La visitazione o del “finalmente la vita”!

Anche se non la frequentiamo spesso, oggi siamo chiamati alla gioia.
22 Dicembre 2024

ANNO C – IV DOMENICA DI AVVENTO – Lc 1, 39-45

Il brano di oggi continua e supera i testi delle tre domeniche precedenti, facendoci fare l’ultimo passo di preparazione al Natale, verso il cuore del mistero: “ci è stato dato un figlio” (Is 9,5), che celebreremo fra tre giorni. E fa questo raccontandoci quella che si chiama, in gergo evangelico, “la visitazione”, l’incontro tra Maria ed Elisabetta, due donne incinte che prendono tutta la scena del testo e diventano gli ultimi due personaggi essenziali dell’Avvento.

Appena dopo aver ricevuto l’annuncio che diventerà madre di Gesù, la prima cosa che fa Maria non è quella di esultare e gioire magnificando Dio, bensì compiere tre azioni assolutamente inusuali per una ragazzina di 12-13 anni, per di più incinta.

Intanto si alza e parte “in fretta” (v. 39). Lc usa qui una parola che si trova 12 volte nel N.T, ma di cui 10 sono in Paolo e significano zelo, dedizione totale, mentre questo testo (come quello restante di Mc) ha proprio il senso di chi affretta il passo perché spinto dal bisogno impellente di rispondere, per bene, ad un proprio desiderio vitale. Ciò indica che oltre all’evidente intenzione di Maria di andare a “servire” Elisabetta, c’è qualcos’altro che la muove. Come se quell’aggiunta dell’angelo (anche tua cugina Elisabetta…) avesse aperto in lei il desiderio di dare solidità alla propria decisione di fidarsi di Dio, quasi volendo toccare con mano le grandi cose fatte da Dio.

La seconda. Prende la strada più veloce, ma più impervia e pericolosa (verso la montagna v. 39), dove avrebbe attraversato la Samaria, territorio storicamente ostile, soprattutto viaggiando da sola, rispetto a quella della valle del Giordano, che era la via ordinaria, più sicura benché più lunga, per andare dalla Galilea alla Giudea. Davvero quel “in fretta” sembra non farla ragionare abbastanza, perché il bisogno interiore di avere maggiore certezza di ciò che l’angelo le ha detto sembra ben più grande della paura di un viaggio così.

Terzo. Una volta arrivata, non compie il rito tradizionale del saluto, ignorando tranquillamente Zaccaria e andando dritta a salutare la cugina. Per gli ebrei il saluto non è solo una formalità sociale, ma il riconoscimento del valore e del ruolo della persona salutata. Non salutare il padrone di casa, per di più un sacerdote ebreo, era percepibile davvero come un insulto. Ma Maria sembra non avvertirne nemmeno la gravità. Anche qui quel bisogno interiore di avere conferme sembra presiedere a tutta la dinamica delle scelte di Maria, che si permette anche di infrangere le regole sociali.

Se fosse stata animata solo dal desiderio di servizio verso Elisabetta, forse si sarebbe comportata meno trasgressivamente, rispettando le forme e le prudenze della cultura ebraica. E invece ha un bisogno quasi disperato di incontrare subito e direttamente Elisabetta, che le regala tre espressioni densissime che Maria comprende molto bene.

La prima. “Con un grido grande disse: benedetta tu tra le donne” (v. 42). Elisabetta parla dal corpo, come sanno fare forse sole le donne; da voce ai segnali fisici che il corpo le rimanda: “il bambino saltellò nel suo ventre” (v. 41) e con un “urlo” di gioia non contenibile chiama Maria “benedetta”. Una parola densissima, che ritorna sempre tutte le volte che la storia della salvezza fa una svolta essenziale, in cui Dio volge il suo sguardo di amore verso gli uomini e ne riconosce il valore, al di là dei loro limiti e peccati. “Benedetta”, perciò è un aggettivo che indica, per Maria, l’essere stata scelta da Dio, pur nella sua piccolezza e povertà. E questo diventa un sentimento inimmaginabile di sorpresa e di ringraziamento, che forse dentro Maria diventa un “ma davvero davvero??”

La seconda. “Da dove questa cosa: che venga la madre del mio Signore da me?” (v. 43) Una domanda retorica e forse ironica, che però fa sì che le due donne si sentano e si riconoscano accomunate dentro ad un mistero più grande di loro, che le riempie umanamente ben al di là di ciò che avrebbero sperato, cioè essere madri. Si rendono conto, cioè, che il loro essere madri non solo si è realizzato, ma è stato assunto dentro all’amore di Dio per dare corpo ad un evento che le sorpassa, di cui si sentono pienamente investite, ma di cui non possiedono i contorni esatti. E questa diventa la radice del sentimento di stupore gioioso, che impedisce a entrambe di profferire la risposta a quella domanda, rimasta non detta, ma potentemente percepita da entrambe: Dio ci ama infinitamente!

