La regalità di Cristo, o della libertà dell’amore.

Il centro del testo di oggi sottolinea bene come la regalità di cristo sia diversa da quella dei regni umani
24 Novembre 2024

ANNO B – SOLENNITÀ DI NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO RE DELL’UNIVERSO – Gv 18, 33-37

Nel 1925, nella piena esplosione europea dei totalitarismi, Pio XI istituisce la Festa di Cristo Re dell’universo. A leggere oggi l’enciclica relativa, “Quas Primas”, si resta abbastanza sconcertati dal tentativo del pontefice di mostrare come Gesù sia Re alla stessa maniera dei regni umani: ha il potere legislativo, esecutivo e giudiziario e si ricorda “il grande numero di regioni conquistate” e “quante vaste regioni vi siano ancora da sottomettere”. E per ben dodici volte il Regno di Gesù viene detto “impero”. Difficile sottrarsi all’idea che il pontefice immaginasse che il vero “totalitarismo” fosse quello di Gesù.

In quel documento, infatti, non c’è traccia del centro del testo di oggi, in cui Cristo, invece, ci tiene a sottolineare bene come la sua regalità sia diversa da quella dei regni umani, almeno per tre caratteri distintivi.

Il primo. La parola greca che sta dietro al termine “regalità” indica il terreno su cui ci si appoggia per stare in piedi e anche il passo che si compie muovendosi sul terreno. Regalità perciò ha a che fare con base di appoggio e con ritmo e stile di cammino, che sono i caratteri che sostanziano il potere della regalità. Su questo Gesù segnala la prima differenza: “il mio regno non è da questo mondo” (v. 36). La traduzione CEI ancora non ha recepito il “da” al posto del “di”. Sembra un’inezia, ma fa molta differenza.

Nel “da”, il testo di Gv segnala, che il suo potere non segue l’origine, lo stile e il ritmo dei poteri umani. Tutti e tre i sinottici riportano la discussione su chi sia il più grande tra i discepoli, e Gesù, tutte le volte, segnala la necessità di una differenza tra la gestione del potere di questo mondo e quella del Regno. Perciò la regalità di Cristo non ha origine umana, ma vive tra gli uomini e lì dimostra con la sua differenza di gestione del potere la sua diversa origine. Se, invece, accettassimo il “di”, (che il testo originale non permette) dovremmo limitarci a segnalare come il Regno di Dio non si dà in questo mondo, non può avere corso qui sulla terra, almeno nella sua pienezza. Rischiando di aprire una frattura pericolosa, in cui la Chiesa si può permettere di assimilare la gestione del suo potere a quella dei regni umani, perché fino a che siamo sulla terra il Regno di Dio non può realizzarsi pienamente.

Non si può negare che storicamente, (ma purtroppo anche oggi) la Chiesa abbia vissuto la regalità di Cristo come una regalità umana qualsiasi, solo con un capo divino. Il che ha fatto accentuare ancora di più il carattere impositivo e coercitivo, tipico del modo di regnare dei potenti della terra, all’interno della Chiesa: qui il sovrano è Dio stesso, perciò rischia di diventare assolutamente impossibile ogni forma di dissenso e di contrasto, pena l’anatema, l’essere fuori dalla salvezza che per secoli ha caratterizzato questo modo di vivere il potere nella Chiesa.

Ma non si può nemmeno dimenticare che il recente sinodo mondiale sulla “sinodalità”, ad ottobre scorso, ha prodotto un documento in cui la gestione del potere all’interno della Chiesa non si sposta molto dalla “regalità” del “capo” che si impone e decide. Con l’unica differenza che, da ora in poi, il “capo” prima dovrà ascoltare il parere dei fedeli e del popolo di Dio. Forse, un po’ poco, se si vuole tentare di restare più in asse con i testi neotestamentari di riferimento.

