III domenica di Pasqua: Lc 24,35-48
COSTANTE UOMO (Fausto Melotti, 1936, Milano, Fondazione Fausto Melotti)
Chissà che lo scultore, prima di scavare quella mano, guardando il suo uomo ridotto all’essenziale, non abbia pensato: «Quanto somiglia a un manichino!». E magari si sia posto la domanda: «Riuscirà un simbolo, semplificato al massimo, a dire qualcosa di sé, del proprio significato?».
Chissà che non sia stato quello il momento in cui l’artista ha intuito il limite della metafisica: il non tenere in nessun conto la storia. E si sia deciso a imprimere sulla scultura una sorta di marchiatura a fuoco, non a forma di ferita ma di gesto d’amore ricevuto. Se l’uomo – si sarà detto Melotti – resta capace di conservare, oltre alla vita avuta in dono, il calore di un incontro, può perdere la freddezza del manichino ed è persino in grado di accendere al bene qualcuno.
È ovvio come tutto ciò sia solo nei nostri sogni. Però potrebbe essere verosimile, in un artista che nei primi anni ’30 aveva realizzato non pochi episodi evangelici: in particolare una Cena in Emmaus e un’originalissima Pietà, in cui la Vergine – anziché deporre il corpo morto del figlio – sembra volerlo innalzare, prefigurandolo risorto.
Con questo corpo – e col nostro corpo – abbiamo a che fare oggi. Invece di confinarli nelle immagini, consideriamo come i corpi possano essere messi a disposizione. In vista di azioni da compiere per gli altri e assieme agli altri. A Emmaus, il corpo del Signore ha saputo farsi compagno di strada; ha spiegato con sapienza le Scritture, aprendo gli occhi agli sfiduciati; ha benedetto e condiviso il pane. E, anche dopo Emmaus, non smette di spezzarsi e di donarsi, continuando a insegnare e a dire che l’amore è più forte della morte.
Ricordare di avere una carezza tatuata sul corpo, vuol dire, ad esempio, lasciarci interpellare da chi – come Gesù – ci chiede qualcosa da mangiare…