Cattolica sì, ma l’Azione dov’è?

Rileggendo il discorso del Papa al FIAC, in occasione dei 150 anni dell'Azione Cattolica, per lasciarsi provocare fino in fondo dalla dirompenza delle parole di Francesco.
4 Maggio 2017

Rileggendo il discorso di Papa Francesco al Congresso del FIAC, lo scorso 27 aprile, mi è tornata alla mente questa espressione – Cattolica sì, ma l’Azione dov’è? – coniata tra noi responsabili dell’AC di Milano, che spesso ci ripetevamo scherzosamente ma anche provocatoriamente. Credo infatti riassuma tanto di ciò che il pontefice ha voluto consegnare all’Azione Cattolica in occasione dei suoi 150 anni, in un discorso che è bene non lasciar cadere troppo in fretta prima di tornarcene a fare quello che abbiamo sempre fatto (uno dei mali più volte rimarcati dal Papa!). Sì, perché la tendenza di fronte alla puntuale dirompenza delle parole di Francesco, è spesso quella di trovare degli anestetici capaci di disinnescarle ed evitare che ci sconvolgano troppo la vita come vorrebbero. Non cadiamo in questa tentazione! Proviamo invece a fermarci un attimo e a lasciarci provocare.

– La prima cosa che salta all’occhio è ciò di cui Papa Francesco non parla: non accenna ai numeri del tesseramento, alla sostenibilità economica, a strategie comunicative, a grandi eventi che diano visibilità… Aspetti che, messi assieme, rappresentano normalmente una buona fetta di tante nostre preoccupazioni! Già questo dice di una conversione da compiere.

– Ciò che Francesco chiede di porre al centro della missione dell’AC è l’apostolato: l’azione (!) evangelizzatrice. Essa è esplicitamente messa davanti – anche se non in alternativa – alla preghiera e alla formazione, ossia a quegli elementi che esauriscono spesso l’orizzonte delle nostre proposte. Questa priorità dell’evangelizzazione non va ridimensionata ponendola cronologicamente dopo la formazione e la preghiera; è chiarissimo Francesco al riguardo: “si impara ad evangelizzare evangelizzando, così come si impara a pregare pregando”. Non sono quindi la formazione e la preghiera propedeutiche all’evangelizzazione, ma è invece la tensione all’evangelizzazione a trasformarle.

– Sono invece indicati come indispensabili all’evangelizzazione da Francesco l’incarnazione e il discernimento. Spingendosi un po’ in là col pensiero si può individuare nelle parole del Papa una nuova triade di riferimento per l’azione pastorale – incarnazione-discernimento-evangelizzazione – che va a superare il più classico vedere-giudicare-agire, declinandolo in un’ottica meno distaccata ed intellettuale, più sporca di umanità ed intrisa di Spirito Santo. Il compito assegnato è porsi come principale occupazione il rimanere immersi nel mondo, a stretto contatto con la realtà e le persone, per non correre il rischio di “dare risposte a domande che nessuno si fa”, e comprendere (discernere) come il Vangelo parli qui e ora. Dunque un’AC silenziosa, che agisce nel quotidiano, contribuendo all’umano in tutte le sue dimensioni e in tutti i luoghi del suo manifestarsi (dalla politica all’imprenditoria, dagli ospedali alle carceri, dalle fabbriche alle baraccopoli), senza tante strutture, grandi programmazioni, adunate e proclami, ma solo, autenticamente, lievito nella pasta.

– Ammette Francesco che un’AC così ci creerà dei problemi: vorrà farci parte un sacco di gente dalle provenienze esistenziali più disparate. Che, a dirla tutta, più che un problema sembrerebbe essere la soluzione a una delle nostre maggiori preoccupazioni: essere in pochi e sempre gli stessi. Quasi che Francesco tra le linee stesse dicendo che finché ci scervelliamo tra noi i problemi rimangono, mentre, anche in questo caso, è il movimento di uscita ad essere capace di aprirci un futuro. Se siamo pochi e sempre gli stessi è perché non siamo abbastanza incarnati, abbastanza intrisi dell’odore del gregge da aver imparato a parlare la sua lingua.

– Da ultimo, velato, ma non meno rilevante, si può ritrovare l’invito all’AC a deporre le armi, laddove ve ne siano ancora di fumanti. Rispetto ai diversi carismi e movimenti, nei confronti dei quali l’invito è di essere luogo di incontro, senza paura di perdere la propria identità; e rispetto alle strutture diocesane e parrocchiali. Anche da questo punto di vista è forse il momento di ingranare una marcia diversa, lontana da rivendicazioni e lamentele, capace di rimanere nella tensione tra il non aspettare “a ogni passo che vi dicano che cosa dovete fare” e il non essere persone “che non rispondono a nessuno e vanno cercando ciò che più li aggrada di ogni luogo”. Anche in questo caso un’AC lievito nella pasta, silenziosa ma feconda.

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