La via Crucis di un parroco

La salita di Gesù al Calvario e la vita quotidiana di una parrocchia di città....
19 Marzo 2021

I Stazione – Gesù è condannato

“Pilato parlò loro di nuovo, volendo rilasciare Gesù. Ma essi urlavano: “Crocifiggilo, crocifiggilo!”. Ed egli, per la terza volta, disse loro: “Ma che male ha fatto costui? Non ho trovato nulla in lui che meriti la morte. Lo castigherò severamente e poi lo rilascerò”. Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso; e le loro grida crescevano. Pilato allora decise che la loro richiesta fosse eseguita. Rilasciò colui che era stato messo in carcere per sommossa e omicidio e che essi richiedevano, e abbandonò Gesù alla loro volontà” (Lc 23, 20-25).

Si presenta un’altra volta alla San Vincenzo: Michele (ma è un nome facile che si è autoattribuito perché il suo nome – slavo – è difficile da pronunciare), uno dei molti ‘sbandati’ non per volontà ma per circostanze avverse, per sfortuna, per incapacità di organizzarsi, per mancanza di strumenti culturali. Ha trovato rifugio in una cascina mezza disabitata, con molti altri di mille provenienze e con mille fatiche nell’anima.  E racconta che è stato preso in mezzo tra una banda di marocchini e una pattuglia della polizia e alla fine gli han detto che era ubriaco (“ma no, non è vero, non questa volta!”), gli hanno ritirato il passaporto, e ha ‘scoperto’ che c’era già pendente su di lui una minaccia di espulsione. Dovrebbe andare finalmente a lavorare, ha trovato un posto non definitivo ma dignitoso per pulire le strade. Ma ha paura, non sa cosa fare, teme quelli che lo potrebbe pestare e quelli che potrebbero prenderlo e rispedirlo al suo Paese. E al suo volto interrogativo, alle sue mani grandi e sporche, al suo abbigliamento recuperato qui e là possiamo offrire solo una grande compassione, mentre sentiamo un senso di ingiustizia che pare non avere rimedio.

Nella Passione e nella morte tu, Gesù, ami l’uomo così com’è, ami l’uomo col suo peccato, con la sua separazione da Dio, con la sua tragedia. Siamo amati con un realismo quasi aspro, duro da accettare. Signore: tu da me, da noi, non ti ritrai, non fuggi: attraverso un amore senza misura risveglia in me, in noi, ciò che è autentico, e svela il volto filiale della nostra umanità.

II Stazione – Gesù prende la croce

“Essi allora presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo del Cranio, detto in ebraico Golgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù nel mezzo” (Gv 19, 17-18).

Entra in ufficio Eliana, da sempre nel quartiere e frequentatrice della parrocchia. È nonna di due nipoti, madre di due figli adulti, vedova di un marito affettuoso. Una vita passata a spendersi come insegnante, l’impegno in Azione Cattolica, la dedizione ai più piccoli come catechista. Il figlio più grande è separato, una vicenda complicata di immaturità, poca comunicazione, silenzi e rabbia, e le due ragazze nate dal matrimonio con una donna, che è sparita anni fa, soffrono questa famiglia spezzata e faticano a trovare un equilibrio. La nonna cerca di mediare, accoglie in casa per il pranzo dopo la scuola, sostiene con le forze che ha. Un’altra figlia di Eliana abita lontano, ha famiglia e lavoro in Sicilia, si strugge per non poter fare nulla… Ora a tutto questo si aggiunge una diagnosi: alla figlia separata hanno trovato un tumore all’utero. “Don – dice Eliana – io non so cosa vuole Dio da me, da noi. Preghi per me, preghi perché io riesca a portare anche questo, perché sia capace di non piangere”.

Dio, che sei Padre, rendici discepoli umili e pazienti di quella sapienza che ha il suo maestro in Gesù innalzato sulla croce, perché impariamo a vincere la tentazione di abbatterci, la paura che ci blocca, e decidiamo di camminare sulla via ‘ripida e dura’ dell’amore, verso quella Vita inattesa e sorprendente che ci è promessa.

III Stazione – Gesù è aiutato da Simone di Cirene

“Allora costrinsero un tale che passava, un certo Simone di Cirene che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e Rufo, a portare la croce. Condussero dunque Gesù al luogo del Golgota, che significa luogo del cranio” (Mc 15, 21-22).

