L’umana provvidenza

«Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane…»
5 Agosto 2018

XVIII domenica del tempo ordinario: Gv 6,24-35

LA RACCOLTA DELLA MANNA (Ercole de’ Roberti, 1490 ca., Londra, National Gallery)

 

Meno male che, prima della moltiplicazione dei pani, c’è stato quel ragazzo: a contrastare i calcolatori, ci voleva uno incapace di calcoli… In ogni caso, capace di dono. Oggi, a uno così, si darebbe dell’ingenuo o del buonista, eppure è grazie al suo darsi da fare che si mette in moto il darsi da fare di Gesù. Ed è grazie a lui che Gesù può rilanciare, spostando l’attenzione su un cibo e un impegno più alti, non limitati al momento del bisogno ma mossi da un desiderio.

Sempre cercato per risolvere problemi materiali, Gesù ricorda l’esistenza di una dimensione spirituale, per sostenere la quale è necessario un cibo che non scade. E si offre come una nuova manna: inviata ancora dal cielo, però donata per far vivere «di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».

Un passo avanti notevole rispetto ai padri nel deserto, fermi ad aspettare il cibo che si consuma. Fermi, soprattutto, a una vecchia immagine di Dio, inteso come poliziotto o come datore di lavoro: figure che chiedono conto all’uomo dei suoi comportamenti retti, compensandoli con una mancata sanzione o con un premio. E fermi a una vecchia immagine di uomo, talmente dipendente dalla divina provvidenza da non capire che il dono più bello è biunivoco, cioè viene da entrambe le parti; non unidirezionale, come quello che un ricco fa a un povero.

Proponendosi – con insistenza commovente – come pane per la vita eterna, Gesù cerca di accorciare le distanze tra Dio e gli uomini, impostando un legame simile a quello dell’amicizia e dell’amore, dove ci si stima enormemente, dove si dà valore alle parole dell’altro e dove la fedeltà è uno dei sommi piaceri che ci si dona reciprocamente, non un obbligo.

Il cuore grande di quel ragazzo senza nome, scovato da Andrea, deve aver spinto Gesù a credere nell’umana provvidenza, ad aver fiducia nella capacità dell’uomo di salire a Dio.

Tra l’altro, dipendere dalla divina provvidenza può essere una tentazione (come lo è l’obbedienza, per don Milani). Col rischio, oltretutto, di abbandonarsi non nelle mani di Dio, ma in quelle di chi dice «Dio è con noi», salvo poi criticare l’assenza di Dio ad Auschwitz.

 

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