II domenica di Pasqua: Gv 20,19-31
«MIO SIGNORE E MIO DIO!» (Thomas Denny, 1992, Gloucester, Cattedrale di S. Pietro e della Santa e Indivisibile Trinità)
In tre vetrate di una chiesa anglicana, si è pensato in modo nuovo a Tommaso. Non più dipinto come l’uomo dei dubbi, è ora l’uomo che, fugati i dubbi, canta le lodi del Signore. E, sentendosi una piccola parte dell’immensità del creato, si ridimensiona… fin quasi a scomparire.
Di solito, nelle opere che lo rappresentano, l’apostolo tende a rubare la scena a Gesù, col suo non fidarsi e chiedere verifiche (al punto che, spesso, lo si vede impugnare una squadra da falegname). E poiché Gesù lo invita a guardare e a toccare, guidandogli la mano o alzando il proprio braccio, gli artisti – quasi sempre – mostrano un Tommaso controllore (anche se non è scritto che ciò sia avvenuto).
Ma, se il suo riconoscimento si ferma qui, non si discosta da un atto poliziesco («Sì, è lui»), formale e privo di gioia. Si rischia di dare un peso enorme all’ego di Tommaso, che ha avuto soddisfazione, e soprattutto non si riesce a rendere l’espressione «Mio Signore e mio Dio!», che riporta l’apostolo coi piedi per terra, in una comunità più grande di lui, capace di aiutarlo a riconoscere ciò che Dio ha fatto.
Così, a Gloucester, si è fatta un’altra scelta: quella di dare spazio all’atto di fede di Tommaso, immaginando che – appena esclamato «Mio Signore e mio Dio!» – si sia messo a recitare il Salmo 148, in cui le creature celebrano la grandezza del Creatore. Per cui, se la finestra centrale del trittico riproduce Gesù e Tommaso, le due laterali propongono un’eruzione dei doni di Dio. Tutti insieme – angeli e cose, animali e persone – esultanti nel celebrare «il nome del Signore, perché solo il suo nome è sublime: la sua maestà sovrasta la terra e i cieli».
Leggero come un uccello, non come una piuma, lo Spirito sta cominciando a far uscire i discepoli dalle loro paure…