Il gruppo dei volontari che gestiscono la distribuzione della spesa solidale alle famiglie segnate dalle conseguenze sociali ed economiche del Covid è ben assortito: adulti, anziani, pensionati, giovani della parrocchia o semplicemente coinvolti da amici, Scout… Tra i più giovani c’è Paolo, diciottenne che è capitato un po’ per l’amicizia con Chiara e un po’ per caso. Non è molto convinto, forse è un po’ intimorito dall’umanità eterogenea e ‘colorata’ che si presenta a ritirare pasta, latte, scatolette, per poter mangiare. Si è ritagliato lo spazio del trasporto delle cassette, che lo tiene abbastanza a distanza dai volti, dalle parole, dagli sguardi di questa umanità bisognosa, ferita, a volte provata nell’orgoglio e nella dignità. A un certo punto tra chi consegna e un adulto si crea forse un’incomprensione, la situazione si scalda, l’uomo inveisce e il figlio più piccolo si spaventa, piange. Paolo sta arrivando con una cassetta di riso, la deposita, fa per andarsene… incrocia lo sguardo del bimbo che piange, dell’adulto che inveisce, sta per voltare le spalle e andarsene. Mi guarda come cercando un’idea poi si illumina, con due salti va in magazzino e recupera una manciata di caramelle, sorride, le offre, come se avesse intuito che tocca a lui. E nel sorriso del bambino anche il papà si rasserena. E Paolo scopre che anche lui ha qualcosa da donare.

Dio, che ti riveli con amore di Padre e ti accosti alla sofferenza di tutti gli uomini e – per Grazia – li unisci alla Pasqua di Cristo tuo Figlio, rendici umili e forti nelle prove, perché sull’esempio di Gesù impariamo a non avere paura di condividere con i fratelli il mistero del dolore, lasciandoci illuminare da una speranza che ci oltrepassa da ogni parte e ci salva.

IV Stazione – Gesù cade

“Oltraggiato non rispondeva con oltraggi, e soffrendo non minacciava vendetta, ma rimetteva la sua causa a colui che giudica con giustizia. Egli portò i nostri peccati nel suo corpo, sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia” (1 Pt 2, 23-24).

Il Centro di Ascolto raccoglie la voce di tanti, soprattutto stranieri. Vicende di equilibri precari che il Covid ha sconvolto, lavori in nero, affitti in nero, vite in nero tollerate da un sistema che rende tutto complicato, tutto instabile, tutto a vantaggio di chi è forte. Anche Stella arriva, con i suoi tre figli piccoli, e cerca di raccontare in un italiano incerto una storia faticosa di sopravvivenza, con un marito senza lavoro che non sa più che fare, con i genitori lontani a cui non può raccontare l’angoscia di ogni giorno. I bisogni sono tanti: economici senz’altro, ma anche di una serenità che pare impossibile, di uno sguardo sul futuro che non sia pieno di paura, di una vita familiare più sicura. Nello sguardo di questa giovane donna c’è un senso di impotenza davanti a cose troppo grandi, e la tristezza di non sapere a chi affidarsi. Anna, che è seduta con me e ascolta, si alza e abbraccia Stella. E insieme silenziosamente piangono.

Gesù, tu non hai ‘inventato’ la croce: l’hai trovata sul tuo cammino, come ogni uomo. Ma hai ‘inventato’ un modo diverso di prenderla su di te: per amore. Così la croce diviene via che porta alla vita, sorgente di energia che trasforma i nostri giorni. L’esperienza realistica della vita ci dice che il dolore, la sofferenza, la morte riempiono di sé la nostra storia. La tua croce, Signore, contaminata dall’amore, abbraccia ciascuno di noi e diviene appello, chiamata nella nostra vita personale, nella nostra famiglia, nell’ambito delle nostre conoscenze, a osare sempre l’amore.

V Stazione – Gesù è inchiodato sulla croce

 “Quando giunsero al luogo detto Cranio, là crocifissero lui e i due malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno”. Dopo essersi poi divise le sue vesti, le tirarono a sorte. C’era anche una scritta, sopra il suo capo: “Questi è il re dei Giudei” (Lc 23, 33-34. 38).

