Anche il Vangelo di questa terza domenica di Pasqua, che ci racconta la terza manifestazione di Gesù ai suoi dopo la resurrezione (Gv 21,1-19), offre molti e diversi spunti di riflessione. Uno è dato dalla figura Pietro, che qui ci appare istintivo, reattivo, entusiasta, in una parola autentico, come del resto era già apparso durante la lavanda dei piedi (“Signore, lavami non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!” – Gv 13,9) o quando aveva tentato di difendere Gesù dall’arresto e, in fondo, anche quando lo aveva tradito per tre volte.
Dunque, Giovanni ci racconta che un gruppo di discepoli si trovò sulla riva del Mare di Galilea. Non sappiamo perché, ma Pietro dice: “io vado a pescare”. Non chiede cosa vogliamo fare, che ne dite se facciamo questo o quello… Dice “io vado”. È la decisione giusta? Forse no, ma ci sono momenti in cui bisogna prendere l’iniziativa, non fosse altro che per reagire all’incertezza e impedire che diventi scoraggiamento. E potrebbe anche succedere che la decisione alla fine si riveli buona.
Gli altri decidono di seguirlo, ma «quella notte non presero nulla». Dunque, non era stata una buona idea, andare a pescare. Ma non è detto che le decisioni che non raggiungono l’obiettivo siano sbagliate: è vero, il pesce non c’è, ma intanto siamo rimasti insieme, abbiamo superato insieme anche questa notte.
E nel frattempo qualcosa è successo: c’è un uomo sulla riva. Come le altre volte, gli apostoli non lo riconoscono e quindi è solo uno sconosciuto che si permette di dare un consiglio non richiesto: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». Ci sarebbe da mandarlo a quel paese, dopo una notte di tentativi falliti. Invece i discepoli lo ascoltano, buttano la rete e non riescono più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Ancora una volta una decisione irragionevole, eppure è quella giusta.
Allora «quel discepolo che Gesù amava» intuisce e dice a Pietro: «È il Signore!». Pietro non ci pensa su, si riveste e si butta in acqua. È Giovanni che ha l’illuminazione, ma, per la seconda volta, è Piero che reagisce e agisce. In modo istintivo e probabilmente irrazionale, ma agisce, spinto dall’entusiasmo e dall’affetto per il suo Maestro. Molto più razionale è la decisione presa dagli altri discepoli, che si accollano la fatica di portare a riva la barca con tutti i pesci. Ognuno ha il proprio dono e il proprio ruolo, chi quello di vedere lontano, chi quello di mantenere la calma e portare a termine il progetto, chi quello di… buttarsi in acqua per Gesù.
A riva, Gesù li invita a mangiare insieme. E, ancora una volta, è Pietro che reagisce e agisce: risale nella barca e trascina a terra i pesci, che sono tanti (153) e pure grossi. E nonostante questo, la rete non si squarcia. E come potrebbe rompersi, se tutti quei pesci sono stati catturati seguendo l’indicazione del Maestro?
Finalmente è arrivato il momento della gioia. Si è di nuovo insieme, si può condividere, ci si può riposare dopo la notte difficile e frustrante.
Ma il momento più difficile per Pietro deve ancora venire. Ed è quando Gesù gli chiede: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Pietro non ha dubbi nel rispondere («Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene») e Gesù gli fa una raccomandazione che è un’investitura: «Pasci i miei agnelli». Fin qui, un momento emozionante e di profonda unità tra il maestro e il suo discepolo. Ma Gesù insiste: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Pietro risponde con la stessa convinzione della prima volta e Gesù gli risponde con lo stesso invito: «Pascola le mie pecore».
E però Gesù insiste ancora, e gli rifà per la terza volta la domanda e questa volta Pietro ci rimane male, anzi “addolorato”. Dunque il Signore, che pure sa tutto, non gli crede? Comunque, per la terza volta Pietro risponde, e per la terza volta Gesù ripete «pasci le mie pecore». Ma in realtà questa terza domanda è diversa. Nella prima Gesù aveva chiesto «mi ami?» (agapáo) e Pietro aveva risposto «ti voglio bene» (philéo): in questo cambio di verbo possiamo vedere una presa d’atto dei propri limiti, una consapevolezza di non essere in grado di vivere fino in fondo l’amore-agape. Nella terza domanda anche Gesù chiede «mi vuoi bene?», come se avesse accettato e accolto quel limite. In questo gioco di verbi vediamo un Pietro più maturo, umile, consapevole.
Tre volte Pietro aveva tradito, tre volte ribadisce il suo amore. Profondo è l’abisso in cui possiamo cadere, ma altrettanto profondo è l’amore che ci permette di risalire e riscattarci. Ciò che conta, davanti agli occhi di Gesù, non è il non avere mai peccato, il non avere mai sbagliato. È la capacità di amare.
Ed è con l’amore (anzi, con il voler bene, umile come quello di Pietro) che il pastore può pascolare le sue pecore: Gesù a Pietro chiede solo questo, di amare. Il resto verrà di conseguenza, nonostante i suoi limiti.
Il mio msg precedente si è perso.
.pace amen…🙃😍
Ma non vorrei che si perdesse la interpretazione del TRE volte:
Gesù non vuole una risposta di testa, ma di cuore, fo volontà:
Io Ti voglio bene…
Io voglio credere..
Si, Pietro e’ esempio di un amore fedele, una spontaneità a seguire il Maestro,superaI suoi limiti di un ragionare, di una idea con il coraggio che mette ali desiderio del cuore. Fatti da un oggi in guerra:,nonna che si avventura, attraversa le linee di fuoco, in cerca del nipotino, lo trova , supera difficoltà trovando aiuti e lo riporta a casa. Ma perché non si comprende che dire basta guerra, non significa arrendersi ma superare una idea che fa morti per la speranza nella vita. Cristo ha atteso gli apostoli, con il fuoco acceso e ha condiviso il cibo, si è rivelato per essere presente, il fuoco che accoglie,, il Messaggio: getta le reti dall’altra parte, una idea, coraggiodi sperare contro ogni speranza. , “Non sapevo la lingua, come fare!,sbarcato in missione ho seguito il cuore” così un Padre Dottrinario dei nostri gg., vero interprete del Fondatore che salirà agli onori dell’altare, un prete il cui cuore parla per questo ancora nel ricordo di chi lo ha incontrato.