Aboliamo i seminari! (2)

Il modello di formazione dei futuri preti è diretta conseguenza del modello di Chiesa che abbiamo in testa
6 Agosto 2021

Le reazioni all’articolo “Aboliamo i seminari!” mi hanno spinto a qualche ulteriore riflessione che provo a esprimere.

Intanto che una parte dei commentatori, sia in questo sito che nella pagina Facebook, si siano dimostrati molto contrari al mio testo non mi stupisce. Un possibile cambiamento del metodo formativo dei sacerdoti, per molte di queste persone, tocca al cuore lo statuto stesso del prete. Indicando con chiarezza come la difesa ad oltranza di una “fissità” pastorale sia ritenuto necessario per la difesa stessa della fede.

Con loro buona pace, devo dire che basterebbe conoscere un po’ di storia della Chiesa per rendersi conto che nessuna fissità pastorale ha mai preteso di “incarnare” l’unica possibile traduzione della fede. Persino la celebrazione eucaristica è cambiata almeno 6 volte nell’arco di duemila anni di storia.

Più sorpreso, invece, sono stato per le reazioni negative di alcuni operatori pastorali, che svolgono il loro ministero proprio nei seminari, che in alcuni casi mi sono parse davvero inconciliabile con i dati e i vissuti relativi agli stessi seminaristi. Si tratta di riscontri che in vario modo sono presenti nella Chiesa almeno da metà degli anni ’80 (penso alle indagini sulla condizione dei seminaristi operata allora da P. Rulla) e confermati dai numeri degli abbandoni dello stato clericale in Europa e Stati Uniti, rispetto al totale dei seminaristi che sono diventati prete. Non da ultimo ribaditi dall’indagine svolta in Francia sulla condizione esistenziale dei preti, ben documentata dal Regno Attualità.

A fronte di queste informazioni, negare che i seminari siano in crisi, nella loro capacità di formare preti in grado di vivere con sufficiente pienezza e di essere abbastanza attraenti testimoni di Cristo nella società europea e americana, è molto difficile a meno che non si neghi la realtà.

Ma, dal mio punto di vista, ancora più interessante sono state le reazioni di coloro che hanno cercato di portare oltre il mio scritto e di offrire piste nuove per un eventuale cambiamento dei seminari. Ognuno ha sottolineato un aspetto o più di ciò che sarebbe necessario fare, senza però una sufficiente considerazione del legame che intercorre, in sede pedagogica e di formazione, tra metodo e obiettivi.

Se, ad esempio  si ipotizza che i futuri seminaristi dovranno vivere in piccoli gruppi in appartamenti a loro dedicati, invece che in un unico stabile centralizzato, si tende a privilegiare un prete che sappia relazionarsi meglio coi i propri confratelli, in modo che la loro relazione “sostenga” meglio la loro solitudine e che la pastorale risenta meno delle incomprensioni e contraddizioni che oggi appaiono tra di loro. Ma manteniamo pur sempre il sostegno alla frattura tra clero e popolo, educandoli perciò involontariamente all’idea che il sacerdote è una “cosa a parte” dalla comunità.

Se ad esempio si ipotizza che vada potenziata la formazione teologica, mantenendola separata da quella prevista per i laici, si tende a privilegiare una competenza migliore nella concettualizzazione della fede, cosa effettivamente necessaria, ma si persegue ancora l’idea che la fede vada prima capita e poi vissuta e che il prete sia il detentore della verità di fede e gli si consegna di fatto un’autorità superiore a quella dei laici formati teologicamente. Non favoriamo certo la fine del clericalismo.

Questi esempi (e potrei continuare) solo per dire che il modello di formazione dei futuri preti è diretta conseguenza del modello di Chiesa che abbiamo in testa. Per questo motivo non è possibile semplicemente sommare le migliori proposte di cambiamento dei seminari e amalgamandole un po’ tra loro, per risolvere il problema della formazione dei preti. Prima di risolvere ciò, è necessaria una chiarificazione, se non una condivisione, del modello di Chiesa che vorremmo per il futuro di questa parte del mondo. Che ci piaccia o no i preti non sono qualcosa “a parte” dal popolo di Dio, anche se spesso li riteniamo tali e molti di loro si percepiscono così. Perciò è evidente che il modo con cui pensiamo le forma della comunità sarà la linea inevitabile con cui immaginiamo la formazione futura dei preti.

In Italia si sta aprendo la stagione del sinodo. Ho forti dubbi sul fatto che si avrà il coraggio di provare davvero a dare forma all’idea di Chiesa italiana del futuro, ma questo sarebbe necessario, E all’interno di questo, allora, si potrebbe provare a mettere le mani anche nei seminari. Ma anche per il sinodo vale la stessa correlazione, già vista per i seminari, tra metodo e obiettivi. Il modo con cui si conduce il sinodo sarà già un segno di quale modello di Chiesa si tenderà a privilegiare: dall’alba si capisce il giorno.