Amedeo ha sessant’anni ed è passato da una struttura all’altra perché – come dicono alcuni semplificando – è “matto”. Faceva l’impiegato, in una vita che si è frantumata chissà perché: così ha perso tutto, compresa una parte di se stesso. E allora i ricoveri: prima in clinica psichiatrica, poi in un istituto dove passava dai fantasmi della sua mente ai tranquillanti. Ora è in casa famiglia, dove c’è compagnia di altre persone che – a modo loro – restituiscono il calore delle relazioni e la quotidianità è un po’ meno triste. Ma resta grande la solitudine, e ogni tanto dal fondo dell’anima Amedeo si ricorda di non avere nessuno: e grida, poi piange, poi chiede una sigaretta, o magari una brioche, o semplicemente che qualcuno lo saluti e lo guardi. E per Pasqua vorrebbe un uovo di cioccolato (‘grande eh… dobbiamo dividerlo tra tutti’). Non so se uno basterà, magari gliene portiamo due e soprattutto proveremo a stringergli le mani dicendogli che lui esiste ancora per qualcuno.

Padre che ci vuoi bene, sostienici con la forza e la pazienza del tuo amore; fruttifichi in noi la tua Parola, seme e lievito della Chiesa, perché si ravvivi la speranza di vedere crescere l’umanità nuova, che Gesù al suo ritorno farà splendere come il sole nel tuo Regno.

VI Stazione – Gesù è posto nel sepolcro

“Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino, e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora deposto. Là dunque deposero Gesù, a motivo della Preparazione dei Giudei, poiché quel sepolcro era vicino” (Gv 20,41-42).

Arrivano: i parenti e gli amici di coloro che sono in rianimazione, con il casco o magari intubati. Arrivano talvolta senza più parole, senza conforto, senza comprendere. La vicenda faceva notizia un anno fa, ora anche questa è divenuta abitudine per noi che leggiamo, ma non per chi vive questa separazione. Arrivano a domandare una preghiera, arrivano arrabbiati con Dio, con il virus, con l’impossibilità di comunicare e l’attesa estenuante di un miglioramento, un segno positivo, una buona notizia. Raccontano il silenzio che abita la loro vita, si commuovono per la nostalgia di una carezza, di uno sguardo, di un sorriso scambiato. E tu che ascolti – tu che fai il prete e di ‘mestiere’ trovi le parole opportune – ti vergogni di non riuscire a trovare parole che siano vere. Puoi solo avere il coraggio o l’umiltà di stare lì, sotto la Parola, con loro. Con gli uomini e le donne che lottano aggrappati a un tubo dell’ossigeno, con le spose che vegliano gli sposi, con i figli che ripensano al volto di un genitore anziano… Sotto la Parola che risuona solo se le lasci spazio. E intuisci – nel corpo di Cristo consegnato a un’attesa che pare senza futuro – che la grandezza dell’umano sta anzitutto nella disponibilità a condividere, a non lasciare soli, a tenere acceso una piccola lampada anche quando pare di non avere più olio per alimentarla. E condividere, sperando contro ogni speranza.

La Risurrezione non farà altro che rivelare la misteriosa e straripante vitalità che è nascosta nella croce di Cristo. Ma tutto questo è possibile perché si tratta della croce di Cristo e non di una croce qualsiasi. Ognuno di noi, discepoli, riceve dal Maestro e Signore lo stesso compito: trasformare la croce dell’uomo in croce di Cristo. La croce dell’uomo è ambigua, senza speranza: ci sia dato di portare la croce di Cristo, che ha il nome dell’amore, così da preparare, nella speranza, la vittoria della Vita autentica!

(tutte le preghiere sono rielaborate da testi del card. Martini)

2 risposte a “La via Crucis di un parroco”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    ….in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, i sale da un’altra arte, è un ladro o un brigante. Chi invece entra dalla porta, e pastore delle pecore…..egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori, cammina davanti ad esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei. Gesù disse questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. Chiese vuote, solo congiunti di morti: solo per Covid? No, com’è stato rilevato da un coraggioso in RAI V.no talk’s, anche mancanza di dialogo, conoscenza, vicinanza con la persona che entra in chiesa.E non è neppure il saluto formale che si crede sufficiente a far presente il Pastore.Se non è così com’è e Egli potuto diventare pastore se non è entrato dalla Porta. La Porta e Cristo,il Santo Padre esempio, ma per alcuni è similitudine incompresa anche oggi

  2. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    Mi chiedo se davvero Gesù meritasse che la sua Chiesa fosse così disastrata come è emerso ad es. a Köln e ovunque
    . Davvero questa è la Sua Chiesa??
    Da una parte gli mandavano i DUBIA, dall’altra proteggevano preti..

    …e lo skandalo di Bose??

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