Un Dio che ama la vita

«Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui»
6 Novembre 2016

XXXII domenica del tempo ordinario: Lc 20,27-38

PORTA DELLA MORTE (Giacomo Manzù, 1964, Città del Vaticano, Basilica di San Pietro)

 

Si chiama “della morte”, questa Porta, perché rappresenta dei trapassi. Nei rilievi superiori, sono poste l’Assunzione di Maria e la Deposizione di Gesù; negli otto che seguono, vengono raffigurate tre morti violente (di Abele, di S. Stefano e del partigiano, appeso per i piedi), seguite da quelle di S. Giuseppe e di S. Gregorio VII (avvenuta in esilio, a Salerno); poi una morte nello spazio e una sulla terra, la più straziante di tutte: quella di una madre davanti al proprio bambino; infine S. Giovanni XXIII (al posto di una morte nell’acqua, programmata in un primo tempo), in omaggio al grande pontefice che aveva dato coraggio all’artista e alla Chiesa.

Per chi ha fede, tali figure sono tutte dies natalis, giorni di nascita, inizi della vita senza fine. Così che, rendendo improprio il nome della Porta, spingerebbero a ribattezzarla “della vita nuova”.

Al di là del fatto che «il poeta è cantore di vita anche quando parla della morte» (Thomas Mann), questa Porta è un inno alla vita persino nei piccoli animali scolpiti alla base. E le persone ritratte, anziché dare l’idea d’essere dei cadaveri, paiono creature che non hanno smesso di vivere perché sono riuscite a dare frutto, trasmettendo il significato dell’esistenza a chi è venuto dopo.

Proprio come i simboli eucaristici posti tra i pannelli superiori e quelli inferiori: non pane e vino, ma spighe tagliate e tralci di vite, ossia ciò che erano nel momento della morte, prima della trasformazione in pane e in vino e poi assurte – nella consacrazione – a segno del corpo e del sangue di Gesù.

Si fa più chiara la funzione stessa della Porta, che da chiusura diventa soglia, luogo di passaggio da una realtà a un’altra migliore.

Per la realizzazione di quest’opera sono stati fondamentali l’artista e l’artefice. Sebbene non fosse credente, Manzù aveva fiducia nella possibilità di cambiare: «Nonostante tutto, sono ottimista. Credo che gli uomini riusciranno a fare presto una umanità nuova». E una Chiesa nuova era ciò che sognava papa Giovanni, quando indisse il Concilio Vaticano II (ricordato nella parte interna della Porta).

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