Il secondo carattere distintivo della regalità di Cristo. “I miei sottoposti combatterebbero perché io non fossi consegnato ai Giudei” (v. 36). Non parla di amici, nemmeno di servi, ma di “sottoposti”, che devono difenderlo. Quando Pietro proverà a farlo nell’orto degli ulivi, Gesù lo fermerà. Non si tratta appena del divieto di usare le armi contro gli esseri umani. Si tratta invece di rinunciare radicalmente a difendere “il capo”, anche da eventuali tradimenti del suo pensiero. Infatti il verbo greco dietro a “consegnare” si può tradurre anche con “tradire”. Perché rinunciare alla difesa di Dio?

Il motivo è sempre Gv a ricordarcelo: Gesù offre volontariamente la sua vita alla morte, per amore degli uomini: “Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo” (Gv 10,18). Perciò che senso può avere spendere energie per difenderlo? Lui ha deciso di lasciarsi tradire e consegnare, perché possa entrare in contatto con tutti gli esseri umani. Non ha paura di perdere la sua identità, anzi la sua regalità si manifesta proprio quando non trattiene per sé “la sua uguaglianza con Dio”, ma se ne spoglia (Fil 2,6).

Diventa davvero un pessimo servizio, allora, quello di chi cerca di difendere Gesù e il suo pensiero dalle interpretazioni eterodosse. Non che queste non esistano e non possano essere segnalate, ma la salvezza di Cristo si realizza lasciando che esse portino fino in fondo il loro cammino, perché da una parte ricordano, a chi resta fedele a Cristo, lati del Suo mistero che possono essere stati dimenticati e occultati, dall’altra la testimonianza della verità “cattolica” le può aiutare a recuperare l’intero della fede.

E qui si apre il terzo carattere distintivo, forse il più importante: la regalità di Cristo è essere nel mondo per “testimoniare la verità” (v. 37), non essere nel mondo per espandere il proprio dominio. E qui è fondamentale comprendere cosa sia la verità per Gv. Non si tratta di una astrazione, di una idea, di una teoria per comprendere il mondo. Per Gv la verità è un accadimento, qualcosa che avviene, che succede. Un dato concreto, perciò, in cui il mistero di Dio si rende in qualche modo percepibile: “Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato” (1 Gv 1,1). In Gv verità è Dio che si realizza nella storia, cioè, Gesù Cristo stesso.

Testimoniare la verità, perciò, significa vivere e mostrare quale sia la qualità della relazione che ciascun fedele vive con questo Dio che si realizza, per mezzo di chi crede, nel mondo. Regalità, qui prende i colori dell’autonomia libera e amorevole di chi, fidandosi di Dio, vive la relazione con Lui come base, ritmo e stile del proprio essere al mondo, dando forma ad una vita che, proprio nella sua unicità diversa da tutti gli altri, rende testimonianza alla Verità.

Chi fa questo, avverte di essere anche lui “Re”, libero da coercizioni esterne e interne, che permettono al desiderio di vita della persona, di fiorire nella base, nel ritmo, nello stile che ad essa è possibile. E richiama quell’intuizione meravigliosa di J. H. Newman secondo cui la base del potere del papato è ritrovata nella coscienza del singolo che obbedisce alla verità percepita dentro di sé. Il cristiano è un “Re”, nel senso che nessuno altro, nemmeno il papa, può falsificare la percezione della verità che egli ha, se costruita come effetto della sua relazione amorevole con Dio.

8 risposte a “La regalità di Cristo, o della libertà dell’amore.”

  1. Pietro Buttiglione ha detto:

    Allora. Provato ieri..testo skappato via.. dita troppo grosse! Tf?non rispondi😰 Ri-provo.
    0) Gesù vuole educare l’Uomo, ben più che dissertare su Dio.
    1) il GRANDE insegnamento su RE è che :
    SE tu ti ergi… Sei un microbo ( certi politici..fate voi i nomi..)
    SE usi forza violenza costrizione … Sei un debole vigliacco ( femminicidi)
    SE tu alzi la voce.. sai che nessuno ti ascolta, cmq
    SE tu ti fai forte con “Quello. ha detto” o sei il TG o non hai idee proprie ( forse rientra il Bolloré??)
    SE tu non sei capace di ascoltare l’altro hai rinunciato a pensare..
    Ecc
    In caso contrario TU SEI RE, COME GESU’

