Il noto manifesto dei 150 intellettuali (tra cui Chomsky, Fukuyama, Rowling, Rushdie, Ignatieff, Buruma, etc.) non è scritto a tutela anche degli attuali e futuri buoni seminatori di idee e pensieri controcorrente? Ormai osteggiati ed ostracizzati (come negli USA) dal politicamente corretto, oltre che dalla più classica censura (come in Cina, dove viene praticata sulla base dalla nuova legge sulla sicurezza nazionale)?
Tale manifesto inoltre, come rivendica su Il Foglio (6 luglio) Giuliano Ferrara, non rivaluterebbe addirittura “le guerre culturali sensate” – contro “l’aborto”, “l’islam politico”, “il matrimonio e l’omoparentalità”, “la bioingegneria” – e combattute ai tempi della difesa dei valori non negoziabili? Perché esse, nell’ottica dell’Elefantino, producevano almeno quella cecità, sordità e ‘sclerocardia’ di cui parla Gesù in modo misterioso (Mt 13,11-15) e da cui, però, sarebbe potuta scaturire un’esperienza di perdono e conversione?
Questa esperienza è veramente oggi così impossibile perché quelle “guerre” sono state sostituite da battaglie ritenute “bigotte, finto-devozionali, anticorrettiste decisamente insensate, inautentiche, brandite da personaggetti e leader che non credono a una parola di quello che dicono”? Oppure essa è sempre possibile anche di fronte a silenzi o a parole diplomaticamente pronunciate sottovoce (come quelle della Santa Sede sulla questione di Honk-Kong) ma non per questo meno provocatorie?
Di conseguenza, il manifesto dei 150 non costituisce anche un’occasione per ricordare, come riconosce lo stesso Ferrara, “quel che forse c’era da correggere” in quei “conflitti” culturali? Ossia che certe reazioni negative al (presunto) buon seminatore di valori non negoziabili dipendevano non tanto dalla tipologia (negativa) del terreno, ma dalla modalità (inadeguata) di semina? Che, come scrive Ezio Mauro su La Repubblica (13 luglio), la difesa della “latitudine del pensiero” e della “profondità del free speech” non deve farci dimenticare che spesso all’interno del discorso pubblico le parole sono state sparse non come semi, ma purtroppo si è trattato e si tratta ancora di “parole come pietre”?
La Chiesa ha seminato la Parola, fino a certo tempo fa ancora ha trovato del terreno ad accoglierla, fede semplice,ma fede che ha dato frutto.Oggi, dibattiti dintellettuali a confronto, una cultura è un progresso esteso in tutti i campi, un vuoto divide Tradizione dalla scoperta di se .L’uomo anche lui è seminatore, si sente forte,capace,ha una sua filosofia,crede in se stesso, e le invenzioni e scoperte tecnoscientifiche lo gratificano. Ma non è dal suo seme che cresce l’albero della vita, quello da lui fatto crescere e caduco.La scoperta dal vaccino risolverebbe la pandemia,ma morire senza altra speranza crea disperazione. Questa risiede nella Parola di Cristo, essa può sembrare dura rispetto a quelle più allettanti che come rovi la attorniano, fatica a crescere perché radica se nel cuore dell’uomo I buoni sentimenti siano l’humus.Ai frutti di quell’albero tutti possono sfamarsi e godere di vita, quella sì eterna