Ma ci crediamo che siamo figli di Dio?

Quello che Luca dice di Gesù e che accade a lui, vale anche per noi.
12 Gennaio 2025

ANNO C – BATTESIMO DEL SIGNORE – Lc 3, 15-16.21-22

Uno dei pochi eventi narrato da tutti i vangeli, il battesimo di Gesù, è raccontato da Luca in modo unico e singolare. Non ci mostra il fatto in sé, ci informa che è avvenuto (v. 21), e poi si sofferma su ciò che accade dopo, quando Gesù è raccolto in preghiera (v. 22). La maggioranza dei biblisti collega questa singolarità all’unicità del brano letto due domeniche fa, in cui Luca ci racconta, unico a farlo, del ritrovamento di Gesù nel tempio.

È un po’ come se così volesse mostrarci le tappe della presa di coscienza, da parte di Gesù, della sua identità, del suo essere figlio di Dio. Come tutte le persone, anche Gesù ha raggiunto gradualmente la consapevolezza di ciò che è. E Lc, dopo avercene mostrato prima una tappa, nel brano di oggi sembra mostrarci il momento in cui questo processo di sviluppo arriva in fondo.

Ma per arrivare lì, Lc prepara un contesto ben preciso, che ci permette un significato molto particolare di questo brano. Ci dice, a differenza degli altri evangelisti, che Gesù è stato battezzato insieme a “tutto intero il popolo” (v. 21). Strana cosa, quasi a voler sottolineare come in questo “gesto” siano accomunati tutti gli israeliti e Gesù stesso, che quasi li rappresenta.

Questo ci ricorda, allora, che anche noi siamo “rappresentati” da Gesù, a maggior ragione, perché noi siamo “innestati” (Rm 11,17) in Cristo. Quello che Lc, allora, dice di Gesù e che accade a lui, vale anche per noi. In questo brano anche noi siamo richiamati a portare a compimento il nostro travaglio per avere consapevolezza di chi siamo e della nostra missione.

Ma prima ancora di questo, Lc ci segnala che quello stesso popolo aveva un’attesa del messia quasi spasmodica. Tanto che “nei loro cuori dialogavano dentro sé stessi” (v. 15) se fosse Giovanni. Eco molto evidente del grido di salvezza a cui, soprattutto la terza parte del libro di Isaia, aveva saputo dare voce: “Dove sono, Signore, il fremito della tua tenerezza e la tua misericordia? Non forzarti all’insensibilità (…) Ritorna per amore dei tuoi servi, per amore delle tribù, tua eredità (…) Se tu squarciassi i cieli e scendessi!” (63, 15.17.19)

In questo clima di straziante anelito della salvezza, Gesù sta “pregando” (v. 21). Lc usa un verbo ben preciso che andrebbe tradotto con “vorrei ben chiedere a Dio…, che alla lettera segnala la voce alta e straziata con cui si esprime. Una preghiera non di lode, quindi, né di ringraziamento, ma di supplica, pressante e forte.

Gesù, quindi, sembra davvero assumere in sé quel grido del popolo, formulato da Isaia, e presentarlo a Dio come un grido straziante: non se ne può più, Signore, rispondi dunque! Credo che, nel cuore di molti, credenti e non, questo stesso grido si intravveda ogni giorno di più. Ci sentiamo inondati e travolti dalla violenza e dalla protervia, sdoganate anche a livello sociale e culturale. Ci sentiamo impauriti dalla possibilità di guerre globali, e molti sembrano auspicarle, invece che temerle. Ci sentiamo spaesati e impotenti davanti alla fatica delle religioni (cristianesimo compreso), delle filosofie, delle arti e delle scienze, di offrire direzioni di luce. E sentiamo davvero salire dal profondo delle nostre anime lo stesso grido: non se ne può più, Signore, rispondi dunque!

“Si lacerò (si squarciò, si sfondò) il cielo” (v. 21). Il primo segno della risposta di Dio è esattamente quello che il grido di Isaia reclamava! In Gesù il cielo si è lacerato e resta aperto. Il “velo del tempio” si è squarciato (LC 23,45) e ora l’accesso a Dio è possibile. Ma anche in noi, allora, il cielo si è aperto e dentro di noi possiamo ritrovare l’accesso a Dio e al suo amore: “il regno di Dio è dentro di voi.” (Lc 17,21). Tocca a noi prenderne davvero consapevolezza e darci il permesso di iniziare da noi stessi e dai rapporti più cari che abbiamo, per rendere reale quella salvezza così tanto reclamata. Iniziando magari dal varcare quella “apertura”, simboleggiata dalla porta del giubileo.

