Luce per chi non vede e per chi non vuole vedere

«È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi»
26 Marzo 2017

IV domenica di Quaresima: Gv 9,1-41

IL MIRACOLO DEL CIECO (Mario Ceroli, 1987, Roma, chiesa di Santa Maria Madre del Redentore a Tor Bella Monaca)

 

Viene qui rappresentata la prima parte della storia, quando Gesù, fatto del fango con la saliva, lo spalma sugli occhi del cieco nato. Forse in omaggio ai non vedenti, nell’opera c’è poco da vedere e il poco è un già visto (il cieco è una citazione di quello della Maestà di Duccio). Tuttavia proprio l’assenza di dettagli e di colori, favorita dalle sagome di legno, finisce per esaltare la luce di colui che dice «Sono la luce del mondo». Ma che premette «Finché io sono nel mondo», quasi a dichiarare un limite. E che anche per questo desidera farsi guardare da chiunque, senza eccezioni, pur di portare lo sguardo sul Padre.

A molti artisti del passato, più inclini alla narrazione (Duccio, ad esempio, ma pure gli artisti anonimi di Venezia, S. Angelo in Formis, Salerno, Benevento, Rossano Calabro, Mistrà in Peloponneso…), non è bastato mostrare il gesto del Signore e, mettendo due volte il cieco nella stessa opera, ne hanno aggiunto il gesto di andarsi a lavare nella piscina. A rimarcare che, anche nel ricevere un dono, l’uomo è chiamato a fare la propria parte.

Sono pochi, però, ad accogliere il dono, sembra dire Giovanni. Mentre gli artisti non riescono a dirlo. Di fronte a un cieco nato – racconta l’evangelista – hanno tutti voglia di vederci chiaro, prima e dopo la guarigione. Mentre solo il cieco la accetta… ciecamente, senza porsi troppi problemi. Come si può rifiutare un dono che cambia l’esistenza? o non gioire se qualcuno fa luce?

Eppure la folla e i farisei subissano di interrogativi l’uomo e i suoi genitori, eccependo sulla “regolarità” del dono. E, opponendo una serie di «chi, che cosa, come e dove», di «sappiamo» e «non sappiamo», danno vita a quello che taluni chiamano «il dramma della luce»: per uno che apre gli occhi e vede una luce mai vista, tanti chiudono gli occhi. Sì: le domande, a volte, si fanno per non voler vedere.

 

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