Tante lingue in un solo Spirito

«Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre»
15 Maggio 2016

Pentecoste: Gv 14,15-16.23b-26

LE LINGUE DELLA PENTECOSTE (1150 ca., Venezia, Basilica di San Marco)

 

Fra tante rappresentazioni della Pentecoste, non troppo dissimili tra loro (a volte varia solo la lunghezza delle fiammelle dello Spirito), ci ha intrigato la potenza di questa immagine. Prima di tutto per la sua collocazione in una cupola, che ha il valore aggiunto di richiamare la volta celeste e di farci sentire – allo stesso tempo – cittadini del mondo e cittadini del cielo. In secondo luogo, per la voglia di mostrare di che cosa sia capace lo Spirito Santo e di che cosa siamo capaci noi con lui.

È la sua colomba quella che vediamo al centro. Quella stessa colomba che, segnalando la fine del diluvio, era stata simbolo della misericordia di Dio, quella stessa che era discesa su Gesù dopo il suo battesimo… ora è sul trono preparato per il ritorno del Signore, intenta a distribuire il suo dono.

I dodici raggi di luce, che fanno cadere lingue di fuoco sul capo degli apostoli, della cupola sembrano i costoloni e ci ricordano un pensiero di Leonardo da Vinci su questo tipo di copertura. La cui forza – osservava – è nell’unione di tante debolezze, nessuna delle quali sa stare in piedi da sola: ciononostante ogni parte, ancorandosi alle altre e a un centro, può rendere possibile questa meraviglia. Una regola valida anche per gli apostoli, che non solo non possono fare a meno degli altri ma sono tanto più solidi quanto più capaci di unità, senza cedere alle tentazioni dell’individualismo.

Questa Pentecoste veneziana dice anche come il fuoco dello Spirito sia da passare ad altri, non da tenere stretto. Infatti non si ferma sugli apostoli e prosegue, sotto di loro, nell’entusiasmo con cui annunciano alle genti le grandi opere di Dio. Alla base della cupola, tra sedici finestre, sono raffigurati i sedici popoli citati dagli Atti: «Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadocia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfilia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e proseliti, Cretesi e Arabi».

Non più ammucchiati in un elenco, i popoli sono ripresi dal mosaico uno per uno, col proprio nome e nel proprio abito, ognuno stupito di sentir parlare gli apostoli – che erano galilei – nella propria lingua nativa. Ognuno, dunque, esaltato nella propria individualità, non annullato da una lingua comune. E ognuno rappresentato da due persone in dialogo, una anziana e l’altra giovane, a dire la trasmissione del Vangelo di generazione in generazione.

Non esiste immagine della Pentecoste che, meglio di questa, faccia vedere il cambiamento operato dallo Spirito: le lingue, che – dopo Babele – erano segno di divisione, fatte per non capirsi (Gen 11), ora – grazie allo Spirito – servono a capirsi. Ad arricchirsi vicendevolmente di suoni e di figure. A dire Dio sempre meglio e a comprenderlo meglio.

È una felice combinazione che si chiamino allo stesso modo – lingue – quelle di fuoco e quelle della comunicazione: così numerose, così ramificate, così diverse nello spazio di pochi chilometri, riescono a non disperdersi a condizione di restare unite nello Spirito. Un po’ come i tralci, che portano frutto se rimangono nella vite…

 

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