Si racconta questo aneddoto di Santa Teresa di Calcutta. Un giornalista un giorno le chiese: “Ma insomma… questa Chiesa va così male, non crede anche lei? Cosa possiamo fare per migliorarla?”. E Santa Teresa: “Ah, guardi, semplicissimo: cominciamo da me e da lei! Torni a casa e cominci ad amare la sua famiglia”.

“Lo Spirito Santo venne giù su di lui, nella forma del corpo, come una colomba” (v. 22). Il secondo segnale della risposta di Dio è ancora ciò che Isaia reclamava: se tu scendessi… e lui scende! Ma si presenta con due caratteri ben precisi. Intanto, la colomba, che richiama simbolicamente le forme dell’amore di Dio per l’uomo: fare pace con l’umanità (Gen 8,11) e creare con gli uomini un amore intimo e totale (Ct 2,14) senza doppiezze (Mt 10,16). E poi, il corpo, nella sua concretezza, che è “il tempio dello Spirito Santo” (1 Cor 6,19) la cui offerta è il “culto spirituale” (Rm 12,1) del credente.

Ci viene chiesto, quindi, di prendere consapevolezza dell’amore, intimo, affidabile, e pacificatore che Dio ha per noi senza se e senza ma. E che questo amore risuona prima di tutto nel nostro corpo, la prima parola di Dio data a noi stessi. Credo davvero che si ora di riconoscere il valore alla nostra corporeità, come luogo di vita della fede, luogo in cui imparare come Dio ci parla e come noi tendiamo a rispondere. Non a caso le forme spirituali che oggi hanno “presa” sono tutte legate all’esperienza del trascendente solo se percepibile nei riverberi, emozionali, sensoriali, corporei, operativi, del nostro corpo. E la Bibbia lo sapeva già, ben prima di queste forme attuali!

“Tu sei il mio figlio, l’amato, in te gioisco di piacere” (v. 22). Il terzo segnale della risposta di Dio è ancora più evidente. Qui, la voce non parla alla gente (come in Matteo), ma a Gesù stesso ed è la conferma di ciò che Cristo ha raggiunto nel suo percorso di presa di consapevolezza di sé: essere l’amato, in cui il padre ripone la sua felicità e di cui si fida fino in fondo. Perciò, è vero che Dio si fida davvero di noi, e in noi ripone la sua fiducia fino in fondo, ben al di là di quanto ci fidiamo di noi. “Vedete quale amore ci ha dato il Padre, perché siamo chiamati figli di Dio! E lo siamo davvero.” (1 Gv 3,1).

Quanta fatica a riconoscere la nostra identità, a raggiungere la consapevolezza piena di noi stessi. Ci limitiamo da soli, perché non osiamo credere all’altezza di amore che Dio ha per noi. Troppo bello per essere vero! Eppure Dio non si stanca di accompagnarci con pazienza, dandoci il tempo, la sofferenza, l’amore, le crisi, i regali, le sorprese, le relazioni che ci servono per convincerci di quello che siamo.

 

 

6 risposte a “Ma ci crediamo che siamo figli di Dio?”

  1. Pietro buttiglione ha detto:

    Sapete che sono ex-ateo. Conosco lo sbattezzo. Ho fatto mie le critiche di Luigi e Maria.
    Ma poi mi sono chiesto COSA fosse il Battesimo.
    SE lo vedessimo come un ‘automatismo’ tipo SPIC&SPAN… –> cestino!
    Ma se invece lo guardassimo come AZIONE di Dio… Perchè non c’e’ solo quello che devo fare io x salire a Dio, caroLuigi|
    E Dio, il Dio biblico agisce sempre con estremo tatto e rispetto nei ns. confronti…
    Io dico, poi vedi tu…
    Io ti propongo una Allenza .. ma sei TU che devi accettarla!
    Io ti indico cosa è bene e cosa è male.. poi sta a te scegliere!
    Battezzare allora significa semplicemente indicare una strada nella quale poi, quando ne avrà le capacità e il bisogno, il battezzato si incamminerà fino a scoprire vicino la presenza dello Spirito… Gioia pura, che non gli chiederà le fedina dei peccati per abbracciarlo.