5 risposte a “Aboliamo i seminari! (2)”

  1. marcella andretti ha detto:

    Il maggior difetto che ravviso nel prete è quello dell’incapacità ad obbedire. E’ un prezzo da pagare alla scelta celibataria, che spesso si trasforma in una scelta individualista. La vita matrimoniale ti costringe all’obbedienza: non si può fare famiglia se non ci si obbedisce reciprocamente, un coniuge all’altro, i figli ai genitori, ma anche i genitori ai figli. Devi adattarti di continuo alle esigenze altrui, sia quando i figli sono piccoli, sia quando sono adulti. Il prete nell’attuale impostazione del seminario, viene educato ad essere autonomo, detentore delle verità di fede, unico soggetto cui è delegata la funzione del discernimento, istanza ultima nella gestione della parrocchia. E non c’entra il fatto che sia un prete mediocre o un santo prete: è proprio il modo con cui è stato educato.

  2. don Massimo De Propris ha detto:

    Credo che lei abbia centrato la questione: . La questione del modello di presbitero è indissolubilmente legata al modello di Chiesa. Il Seminario forma uomini che stiano al vertice della piramide. Tale concezione, affatto in linea con l’Ecclesiologia del Vaticano II, è a mio avviso alimentata da immagini emotivo-sentimentali come quella del padre (applicata al presbitero) e di famiglia (applicata alla Chiesa) che non ha riferimenti nel Nuovo Testamento e che rischia solo di alimentare visioni paternalistico-clericali del Ministero Ordinato. A tutto questo si deve aggiungere il Codice di Diritto Canonico, che vede, soprattutto nel Parroco un plenipotenziario la cui responsabilità è difficilmente delegabile.
    Il Sinodo potrebbe, a mio avviso, con coraggio affrontare questi temi. Lo farà?

  3. Davide Corallini ha detto:

    La gente è contraria non per fissità, ma semplicemente perchè non è d’accordo. Piaccia o no, quel modello di seminario (da rinnovare ma non abolire) ha contribuito a far arrviare la Chiesa dov’è adesso. Questo è il dato più grande su cui soffermarsi, compresa la fucina di Santi, malgrado gli effetti secondari, se non di più, come le vocazioni di stampo economico o politico riportate nel precedente articolo. Ci sono esempi in cui i preti non sono “qualcosa a parte dal popolo di Dio”. Ci sono situazioni da cambiare, ma non buttiamo completamente a mare tutto.
    Un ultima cosa: se pensiamo che il Sinodo possa risolvere tutte le questioni della Chiesa, diamo un peso e un obbligo ai Padri Sinodali, e alla Chiesa in generale, che non sarà in grado di portare a compimento, generando così l’idea che è un Sinodo che ha fallito…perchè “non ha risposto, non ha saputo affrontare, non ha voluto” ecc. Un Sinodo non può rispondere a tutto, per certe cose servono i Concili.

  4. Angelo Sabatino ha detto:

    Il punto fondamentale è la fissità in ambito ecclesiale. Lo vediamo spesso con i documenti di papà Francesco riguardo a rinnovamento in alcuni ambiti. Si ragiona non in virtù del fatto che abbiamo a che fare con persone bensì con regole da sempre usate. Io penso che ogni seminarista può frequentare il seminario come tutti gli universitari e fare attività di formazione, per il resto dovrebbe stare in parrocchia e svolgere il suo servizio. Non ha senso far vivere una vita comunitaria a chi ha deciso di fare il sacerdote diocesano.

  5. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Un cambiamento radicale per una impostazione da essere adatta al laico tempo presente? Quali i pilastri di formazione, un interno modulare come certe abitazioni oggi dove si dorme,mangia,legge senza privacy?Prima guarderei e chiederei ai Primi Sacerdoti, quelli diventati Papi, e poi guarderei a quelli che fanno la chiesa divisa, senza fedeli perché è al suo interno divisa, e il fedele rimane senza parola a sapere che tra colleghi non c’è dialogo, uno ha il potere sui confratelli da rendere la vita loro difficile, triste, umiliante. O ipocrita comunione di convivenza. Il fedele semplice per essere evangelizzato ha bisogno di vedere la Parola e dove se non da un luogo sicuro, dove andare per trovare quello spirito che serva a illuminargli il camminare nella vita quotidiana. E’ indispensabile che il sacerdote abbia certa vocazione per non venire risucchiato dalla babele in cui si trova oggi a vivere.

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