La Via Crucis di Dante

Nell'Anno di Dante non poteva mancare una Via Crucis ispirata dai testi di colui che, secondo Papa Francesco, «ha saputo esprimere, con la bellezza della poesia, la profondità del mistero di Dio e dell’amore»
26 Marzo 2021

I stazione
Gesù è condannato e viene caricato della croce

Pilato, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso. Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la truppa. Lo spogliarono, gli fecero indossare un mantello scarlatto, intrecciarono una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra. Poi, inginocchiandosi davanti a lui, lo deridevano: “Salve, re dei Giudei!” (Matteo 27,26-29)

«Tu proverai sì come sa di sale
lo pane altrui, e come è duro calle
lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale» (Pd XVII 58-60)

Quando Dante scrive la Divina Commedia egli è in esilio, allontanato dalla sua Firenze a seguito di una condanna per baratteria, in realtà per rivalità politiche. Nel Poema in molti gli predicono l’esilio, in maniera irrisoria come Farinata o rancorosa come Vanni Fucci, che conclude caustico “e detto l’ho perchè doler ti debbia” (If XXIV 151). In modo più paterno è l’avo Cacciaguida a spiegargli come sarà difficile il lungo peregrinare in giro per l’Italia, amaro sentirsi forestiero e duro salire e scendere l’altrui scale.

Gesù si sente solo, straniero tra quei soldati che lo deridono e disprezzato da quella folla che gli è ostile: egli, nostro pane, prova ora “come sa di sale / lo pane altrui”, egli si appresta a salire quel “duro calle” del calvario perché, giunto in cima e aperte le braccia sulla croce, nessuno di noi debba sentirsi più in esilio.

‘Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo’,
cominciò, ‘gloria!’, tutto ‘l paradiso,
sì che m’inebrïava il dolce canto (Pd XXVII 1-3)

 

II stazione
Gesù cade per tre volte

Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti (Is 53,4-6).

«Tanta riconoscenza il cor mi morse, / ch’io caddi vinto» (Pg XXXI 88-89)
«E caddi come corpo morto cade» (If V 142)
«E caddi come l’uom cui sonno piglia» (If III 136)

Come Gesù salendo il calvario, anche Dante cade tre volte nell’Aldilà: cadrà alla fine del Purgatorio, quando il rimorso del proprio traviamento appena confessato a Beatrice gli morde il cuore e lo fa svenire, così com’era svenuto e caduto “come corpo morto” ascoltando la storia di Paolo e Francesca, tanto simile alla sua; Dante cade quando si trova di fronte al suo peccato, quello che più di ogni altro rischia di condurlo a morte, cade di fronte alla sua croce più grande che sa di non riuscire a portare. Ecco perché all’inizio del viaggio, attraversando l’Acheronte, era caduto “come l’uom cui sonno piglia”, con un sonno che gli ha celato l’entrata per l’Inferno: non era nelle sue possibilità trovare la via, iniziare questo viaggio da solo, solamente con le sue forze, affrontare e sostenere quel peccato che ora Gesù sta portando per lui, abbracciando quella pesante croce. Le cadute di Dante sono un’ammissione di impotenza e paura, laddove le cadute di Cristo dicono del peso delle nostre croci che noi non riusciamo a sostenere e che il Signore, caduto e rialzato, ci aiuta a portare.

‘Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo’,
cominciò, ‘gloria!’, tutto ‘l paradiso,
sì che m’inebrïava il dolce canto (Pd XXVII 1-3)

 

III stazione
Gesù incontra sua Madre e le donne di Gerusalemme

Lo seguiva una grande moltitudine di popolo e di donne, che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso di loro, disse: “Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli” (Lc 23,27-28)

«’Deus, venerunt gentes’, alternando
or tre or quattro dolce salmodia,
le donne incominciaro, e lagrimando;
e Bëatrice, sospirosa e pia,
quelle ascoltava sì fatta, che poco
più a la croce si cambiò Maria» (Pg XXXIII 1-6)