  2. Luigi Autiero ha detto:

    Non credo nel pedo battesimo.
    La fede vera IN Cristo, è relazione; il passo evangelico, recita che prima occorre credere IN Cristo, ci si ravvede, si prende coscienza che si è peccatori perduti;
    ci si converte al Signore Cristo, LO si realizza come Signore e Salvatore personale, chiedendo a LUI di essere perdonati, e poi ci si battezza, appunto come segno di testimonianza della salvezza ricevuta mediante il perdono,
    e da quì si cammina con Gesù, abbandonando il peccato, santificandosi.
    Senza la fede IN Cristo, senza ravvedimento, conversione , senza il perdono dei peccati, nel Regno di Dio non si entra.
    La fede IN Cristo, è una vita relazionale con LUI

  3. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Gesù Cristo, Figlio di Dio fatto uomo per salvare il mondo, non poteva che intervenire a cambiare ciò che impediva agli uomini di accedere a questo fine. Egli è venuto per aprire a tutti la conoscenza della paternità a Figli di un unico Dio. Il Battesimo dunque e centrale accesso, a ogni uomo è aperta l’esistenza da figlio di Dio, e chi crede in Lui ha la vita eterna. Se guardiamo all’oggi il mondo appare interessato a vivere secondo un proprio libero discernimento, il segno dell’amore significato da Cristo il donare di se, di ostacolo a realizzare la propria libertà. Il Battesimo e’ scelta, apertura alla grazia che Dio dona al la persona ,capace di vivere questa elevazione della propria vita. Il cristianesimo può definirsi l’apice per l’uomo innalzato a gloria del Dio creatore. L’esistenza di ogni altri credo da ritenersi precedenti a Cristo, via verità e vita. la Chiesa esiste ad accogliere , ma sarà lo stesso Dio a giudicare alla fine dei tempi.

  4. Maria Cristina Venturi ha detto:

    Ma se siamo fratelli tutti, cristiani ebrei musulmani , a cosa serve ancora il battesimo ? Il Battesimo e’ sempre stato l’ Iniziazione del cristiano . Il Battezzato, si credeva, e’ diverso dal non battezzato .
    Se invece oggi si crede e si dice siamo tutti uguali, battezzati e non ,credenti in Gesu’ e nella Trinita’ ,Oppure in Allah o in Javeh, allora che senso ha il battesimo ?
    La Chiesa ha il dovere di insegnare cose logiche ,intelligenti, che non vadano contro il principio di contraddizione.
    “Credo in un solo Battesimo ” collide logicamente con ” siamo tutti uguali di qualsiasi religione”.

  5. pietro buttiglione ha detto:

    Caro Gil, hai posto la domanda e la risposta dobbiamo darla a noi? Ci provo.
    Io credo fermamente in Gesù Cristo e so che ha una relazione con Dio unica, diretta, totale.
    A me basta questo. Se poi aggiungo che per uscire nel guado dobbiamo fare una operazione di liberazione dall’antropomorfismo in cui abbiamo descritto Dio. Quello c’è qualcuno ha fatto dire che è solo una proiezione dei nostri desideri. O addirittura che Dio, QUEL dio è morto. Quindi abbandoniamo le categorie Padre/Figlio.
    PS. Ricordo che lo stesso Augias ritiene il battesimo di Gesù lo spartiacque fondamentale per l’inizio della sua missione., la presa di coscienza, come scrivi tu.

  6. ALBERTO GHIRO ha detto:

    Rispetto al vangelo di Matteo quello di Luca non riporta il tentativo di Giovanni di censurare il suo battesimo. Evidenzio questo perché penso che la censura sia ciò che impedisca ciò che il battesimo esprime: l’essere uomini con i rischi che questo comporta e l’essere figli di Dio che è la nostra salvezza. Nel battesimo si uniscono queste due condizioni imprescindibili l’una dall’altra. La censura del battesimo come qualsiasi altra censura è la volontà di negare che la parola diventi carne, che un soggetto, individuo o comunità, si realizzi esprimendo se stesso. Un esempio di censura è quella che voi fate in questo blog quando non pubblicate un commento anche se non è offensivo o denigratorio, quindi tanti saluti.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

I commenti devono essere compresi tra i 60 e i 1000 caratteri. I commenti sono sottoposti a moderazione da parte della redazione che si riserva la facoltà di non pubblicare o rimuovere commenti che utilizzano un linguaggio offensivo, denigratorio o che sono assimilabili a SPAM.

Ho letto la privacy policy e accetto il trattamento dei miei dati personali (GDPR n. 679/2016)