poi faccio tardi per la messa … E tutti i miei parrocchiani? La mia gente che aspetta di incontrare il Signore? Ne va della loro salvezza … e poi magari è un tossico, o magari uno che fa finta per rubarmi la macchina, sappiamo com’è su questa strada … io avviso i carabinieri, che facciano loro”.

E chiama il 112, mentre passa oltre.

In silenzio passa anche una teologa, che si trova proprio sulla stessa strada, mentre sta andando in una città vicina per tenere una interessante conferenza sulla carità cristiana e sulla necessità di insegnare a riconoscere le povertà che ci sono vicino a noi, nelle nostre stesse famiglie, nelle nostre comunità. “Guarda un po’ un ubriaco. A quest’ora del mattino. Io non mi sarei mai ridotta così. Ma che roba …”

E poi passa un disgraziato: non occorre precisare chi è, è uno degli ultimi della nostra ricca terra. Passa in bicicletta, perché sta raggiungendo il paese in cui farà il suo giro in cerca di elemosina. Questo ultimo, questo piccolo, vede e si fa accanto: forse perché non è prigioniero delle cose, non ha nulla da perdere? Forse perché ricorda cosa significhi soffrire e quindi è rimasto uomo? Lui vede solo un fratello che ha bisogno, si lascia toccare nell’intimo, e si scomoda. Scende dalla bici, si abbassa sul malcapitato, ripulisce alla meglio le ferite, gli parla, gli dà da bere, chiama il 118 e resta lì, seduto accanto, sospende il proprio fare, mette in pausa dubbi e perplessità per farsi attento a ciò che davvero conta, scegliendosi la parte migliore.

Da lontano vede arrivare una volante dei carabinieri. Sa già che dovrà rispondere a un sacco di domande, penseranno che sia coinvolto nella cosa, indagheranno sul suo permesso di soggiorno … ma rimane lì. Lui non è buono ‘in teoria’, e il suo non è stato un moto emozionale, improvviso ed evanescente, è una scelta ponderata, che costa fatica e sacrificio, che permane nel tempo e che, lui lo sa, è fonte di vita: come l’essere davvero prete, o catechista e teologa, o sposo e sposa.

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