Nell’Eden Dante assiste alla tragica scena allegorica dello scempio della Chiesa: di fronte a essa le sette donne, personificazioni delle virtù teologali e cardinali, cantano “lagrimando” il Salmo che piange la distruzione del Tempio; l’espressione sul volto di Beatrice si fa “sospirosa e pia” e per Dante ricorda quasi quella di Maria che guarda il dramma del Golgota. Maria e Beatrice insieme alle donne assistono allo stesso strazio, quello fatto alla Chiesa sulla terra che ripete quello fatto sulla croce a Cristo, vero Tempio distrutto e ricostruito in tre giorni. Le parole di Gesù alle donne, “non piangete per me, ma su voi”, le sente rivolte a sé lo stesso Dante, che ha appena confessato il proprio traviamento, il proprio peccato che Cristo sta portando sul calvario. E non può non pensare a Maria, il “bel fior ch’io sempre invoco / e mane e sera” (Pd XXIII 88-89): ella che “liberamente al dimandar precorre” (Pd XXXIII 18) è la prima che Gesù incontra nella strada verso il Calvario, così come è la prima che soccorre Dante nella selva oscura.

‘Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo’,
cominciò, ‘gloria!’, tutto ‘l paradiso,
sì che m’inebrïava il dolce canto (Pd XXVII 1-3)

 

IV stazione
La Veronica asciuga il volto di Gesù

Il mio cuore ripete il tuo invito: “Cercate il mio volto!”. Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto, non respingere con ira il tuo servo. Sei tu il mio aiuto, non lasciarmi, non abbandonarmi, Dio della mia salvezza (Sal 27, 8-9).

«Qual è colui che forse di Croazia
viene a veder la Veronica nostra,
che per l’antica fame non sen sazia,
ma dice nel pensier, fin che si mostra:
“Segnor mio Iesù Cristo, Dio verace,
or fu sì fatta la sembianza vostra?”» (Pd XXXI 103-107)

Dante paragona la propria commozione provata nel contemplare la vivace carità del volto di San Bernardo, prefigurazione della visione di Cristo che avverrà a breve, a quella del pellegrino che giunto da lontano vede per la prima volta l’immagine del velo della Veronica a Roma, la reliquia, dirà altrove, “la quale Iesu Cristo lasciò a noi per essemplo de la sua bellissima figura” (Vn XL 1); talmente tanto è il desiderio di vedere quel volto che il pellegrino non può saziarsene e riesce solo a dire: “Signore mio, Gesù Cristo, vero Dio, dunque è proprio questa la vostra sembianza?”. Alla fine del viaggio poi, al culmine della beatifica visione, Dante descrive la seconda Persona della Trinità “pinta de la nostra effige” (Pd XXXIII 131), riconoscendovi quindi, oltre al vero Dio, il vero uomo. Nella Divina Commedia, come in tutta la sua vita, Dante ha cercato il volto del Signore: il volto dell’uomo che suscita meraviglia, il volto del Dio così simile al nostro.

‘Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo’,
cominciò, ‘gloria!’, tutto ‘l paradiso,
sì che m’inebrïava il dolce canto (Pd XXVII 1-3)

 

V stazione
Gesù è spogliato delle vesti e inchiodato alla croce

Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Poi dividendo le sue vesti, le tirarono a sorte (Lc 23,33-34).

«Nè valse esser costante, nè feroce
sì, che dove Maria rimase giuso,
ella con Cristo salse in su la Croce» (Pd XI 70-72)

Cristo fu crocifisso spogliato dei suoi abiti, senza nulla, povero. Nel canto dedicato a San Francesco la Povertà è vedova da “millecent’anni e più” (v. 65), tempo vissuto da sola, pur con fierezza e fedeltà verso il suo primo sposo, Cristo, fin quando non ha ricevuto un secondo invito dal santo di Assisi. Madonna Povertà è sposa di Francesco così com’era stata sposa di Cristo, fin dalla nascita, tanto che anche Maria nella stalla di Betlemme è detta da Dante “povera… quanto veder si può per quello ospizio / dove sponesti il tuo portato santo” (Pg XX 23-25). Per Dante, sul Golgota, lì dove Maria rimase ai piedi della croce, la Povertà salì con Gesù al suo fianco: non rimase solo Gesù nel momento della morte, la sua sposa, la Povertà, salì con lui sulla croce. Senza vesti, povero, eppure egli sulla croce non era solo, non aveva nulla, eppure donò tutto.

