Come gli uccelli del cielo

Viene spontaneo paragonare la nostra vita claustrale alla loro vita.
8 Settembre 2021

Tra tutti  gli  animali  che  il  Buon  Dio  ha  creato, personalmente  ho  una  predilezione  per  gli  uccelli. Forse  è  per  questa  mia  naturale  simpatia  per queste creature (ampiamente  ricambiata) che viene  spontaneo paragonare la nostra vita claustrale alla loro vita. Il  paragone  può  sembrare  paradossale  se  si  considera  che  gli  uccelli  volano  liberi nel cielo  e  noi  trascorriamo invece l’esistenza  in clausura.

Ma  cos’è  la  libertà? “ Dio  ci  ha  chiamati  a  libertà.  Purché  questa libertà  non  divenga un  pretesto  per  vivere  secondo  la  carne,  ma  mediante  la  carità  siate  a  servizio  gli  uni degli  altri” (Gal 5,  13). Esiste  una  libertà  “da”  e  una  libertà  “per”.  Libertà  dalle  varie  schiavitù  e  dai  vari idoli  ai  quali  il  nostro  cuore  è sempre pronto ad attaccarsi. E  libertà  “per”,  cioè “in funzione di” un amore universale,  che  abbraccia  tutti,  che  tutti  ama  con  il  cuore  di Cristo, che  in  tutti  vede  dei  fratelli  e  delle  sorelle  da  amare.

La  più  alta  e  bella  espressione  della  libertà  è  il  dono  totale  di  sé.  Dono concretizzato  da  ciascuno in  modo  diverso, in base  alla  propria  vocazione. Va  da  sé  che  i  Monasteri  non  sono  un  luogo  di  rifugio  per  persone  deluse  dalla  vita, ma  essi  accolgono  persone  libere  e  felici  o  comunque  incamminate  verso  la  conquista della  piena  libertà,  cioè  incamminate  verso  il  raggiungimento  di ciò che  solo ci  rende  liberi. Questo è  indubbiamente un dono  di  Dio, che  però richiede  anche  desiderio, collaborazione,  impegno, accoglienza  da  parte nostra.

Ma l’altro  motivo  che,  a  parer  mio,  accomuna  la  nostra  vocazione  a  quella  degli uccelli  del  cielo,  è  che  essi  non  si  preoccupano  di  nulla,  ma  sono  pienamente  occupati nella  lode  di  Dio. Questo  è  il  nostro  compito:  lodare  Dio,  a  Lui  cantare,  accoglierlo  cantando  quando Lui  verrà.  Sono  convinta  che  il  canto,  e  la  musica  in  genere,  conduca  in  modo  speciale  a Dio. “Chi  canta,  prega  due  volte” , diceva  il  grande  S. Agostino. Amo pensare che in Paradiso ci sarà un posto riservato ai musicisti e ai cantori, che con le loro melodie hanno aiutato il prossimo ad elevare il cuore a Dio che, oltre ad essere Amore, è anche Bellezza, Poesia, Musica, Arte, ed è la fonte e l’ispiratore di tutte queste cose.  (Certo anche gli stonati hanno diritto di andare in Paradiso, ma suppongo… e spero… che per essi l’eterno Padre abbia provveduto un luogo debitamente insonorizzato…).

Liberi e sereni, privi di ansia e preoccupazioni varie, gli uccelli trascorrono il tempo cantando, non hanno un’altra funzione. Altri animali sono da noi ritenuti più utili, perché da essi traiamo latte, lana, pelle, ecc… ma come sarebbe triste il mondo senza il melodioso e gaio cinguettio degli uccelli che mette tanta allegria. Lo stesso dicasi per la vita claustrale che lo Spirito Santo ha suscitato per ricordare a tutti i cristiani che la Chiesa è sposa di Cristo, una sposa innamorata che attende con gioia e con amore la venuta dello Sposo.

Conoscete il detto: “Si muore come si è vissuti”? Ebbene, se è vero, spero proprio di poter morire cantando.

