L’aureola è dietro i bisognosi, non dietro di noi

«Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me […]. Tutto quello che non avete fatto […], non l’avete fatto a me »
26 Novembre 2017

Cristo re dell’universo: Mt 25,31-46

LA MISERICORDIA APRE IL PARADISO (Tommaso Biazaci, 1472, Bastia Mondovì, chiesa di San Fiorenzo)

 

Sebbene di non facile lettura per le tante figure che l’affollano, l’affresco della chiesa piemontese ha il merito, non comune, di collegare al giudizio finale le opere di misericordia. Per non scordare che saremo giudicati sui gesti di umanità.

Conviene, pertanto, soffermarsi su questi ultimi, due dei quali spiccano per originalità: sono, in basso, il secondo e il terzo da sinistra, dove ci si aspetta di trovare Dar da bere agli assetati e Alloggiare i pellegrini. Si resta invece sorpresi da una donna che sembra stia facendo da balia a due neonati (orfani di madre, o la cui madre non è in condizione di allattarli)… e da un’altra che sta rifocillando dei poveri viandanti, non necessariamente pellegrini. Rappresentazioni insolite, che hanno indotto a pensare a un’omissione delle due opere anzidette, mentre potrebbero essere frutto di un’interpretazione più libera, meno letterale. Anche se è indubbio che, per la prima di tali figure, l’artista si sia ispirato alla virtù della carità, spesso resa con l’immagine di una donna così amante della vita da non avere altro pensiero che il nutrimento delle creature deboli.

In realtà, il particolare più interessante è altrove: nel fatto che, in tutti i gesti di misericordia, ad avere l’aureola, quindi a emanare un’aura di luce, sia la persona che riceve il gesto, non quella che lo fa. Di certo, un modo per vedere Cristo nel bisognoso («Tutto quello che avete fatto…, l’avete fatto a me»). E forse per ricordare che la misericordia solleva chi la riceve rigenerandolo nello spirito, non migliorandone solo la condizione materiale.

E poi può pure essere che togliere l’aureola ai caritatevoli serva a togliere dalla testa che la loro santità sia cosa fatta. Prima che il tempo finisca, resta ancora molto, di buono, da portare nelle situazioni negative («Tutto quello che non avete fatto…»). Lo fa presente la preghiera semplice (attribuita per sbaglio a san Francesco d’Assisi ma datata 1912), quando chiede di non desiderare d’essere consolati, compresi e amati, quanto di restare capaci di consolare, comprendere e amare. Poiché «è dando, che si riceve; perdonando, che si è perdonati; morendo, che si resuscita a vita eterna».

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