Degli anni in cui frequentavo il catechismo non ricordo molto, ma un’idea mi è rimasta fissa come un’immagine, cioè che per Dio tra il dire ed il fare non c’è di mezzo il mare. Questo ce lo dimostra il racconto della creazione, poiché quando Dio parla, nello stesso momento crea. Lo stesso naturalmente vale per Gesù che è proprio il Verbum, cioè la Parola di vita, le cui parole non sono solamente degli insegnamenti, ma la realizzazione del Regno del Padre se trasformate in azioni concrete.
A proposito nelle pagine del Vangelo in questo tempo di Pasqua ritornano spesso queste: “Pace a voi”. Il contesto ci porta facilmente a pensare che si tratti un saluto, quasi un ‘buonasera’ o ‘buon pomeriggio’, e dunque non ci facciamo caso più di tanto; un po’ come per il saluto dell’Angelo a Maria in cui ‘ave’ diventa un ‘ciao’, dimenticando che il vocabolo del testo greco significa ‘rallegrati’ che ha tutt’altro peso.
Gesù, che è il miglior comunicatore ed educatore della storia, non ci dice tutto, ma cerca di tirarlo fuori da noi, tanto che “Pace a voi” lo ripete più volte e anche nello stesso episodio evangelico, come per sottolineare che non è un modo per salutarsi, se no, bastava all’inizio dell’incontro con i discepoli. Dunque, allora ed oggi, “Pace a voi” era e deve essere uno stile di vita, un modello di relazione, un paradigma del linguaggio, una scelta comunicativa, una parola-azione, l’incipit della missione per i cristiani.
Succede al contrario che, preso per un saluto e nulla più, si passi oltre e quindi si finisca facilmente per sparlare, litigare, chiudersi in se stessi, creare fazioni, alzare muri, emettere giudizi. Anche nel tempo della pandemia alcuni uomini e alcune donne di Chiesa, laici e consacrati, tra un Rosario e l’altro non cercano e costruiscono la pace nella comunità, bensì tutte le occasioni per distruggerla: gli attacchi ripetuti al Papa, i confronti faziosi tra un pontefice e un altro, la gara a chi fa meglio la messa sui social, le accuse al vescovo che non espone in pubblica piazza il santo o la reliquia, il dover per forza essere tra il gruppetto dei laici presenti alla messa del parroco pur contro le disposizioni, l’agitarsi e l’agitare altri contro il parroco che le rispetta in pieno, il condividere fake news su presunte apparizioni, lacrimazioni, manifestazioni nel cielo.
Ecco perché “Pace a voi” deve superare la logica del saluto e accogliere quella del servizio e dono; ecco perché “Pace a voi” era il presupposto indispensabile per la Chiesa primitiva e nascente più di 2000 anni fa e pure ora che, come tutta la società, è chiamata a temprarsi nel fuoco del virus e rinascere.
Due aspetti sono consolanti e di speranza: il primo è che tra un “Pace a voi” ed un altro “Pace a voi” Gesù istituisce non a caso il sacramento della Riconciliazione, cioè ci dimostra che il perdono è più grande del peccato; il secondo è che, pur prendendo “Pace a voi” come un saluto, l’etimologia dal latino ci porta al termine ‘salvezza che è poi tutto il senso della Pasqua!
Pace effettivamente è un segno da portare fuori chiesa, da realizzare ogni qualvolta questa ùsi presenti difficile, il superar si nel tendere la mano, o altra azione. Ogni tanto compare notizia circa la pace tra Pastori, questo è contrario alle stesse persone, per il fatto che ogni loro azione, modo di pensare può anche essere distinto, ma questo è arricchente a rendere feconda la Chiesa. Guai se non fosse così perché il Padrone della messe e Cristo ed è a Lui che tutti noi compresi, dobbiamo rendere conto. Posso essere nella Chiesa anche restando fuori le sue mura. Far parte della famiglia anche da lontano, La stessa cosa vale nella nostra vita quotidiana Come in politica spesso si assiste a un denigrare l’operato reciproco così che si fanno evidenti gli scopi altri che non il bene del Paese.