In queste settimane, per motivi fortuiti, ho assistito a tre Messe domenicali in cui le varie comunità ricordavano gli anniversari di matrimonio: in due casi su tre avrei preferito evitare di incrociare tali occasioni.
Nel primo caso, il sacerdote, durante l’omelia, ha ricordato ai coniugi (i quali festeggiavano 10, 25, 40, 50, 60 anni di matrimonio) che «sull’amore avreste voi da insegnare a me», per cui ha evitato retoriche e fervorini edificanti e si è concentrato sulla Parola di Dio del giorno, ricavandone spunti per tutti i presenti, a partire dal tema della gratitudine. La Messa si è svolta normalmente, con la sola benedizione delle coppie: il tutto è durato 50 minuti. E questa è stata un buona esperienza.
Una seconda domenica, presente in un’altra parrocchia, si ricordavano medesimi anniversari: il sacerdote qui ha voluto spendersi in un’omelia abbastanza lunga, verbosa e retorica, in cui sostanzialmente andava a spiegare ai coniugi come conservare l’amore di coppia, condividendo anche discutibili riflessioni sulla vocazione: «se Dio non ti avesse fatto incontrare quella persona?», «Quell’incontro era voluto da Dio dall’eternità»… Poi ci sono stati vari momenti ‘paraliturgici’ (rinnovo delle promesse matrimoniali, benedizione degli anelli, etc), applausi, doni, e così via; la messa è durata quasi un’ora e un quarto.
In una sorta di climax ascendente, arriva la terza domenica, in una terza parrocchia: mio malgrado sono capitato nella stessa ricorrenza: qui però si ricordavano gli sposi che festeggiavano 25, ma soprattutto 50 e 60 anni di matrimonio. E, fra le tre occasioni, questa è stata la più faticosa: il celebrante ha ritenuto di dover parlare del matrimonio sia all’inizio della celebrazione, sia all’omelia, sia al Padre Nostro, sia dopo la comunione. L’omelia, stucchevole a dire poco, è stata un condensato di luoghi comuni e di consigli non richiesti su come ‘far funzionare’ la famiglia, la coppia, sostando ampiamente sul tema della fedeltà, della purezza e della pazienza. Poi vari auspici futuri, grandi affreschi emotivi sull’amore e, cosa ancora discutibile, un discorso sulla vocazione matrimoniale come ‘chiamata di Dio’ senza la quale nessuno è felice.
Dopo vari momenti ‘paraliturgici’, applausi, etc… c’è stato anche, all’interno della Messa, dopo la comunione, l’appello a ogni singola coppia che saliva all’altare per prendere un regalo (ampiamente spiegato). Dopo quasi un’ora e mezza, nel mentre di questa scenetta, sono uscito, avendo accompagnato alcuni bambini (poveri loro).
Tre brevi considerazioni mi sembrano d’obbligo.
La prima: perché alcuni sacerdoti sentono spesso l’irrefrenabile impulso di usare le omelie per spiegare per filo e per segno a coniugi ampiamente navigati come far vivere la coppia e alimentare l’amore matrimoniale, dando consigli astratti, vacui, retorici, senza nemmeno rendersi conto dell’imbarazzo che talvolta suscitano? Senza rendersi conto di quanto sono fuori luogo o di quanto parlino solo per ‘sentito dire’? Non basta la Parola di Dio, durante una Messa, per ispirare con gratitudine pensieri e condivisioni di vita buona? Che ironie e imbarazzi creerebbe una coppia di coniugi che predicasse sul celibato sacerdotale a un 25° di ordinazione? Si badi bene: è utile e anche necessario mettere in dialogo gli stati di vita e i percorsi esistenziali, in un reciproco e paritario arricchimento, ma bisogna evitare la solita modalità del prete che spiega cose che non ha mai vissuto, se non da lontano.
Secondo: vivere una comunità come una fraternità in cui si gioisce e si piange insieme è un ideale bellissimo e, laddove di realizza, un’esperienza molto buona, probabilmente la migliore. Ma dato che questo sovente non accade, perché trasformare una celebrazione comunitaria domenicale aperta a tutti in un lungo momento focalizzato solo su alcuni, quasi ‘prendendo in ostaggio’ il resto dei fedeli per un tempo totalmente sproporzionato? Perché non vivere un equilibrato momento di ricordo e gioia, senza dilatare oltre misura le occasioni (o magari pensare a momenti ad hoc, ideati e condivisi con gli interessati)?
Terzo: ma a due giovani che ancora scelgono di sposarsi, che modello di coppia si offre mediamente in queste occasioni? Soprattutto: siamo consapevoli di comunicare troppo spesso un’idea di vocazione come ‘cieca obbedienza’ a una volontà di Dio che già ha deciso tutto, sfiorando nella sostanza una predestinazione e non come un appello all’amore che nasce, cresce, si fortifica dentro una libera relazione con Dio che non ha ‘dall’eterno’ già stabilito ogni cosa? Su questo punto, oggi dirimente, verrà la pena forse sostare più ampiamente.
Nel merito delle occasioni degli anniversari: ancora una volta, quando il narcisismo e la mancanza di sapienza prendono il sopravvento, si oscura la bellezza e la ricchezza dei doni dello Spirito.
La Quest omelie è niente altro che lo specchio delle difficoltà della chiesa e della fede. In attesa di tempi più entusiasmanti…. sospenderei le omelie (salvo alcune rare eccezioni). Al loro posto un po’ di Bach qualche poesia qualche opera pittorica
E noi che sposati non siamo e preti neanche? Quando partecipo a queste messe con fervorino sulla necessarietà della vocazione al matrimonio o all’altare mal convento. Che siamo noi single? Sordi? Egoisti che hanno scelto la via della perdizione? Lo sanno i reverendi che spessimo la condizione di single è una condizione dolorosa perche per la maggior parte i single sono tali per scelta di un’altra/o, non certo loro propria? lo sanno i reverendissimi quanti tanti siamo, o credono sempre di vivere negli anni cinquanta del secolo scorso? cadono sempre le braccia in queste occasioni e se ascoltassi la predica 2 o 3 mi sentirei un reietto un figlio di serie “b” …