Dopo l’ascolto, di cui la liturgia ci ha parlato la scorsa domenica, oggi ci viene presentato il tema dell’azione. L’ascolto non è fine a se stesso, ma cambia in profondità la prospettiva della vita e comporta un agire. Gesù nel brano del vangelo di oggi chiede: Seguitemi! ai suoi discepoli pescatori, ed essi lasciano la barca, le reti, addirittura il loro padre per seguirlo. Cosa dovranno fare? Diventare pescatori di uomini, per annunciare a questi uomini la salvezza.
Ma dopo l’entusiasmo iniziale, non è detto che la missione sia piacevole. Nella prima lettura, Giona viene mandato da Dio a Ninive, ma lui non ne ha tanta voglia, e solo al secondo richiamo di Dio si decide a obbedire. Deve andare a Ninive, una grande metropoli, che si può attraversare in ben tre giorni di cammino, per giunta corrotta, e avvertire i suoi abitanti della imminente distruzione della città e di quanti vi abitano a causa dei loro peccati (dopo quaranta giorni: quaranta è un numero simbolico nella Bibbia, indica il tempo della purificazione per riavvicinarsi a Dio; lo troviamo nel diluvio universale, nella permanenza degli ebrei e poi di Gesù nel deserto; successivamente, nella durata della quaresima): possiamo comprendere la sua titubanza! Inaspettatamente, però, i cittadini di Ninive ascoltano Giona e si pentono, scongiurando così la punizione divina: Dio non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva (cfr Ez 33,11; Lc 15,10).
Il povero Giona si sarà stupito dell’efficacia della sua predicazione! E avrà rivolto una preghiera al Signore con le parole del Salmo: Insegnami, Signore, i tuoi sentieri, guidami nella verità e istruiscimi; perché sei tu il Dio della mia salvezza, in te ho sempre sperato.
Ma come mi dispongo ad accogliere gli insegnamenti del Signore? Ce lo spiega san Paolo, che ci insegna il distacco dal mondo, che è destinato a passare: Quelli che godono[vivano] come se non godessero, quelli che comprano, come se non possedessero, quelli che usano del mondo, come se non ne usassero appieno. Il tema del distacco dalle cose del mondo si ritrova in altri testi, per esempio in Gv 15,19, quando Gesù dice: Voi non siete del mondo, ma io vi ho scelto dal mondo.
In che cosa consista questo “non essere del mondo pur vivendo nel mondo”, ce lo chiarisce molto bene la Lettera a Diogneto, un testo del terzo secolo di cui non conosciamo né l’autore, né il destinatario:
I cristiani non si differenziano dagli altri uomini né per territorio, né per il modo di parlare, né per la foggia dei loro vestiti. Infatti non abitano in città particolari, non usano qualche strano linguaggio, e non adottano uno speciale modo di vivere. Questa dottrina che essi seguono non l’hanno inventata loro in seguito a riflessione e ricerca da parte di uomini che amavano le novità, né essi si appoggiano, come certuni, su un sistema filosofico umano. Risiedono poi in città sia greche che barbare, così come capita, e pur seguendo nel modo di vestirsi, nel modo di mangiare e nel resto della vita i costumi del luogo, si propongono una forma di vita meravigliosa e, come tutti hanno ammesso, incredibile. Abitano ognuno nella propria patria, ma come fossero stranieri; rispettano e adempiono tutti i doveri dei cittadini, e si sobbarcano tutti gli oneri come fossero stranieri; ogni regione straniera è la loro patria, eppure ogni patria per essi è terra straniera. Come tutti gli altri uomini si sposano ed hanno figli, ma non ripudiano i loro bambini. Hanno in comune la mensa, ma non il letto. Vivono nella carne, ma non secondo la carne. Vivono sulla terra, ma hanno la loro cittadinanza in cielo. Osservano le leggi stabilite ma, con il loro modo di vivere, sono al di sopra delle leggi. (…) Insomma, per parlar chiaro, i cristiani rappresentano nel mondo ciò che l’anima è nel corpo. L’anima si trova in ogni membro del corpo; ed anche i cristiani sono sparpagliati nelle città del mondo. L’anima poi dimora nel corpo, ma non proviene da esso; ed anche i cristiani abitano in questo mondo, ma non sono del mondo.
La prospettiva presentata non è certamente facile, e merita una riflessione. Paolo dice che “la scena del mondo passa”, e possiamo notare una assonanza con il concetto buddista di impermanenza. Ma i cristiani devono anche agire nel mondo per annunciare agli esseri umani la salvezza (come Giona con gli abitanti di Ninive) e quindi possiamo declinare le indicazioni della lettera a Diogneto come la capacità di non farsi condizionare dal mondo e dalle sue logiche, rimanendo invece aderenti ai valori permanenti presentati dal Vangelo.
Nei tempi attuali, coltivare la capacità di non farsi condizionare dalle logiche del mondo, logiche volte al profitto e allo sfruttamento, significa mantenere la sanità mentale, non farsi risucchiare da un meccanismo che ci vede come insaziabili consumatori che inseguono una illusoria felicità, come un asino insegue la carota legata su un bastone davanti al suo muso. In una società della velocità e della insaziabilità, in cui vengono presentati modelli irraggiungibili e tossici di pseudoperfezione, in cui l’immagine conta più della persona e il profitto più di qualunque altra cosa, saperci distaccare ci garantisce salute mentale ed equilibrio personale, merci rare al giorno d’oggi, come ben sappiamo.
Ancora san Paolo ci viene in soccorso dandoci in poche righe delle precise indicazioni operative (1Tess 5,15-22):
Guardatevi dal rendere male per male ad alcuno; ma cercate sempre il bene tra voi e con tutti. State sempre lieti, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie; questa è infatti la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi. Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie; esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono. Astenetevi da ogni specie di male.
Impegnarci a mettere quotidianamente in atto queste indicazioni potrebbe portarci a sperimentare la felicità possibile nella vita, quella che proviene dalla saldezza in se stessi e nei propri valori fondati nel Vangelo, con l’umiltà di non sentirsi superiori a nessuno, ma anche con la libertà di non sentirsi sottoposti a nessuno, né a mode né a condizionamenti sociali, ma solo alla propria coscienza.
Potrebbe veramente valere la pena provarci!
Quando Dio cerca l’uomo, si fa trovare, gli va incontro, Abramo, Mose, Paolo, Pietro, e tutti i Santi che la storia annovera, dimostra che cosa significa riconoscerlo come Padre, dall’amore verso l’uomo che Lui stesso ha creato, che non ha mai abbandonato a se stesso. Il suo amore per la creatura non lo fa desistere dal seguirlo sempre, neppure quando l’uomo si distrae per seguire ciò che la sua umana libertà gli fa desiderare : la sua intelligenza lo fa a sua volta creatore, capace di opere grandi, di valore vitale. Dio non impone, Cristo quasi implora il Padre pietà per quelli che lo stanno crocifiggendo, perché “non sanno quello che fanno.” infatti non lo hanno conosciuto malgrado il bene praticato: ciechi,malati,morti sanati e resuscitati. Da Risorto non tutti convinti che è Lui il pane di cui anche l’uomo di oggi ha bisogno di cibarsi e comprendere perché tutto il mondo sembra un voler autodistruggersi