5 risposte a “Come gli uccelli del cielo”

  1. Emanuela Sangaletti ha detto:

    San Francesco predicava agli uccelli…
    Questo articolo mi suona come una predica sugli uccelli, che propone in modo gentile e poetico una sorta di apologia della “libertà claustrale”.
    Un linguaggio che ancora favorisce un’idea romantica, disincarnata e idealizzata
    della forma di vita clariana, ma direi della fede.
    E non è musica per le mie orecchie.
    Ma voglio pensare, come dice Sergio, alla gioia profonda che ha animato sr. Cristiana,
    e lì mi fermo.

  2. Paola Buscicchio ha detto:

    Il canto eleva il nostro spirito e lo conduce alla presenza di Dio.
    Il canto è preghiera.
    Bisogna mettere le ali per cantare.
    Lasciare le cose della terra per avvicinarci a quelle del cielo.
    È un’ascesa faticosa ma necessaria.
    Solo così si raggiunge la libertà dei figli di Dio.
    Figli che hanno la gioia nel cuore e la distribuiscono nel mondo.
    Chi avrà portato gioia agli altri la riceverà.
    Siate liberi e gioiosi come sono gli uccelli del cielo dunque.
    Sollevatevi su ali nuove e incominciate il viaggio più bello della vostra vita!

  3. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    Suora!
    Il suo msg + bello!
    Anche quel cenno alla libertà che io sono solito indicare con libertà
    DA// DI .. E Lei
    DA// PER..
    BELLO!
    Credo che per amare gli uccellini, quelli che nei primi giorni di caccia vengono STERMINATI, basti tenerne uno tra le mani, sentire i palpiti impazziti di paura del suo cuoricino…
    Poi mi sono sempre chiesto il perché del loro canto…
    So bene che quel merlo sta dicendo a tutti, dall’alto di quell’albero:
    QUI COMANDO IOO!!! Pussate via!
    Ma so anche che quando io cerco di riscontrare il suo canto.. lui cerca di insegnarmi a cantare, conscio della povertà del mi fischiare .. ne sono certo.
    Ma dove abito adesso invece di merli ho un usignolo che mi sveglia la mattina.
    L’unico modo in cui riesco ad inquadrare il suo canto è la sua partecipazione al più profondo significato della musica:
    il t r a s c e n d e n t e, sive Deus.

  4. Sergio Di Benedetto ha detto:

    Ho diverse amiche religiose, tra cui alcune monache di clausura, e devo dire che esse mi rimandano una vita religiosa più problematizzata, meno ” tutto gioia e amore sorridente”, dove non ci sono solo persone “libere e felici” sette giorni su sette (e sì, ci sono anche persone che cercano nel monastero un rifugio, che spesso vengono poi guidate su altre strade, ma non sempre). Questo per dire che, pur rispettando la restituzione che fa Cristiana, indubbiamente animata da profonda gioia, mi pare sia molto più corrispondente all’umano e meno apologetico mettere in rilievo anche il lato faticoso, accidentato, in salita della vita religiosa, perfino quando ci sono i momenti più o meno lunghi di tristezza, di dubbio, di smarrimento (perchè no?), o quando la vita comune pesa (“la vita comunitaria è la più grande penitenza” mi diceva una cara amica suora). Forse oggi è più eloquente una testimonianza che abbracci l’umano nella sua totalità.

    • Sr. Cristiana Scandura osc ha detto:

      Grazie, carissimo Sergio per questa replica, mi preme però precisare il mio pensiero. La mia vita non è stata esente da prove di vario genere, vedo però nella prova, nella tribolazione e nelle fatiche una “sfida”, un’occasione per dare il meglio di noi stessi, sorretti dalla Grazia di Dio. La prova è il momento della verità di ciò che fino a quel momento abbiamo professato con le labbra. Solo perché ho avuto la grazia di soffrire, posso parlare di gioia: la mia gioia è Cristo. Ed è una gioia molto profonda che le prove non possono scalfire, non ne hanno il potere, magari talvolta, come succede osservando il mare, le onde saranno un po’ increspate in superficie, ma nel profondo regna la quiete. Del resto, la lettera nella quale S. Paolo esorta i cristiani alla gioia, e la nomina ben sedici volte, l’ha scritta proprio mentre era in catene per Cristo e, umanamente, non aveva nessun motivo per essere contento.

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