‘Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo’,
cominciò, ‘gloria!’, tutto ‘l paradiso,
sì che m’inebrïava il dolce canto (Pd XXVII 1-3)

 

VI stazione
Gesù muore in croce

Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò a gran voce: “Eloì, Eloì, lemà sabactàni?”, che significa: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: “Ecco, chiama Elia!”. Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere dicendo: “Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere”. Ma Gesù, dando un forte grido, spirò (Mc 15,33-37)

«Qui vince la memoria mia lo ‘ngegno;
ché quella croce lampeggiava Cristo,
sì ch’io non so trovare essempro degno;
ma chi prende sua croce e segue Cristo,
ancor mi scuserà di quel ch’io lasso,
vedendo in quell’albor balenar Cristo» (Pd XIV 103- 108)

Dante rivede più volte i segni della Passione: riconosce nelle ferite della Chiesa del suo tempo “rinovellar l’aceto e ‘l fiele, / e tra vivi ladroni esser anciso” (Pg XX 90-91), vede Caifa, disteso crocifisso in terra, che “attraversato è, nudo, ne la via” (If XXIII 118), parla del buio su tutta la Terra, tanto che «a li Spani e a l’Indi / come a’ Giudei tale eclissi rispuose» (Pd XXIX 101-102).

Strumento di morte, in Paradiso però Dante ha la visione della gloria della Croce: nel cielo, laddove si presentano a lui coloro che sono morti per la fede, su quella croce “lampeggia”, risplende come un lampo, “balena”, indistintamente ma chiaramente, la figura di Cristo; Dante si dice incapace di esprimere quella visione trattenuta nella propria memoria, egli non trova un “essempro degno”, un paragone adeguato per descriverlo. Di fronte alla croce, come in terra mancarono le parole per tanto dolore, in cielo mancano per tanta gloria: null’altro è tale! Per questo, scusandosi di non poter raffigurare ciò che vede, il Poeta rimanda il suo lettore, ognuno di noi, a quando, una volta presa la propria croce e aver seguito Cristo, giungeremo in Paradiso e vedremo quella gloria con i nostri occhi, i nostri occhi che ora vedono solo una croce.

‘Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo’,
cominciò, ‘gloria!’, tutto ‘l paradiso,
sì che m’inebrïava il dolce canto (Pd XXVII 1-3)

 

VII stazione
Gesù è deposto nel sepolcro

Visto ciò che era accaduto, il centurione dava gloria a Dio dicendo: “Veramente quest’uomo era giusto”. Ed ecco, vi era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, buono e giusto. Egli non aveva aderito alla decisione e all’operato degli altri. Era di Arimatea, una città della Giudea, e aspettava il regno di Dio. Egli si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. Lo depose dalla croce, lo avvolse con un lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia, nel quale nessuno era stato ancora sepolto (Lc 23, 47.50-53).

«Ma certo poco pria, se ben discerno,
che venisse colui che la gran preda
levò a Dite del cerchio superno,
da tutte parti l’alta valle feda
tremò sì, ch’i’ pensai che l’universo
sentisse amor» (If XII 37-42)