La terza. “Beata chi ha creduto che ci sarà compimento a ciò che il Signore ha detto” (v. 45). “Beata”, altra parola “pesante”, che esprime la condizione di pienezza e rilassamento di chi, avendo riconosciuto di essere amato da Dio, smette le lotte interiori della vita e dell’attesa della sua pienezza, e accetta di sentirsi “come bimbo svezzato in braccio a sua madre” (Sl 130,2). Perciò le due donne si abbracciano, appoggiandosi l’una all’altra e, sospirando con leggerezza, “sentono”, più che capire, che Dio “mantiene la sua alleanza e benevolenza per mille generazioni” (Dt 7,9). E questa diventa la radice di quell’emozione condivisa che si scambiano pur senza pronunciarne la parola: finalmente!

Perciò, il fatto che Maria esploda nel suo meraviglioso inno di gioia e ringraziamento a Dio, solo dopo che Elisabetta le ha confermato tutto questo, suggerisce che solo adesso lei ha la certezza nella fede di ciò che le è accaduto. Solo ora si convince che Dio può davvero fare tutto (come l’angelo le aveva fatto capire al v. 37) e può esprimere quei sentimenti nel suo Magnificat.

Ma qui si capisce anche perché il segno che sarà dato ai pastori è: “troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia” (Lc 2,12). Due donne in cinte sono la concreta e visibile presenza non occultabile della vita che continua e che ci permette ancora di sentirne la pienezza possibile. Che ci può spingere anche oggi, nonostante tutto, a rivivere i sentimenti di Maria: Ma davvero? Davvero Dio ci ama infinitamente? Si, Finalmente!

Anche se non la frequentiamo spesso, oggi siamo chiamati alla gioia, non dei lustrini e dei regali dovuti, ma a quella più desiderata e inattesa quasi, che ci fa sentire che la vita “va”. Magari non va come ce la siamo immaginata, ma va, non si ferma e non molla, la vita. E che la promessa di una vita piena, che da quando siamo nati andiamo cercando anche senza saperlo, si realizza, a cominciare da qui e ora.

 

4 risposte a “La visitazione o del “finalmente la vita”!”

  1. Anna Rita Tracanna ha detto:

    Molto poetica questa riflessione.
    Credo che Maria non abbia però mancato di rispetto non salutando prima Zaccaria e andasse contro le convenzioni. Solamente il fatto non era degno di nota e non è stato raccontato
    Inoltre mi rimane difficile pensare che Maria, come dice lei, avesse 12-13 anni. Sarebbe stata troppo giovane per avere la consapevolezza e la gioia vera per quello che stava avvenendo in lei. Sarebbe stata spinta da una sorta di incoscienza giovanile.
    Grazie

    • gilberto borghi ha detto:

      Anche io faccio fatica ad accettare che Maria fosse così giovane, ma tutti i dati storici che abbiamo portano li. Ce ne dovremo fare una ragione.

  2. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    La Fede produce “miracoli”. E’ il caso di Maria, in quei giorni e in quel popolo così segnato da una storia speciale, un popolo scelto da Dio per farsi conoscere, uomini che lo hanno visto faccia a faccia, avuto come liberatore e condottiero, che dalla stirpe nasce il Salvatore, e cosa grande. Maria doveva quindi non trovare strano la visita di un angelo di Dio ma certamente quel messaggio di cui era latore deve averla sconvolta non poco tanto da desiderare una maggiore conferma circa il fatto eccezionale accaduto pure alla gravida parente avanti negli anni. Dare vita al figlio di Dio salvezza del mondo, era cosa grande, essere la prescelta in tanta umiltà da provare gioia grande anche con l’incognita che la sua vita si rivelava segnata e impegnata da una missione nuova. . Serva del suo Figlio e Signore ! oggi anche a noi ci viene il dono di avere una Madre a cui a ns. volta rivolgerci in cui confidare l’aiuto dal Re della Pace .nelle vicende della ns. vita

  3. ALBERTO GHIRO ha detto:

    Il percorso della fede ha la stranezza di essere avventuroso ed emozionante e la sua forza motivante viene dalla gioia. L’avventura sta nel percepire ciò che solo dalla fede può venire quando la propria vita ne è contaminata e la gioia si ha quando si ha la conferma di ciò che si intuisce che diventa una nuova rivelazione e nelle infinite possibilità di queste nuove rivelazioni.
    È una gioia sottile che viene celebrata interiormente e allo stesso tempo condivisa. La beatitudine è questa gioia sottile prodotta dalla combinazione di conoscenza, ricerca dell’essere, condivisione, desiderio di infinito e di salvezza e alla fine consolazione.

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