Adriana Zarri, il silenzio che parla

Chi è stata veramente Adriana Zarri? Un bel libro di Mariangela Maraviglia prova ad offrirci un racconto finalmente veritiero...
2 Marzo 2021

La vicenda di Adriana Zarri, teologa, scrittrice, poetessa, divulgatrice della bellezza del Creato e di un Dio non accomodante (1919-2010), si inserisce a pieno titolo nella più grande storia del cattolicesimo in Italia nel secolo appena passato. Seppur sia stata, la sua, una storia “minima”, vissuta all’interno di un processo storico ed ecclesiale che si andava componendo prima e soprattutto dopo il Concilio Vaticano II, in realtà anche la sua vita più pubblica non ha avuto sempre delle ricadute in termini di un racconto veritiero.

Viene a saldare questo debito di ricostruzione storica Mariangela Maraviglia, ricercatrice in Scienze religiose e già autrice di interessanti saggi su Primo Mazzolari e David Maria Turoldo, con un libro puntuale e fedele, Semplicemente una che vive. Vita e opere di Adriana Zarri (Il Mulino, 2020), scritto avendo davanti a sé le fonti storiche, il racconto di chi l’ha conosciuta, e un lavoro fine di studio dei suoi scritti e libri.

Un libro davvero prezioso. Per due fondamentali motivi. Il primo è che ci restituisce per intero la figura di una donna innamorata di Dio, dell’umanità e del Creato, pienamente inserita in un periodo storico in cui parlare o farsi ascoltare, specie se donna, specie se con idee avanti con i tempi e con vis polemica, era davvero difficile. Una storia che i cattolici italiani ebbero modo di far crescere, sia all’interno del movimento cattolico italiano nel suo complesso, sia come laici “singoli”, con la loro testimonianza profetica personale e non collegata a nessuna istituzione gerarchica. Adriana Zarri, innanzitutto, è riuscita a farsi ascoltare, fin dagli anni sessanta, in una Chiesa italiana assai restia a riconoscere dignità e valore alla voce dei laici e delle donne. La stessa Maraviglia sostiene che «diceva di sé, con un tocco di ironia, di essere in Italia il “capo storico” della valorosa schiera di teologhe che si andava affermando sulla scena delle Chiese cristiane. Lei, però, a differenza delle donne che studiavano nelle facoltà teologiche e dagli anni settanta iniziavano anche a insegnarvi, non si formò in percorsi accademici, e lontano dall’accademia fu anche il suo modo di essere teologa».

Una storia di amicizie, di ricerche teologiche, di anticipazioni pastorali in un tempo storico in cui essere cristiani significava per la maggior parte appartenere a un partito politico o frequentare movimenti e associazioni cattoliche. Una donna che ha saputo incontrare la teologia e la ricerca di senso: con Giannino Piana, Cettina Militello, Piero Coda, Marie-Dominique Chenu, padre Benedetto Calati, e il vescovo Luigi Bettazzi, scrivendo articoli e saggi per L’Ultima, Il Gallo, Il nostro tempo, Humanitas, Studi cattolici, Il Regno, Politica, Settegiorni, Rocca, L’Osservatore della domenica.

Celebre la sua amicizia con Rossana Rossanda – fu a causa di questa amicizia vera che scrisse per Il Manifesto –, Sergio Zavoli, Pietro Ingrao: con loro condivise l’entusiasmo per le novità promesse dal Concilio Vaticano II e per un dialogo tra agnostici atei e credenti senza veti e muri invalicabili.

Partecipò alla trasmissione tv Samarcanda di Michele Santoro, e pur vivendo una vita ritirata ed eremitica, non si sottrasse alle polemiche del tempo, come le leggi sull’aborto e su divorzio. Con padre Benedetto Calati, priore generale dei monaci camaldolesi, promosse all’eremo di Monte Giove Itinerari e incontri tra intellettuali di culture diverse, per ascoltarsi e confrontarsi discutendo di temi come l’immagine di Dio, legge e libertà, povertà e proprietà, morte e resurrezione, potere e lavoro, identità e differenza sessuale.

Il secondo motivo dell’importanza di Adriana Zarri sta nella sua scelta di un monachesimo laico vissuto, da donna, con orgoglio e dignità. Un silenzio che parla, potremmo dire oggi, definendo il carisma di Adriana Zarri.

«Fu forse la prima donna italiana – racconta ancora l’autrice del libro – che scelse l’eremitismo, la vita solitaria scomparsa da secoli che stava rinascendo nel nostro paese a partire dagli anni Sessanta. Fu una scelta dettata da una necessità interiore, non come alcuni pensarono da delusione per il clima ecclesiale “restauratore” del post-concilio. Ne scrisse come di una esigenza “di gioia e di incontro con Dio e con gli uomini”, rivendicandone la normalità di una vita come tante e difendendone l’assoluta laicità e autonomia da qualsiasi struttura ecclesiastica».

Gli eremi dove visse Adriana Zarri divennero ben presto oasi di armonia e bellezza, in cui la fedeltà ai ritmi monastici si intrecciava alla libertà di ricreare antichi riti che rinnovavano quotidianamente l’attesa del Signore Gesù, lodando la terra e il cosmo.

Tanta Bibbia, insomma, in Adriana Zarri. Un po’ di San Francesco, Teilhard De Chardin, i Padri della Chiesa, Jurgen Moltmann. Una penna competente e libera che, naturalmente, fu oggetto di reprimende pubbliche e private ma, allo stesso tempo, guadagnandosi l’amicizia e il rispetto di chi credeva in un “cattolicesimo adulto”, come Giorgio La Pira, Ernesto Balducci, padre Turoldo, e vescovi profetici come Michele Pellegrino e Carlo Maria Martini.

La sua eredità più importante? Un eremo non è un guscio di lumaca, per riprendere il titolo di un suo fortunato saggio. Il silenzio orante come arma pacifica per respirare l’alito di Dio sulla terra e sul Creato.

A leggere alcune polemiche su monachesimo, monasteri e dintorni, che appaiono sotto i nostri occhi anche in questi tempi incerti, la storia di Adriana Zarri non solo non appartiene al passato, ma, a maggior ragione, contiene in sé scampoli di futuro, per una Chiesa davvero in uscita.

 

2 risposte a “Adriana Zarri, il silenzio che parla”

  1. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    Visto cosa succede ad aprire la Parola alle donne!? Dovevate pensarci prima.. adesso è troppo tardi! Mica possiamo più attaccarci al peso del cervello! Come fare a zittirle con Autorità quando discernono meglio di noi? Quando hanno scoperto le meravigliose figure femminili della Parola?
    Adesso è troppppo tardi. Aprire, aprire e poi ancora aprire.

  2. Dario Busolini ha detto:

    Concordo pienamente e sottolineo le tre righe finali del testo, quantomai calzanti. Anche in tema di spiritualità monastica oggi la voce delle donne può essere più profonda di quella di tanti uomini.

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