Dopo la morte di Cristo, si fa buio e scende il silenzio. Quel sabato sarà giorno di quiete e attesa sulla Terra, ma Dante ci riconsegna ciò che accadde in quelle stesse ore con la discesa di Cristo agli Inferi. L’Aldilà ne porta ancora i segni: la porta dell’Inferno viene distrutta, ora è “sanza serrame” (If VIII 126), il cerchio dei violenti frana e i ponti crollano sopra la bolgia degli ipocriti, rimane “tutto spezzato al fondo l’arco sesto” (If XXI 108). È Virgilio a ricordare di aver visto “venire un possente, / con segno di vittoria coronato” (If IV 52-54), colui che tolse a Dite “la gran preda”, riprese le anime dei giusti dall’Inferno. In questo scenario di distruzione Virgilio aveva cercato comunque un senso e racconta che quando il profondo abisso aveva tremato “i’ pensai che l’universo / sentisse amor” (If XII 41-42): nel momento della morte di Cristo, l’universo aveva provato amore, come se tutti i suoi elementi fossero entrati in concordia tra loro. Virgilio, un pagano, come il centurione davanti alla croce, riconosce che si trova di fronte a qualcosa di grande, unico, qualcosa che atterrisce, ma che allo stesso tempo è qualcosa che crea, non che distrugge. Non è più il peccato che lascia un segno sull’uomo, è al contrario la morte di Cristo che squarcia il peccato, è lui che, grazie a quella croce, è in grado di riportare indietro l’uomo che si è perso nella selva; e a noi che crediamo non resta che sforzarci di sentire quell’amore fra tutto quel silenzio, sperare nell’alba della domenica, attendere quel momento in cui “la notte risurge” (If XXXIV 68).

‘Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo’,
cominciò, ‘gloria!’, tutto ‘l paradiso,
sì che m’inebrïava il dolce canto (Pd XXVII 1-3)

 

 

6 risposte a “La Via Crucis di Dante”

  1. luigi Autiero ha detto:

    Pensando al Calvario, Cristo Gesù IL Figlio di Dio, ha portato una corona di spine, affinche tutti quelli che si riconoscessero peccatori, che si Ravvedessero, e che credessero col cuore in LUI , confessandoLO come il proprio Signore e Salvatore,
    ricevessero una Corona di Gloria.

    Purtroppo sebbene quanto, oggi sono Tanti, Molti coloro che non prendono posizione nel Ravvedersi…, e si contentano di essere solo religiosi e non discepoli del Signore Cristo.
    Grazie Signore Gesù, Grande Iddio e Salvatore…; grazie per la tua Redenzione..

  2. Nicola Parisi ha detto:

    Una Via Crucis che ci mette sul cammino del Calvario con i versi del Sommo Poeta. In questo testo possiamo riconoscerci nell’umana fragilità che Dante esprime al cospetto di Dio

  3. Nicola Parisi ha detto:

    Con grande meraviglia ho letto questa Via Crucis, diversa e profonda. Accompagnare il Signore con i versi del Sommo Dante, interprete della fragilità dell’uomo.

  4. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Questo commento sulla via crucis di Cristo tratto con rif.i versi del sommo poeta Dante, è un voltare pagina da quei quadri rappresentanti il tema della sofferenza di Cristo personaggio con altri della la stessa parabola e storia; due canti contrastanti e contrapposti. In questo il fare memoria del percorso doloroso di Cristo, culmina con lo spalancarsi del cielo all’umana sofferenza, l’epilogo che non è stata invano, si apre al trionfo dellavita nuova . Nella rappresentazione festivaliera, i quadri si chiudono via via dei personaggio/i rappresentati, l’artista ne fa oggetto per stupire la platea che ha pagato un biglietto proprio per godere di un divertimento. Oggi è in TV, un gruppo di sacerdoti, hanno percorso a piedi le vie di un paese semi deserto portando la croce. E’ questa una croce vera che ogni uomo oggi forse in tutta la terra sente pesare, il Covid, esso costa dolore e lacrime fino da battersi il petto, e ci trova come Cristo sofferenti e imploranti grazia

  5. Renata Mayer ha detto:

    Quasi alla fine della quaresima, nel pieno delle “celebrazioni” per l’anno di Dante, questa Via Crucis di Maurizio Signorile è perfetta, perchè riesce ad unire la Passione di Cristo alla spiritualità del Poeta. Un modo nuovo per rivivere un mistero antico. Grazie Maurizio. Renata Mayer

  6. Gesuino Carta ha detto:

    Molto bella… Profonda
    Il percorso del Calvario rivissuto con dovizia di particolari che ci fanno ulteriormente… sulla nostra croce, mai più pesante delle nostre forze.

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