    QUESTO volevo dire, ieri..🙂‍↕️😛

  2. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Noi diciamo che Cristo è Re, lo festeggiamo come la folla di allora”Osanna al figlio di David”ma Lui ha precisato, non come il mondo intende. Se oggi i Capi di Stato fanno visita al Santo Padre, forse non è come andare da un Salomone per avere risposta a un far seguito di azione, ma anche così la Chiesa svolge un servizio alla e nella società richiamando quei valori che paiono disattesi quando ie guerre sono flagello di vite umane sacrificate in nome di rivendicazioni combattute non con l’intelligenza affidata alla Parola, ma al bellicismo di un maggior potere in armi. Salomonica risposta dalla Chiesa merita quella giustizia reclamata dal ceto debole, l’uccisione di donne, gli abusi su giovani e bambini. al far prevalere giustizia circa l’eminente dignità della vitaumana, compresa quella dei nascituri, che va salvaguardata, perché nessuno può dirsi padrone di una vita, un Gesù Cristo si è sacrificato a salvezza di tutti

  3. Roberto Beretta ha detto:

    Eppure la “regalità”, intesa in senso tradizionale, informa tuttora molta pastorale! La Chiesa nei suoi livelli di base mira sempre a “conquistare” terreni e adepti. La regalità di Cristo è del resto un ottimo appoggio “teologico” per il clericalismo: lui è il re (lontano…) e i suoi vassalli in terra comandano in sua vece, senza alcun contraddittorio. Vogliamo ribaltare il senso di questa e altre devozioni, come il Sacro Cuore, che di fatto e nella pratica ecclesiale hanno ormai assunto fattezze ben poco conformi a un cristianesimo per adulti responsabili?

    • ALBERTO GHIRO ha detto:

      Credo, ma potrei sbagliarmi, che la censura si debba considerare come l’unico divieto tacito della religione cattolica proprio perché essa è nata dal patibolo imposto dalla censura della religione da cui ha preso origine.
      La storia della religione cattolica e il suo presente mostrano come questo divieto sia stato largamente ignorato ma in piccole nicchie come questo blog se ne può sperimentare l’applicazione ferrea, a mio parere. L’abitudine a far convivere le convinzioni e lo stile di vita personali con convinzioni, riti, devozioni non solo diversi ma talvolta stridenti e incoerenti con la nostra sensibilità e cultura non è una forzatura al compromesso ma un antidoto alla “dura cervice”, una risposta al cambio di mentalità chiesta dal vangelo.

  4. Maria Cristina Venturi ha detto:

    La Chiesa come istituzione ha sempre pensato di estendere il suo dominio nel mondo in un modo molto politico piu’ che spirituale. L’ Ordine dei Gesuiti per secoli ha brigato per aumentare l’ influenza politico della Chiesa su regni e sovrani. Oggi c’ e’ piu’ ipocrisia ,i toni sono sono piu’ subdoli, ma l’ “istituzione” Chiesa si occupa ancora di politica, il Papa riceve Presidenti ,Monarchi, grandi banchieri , personaggi come la nuora di Rothschild la moglie di Zelensky eccetera non certo in una prospettiva spirituale, ma per aumentare il prestigio e l’ influenza della Chiesa nel mondo.

    • ALBERTO GHIRO ha detto:

      Come non condividere questo ma l’attuale pontificato ha anche un’altra peculiarità che ne ha determinato a mio parere la nascita e ne attenua in parte le successive colpe. La globalizzazione politica, economica e ideologica fa sì che il potere si regga anche solo sulla capacità di controllare le informazioni e quindi il pensiero comune e dominante. Tanto è bastato per determinare il fatto storico, abbastanza unico ma assimilato facilmente con giusta dose di relativismo, delle dimissioni di un papa su un tema immorale condannabile all’unanimità ma forse adeguatamente ingrandito.

  5. ALBERTO GHIRO ha detto:


    Per leggere questo brano può tornare utile la parabola del figlio prodigo dove la fede è rappresentata dal figlio prodigo che è alla ricerca di sé e lo ritrova nell’essere figlio, mentre il fratello nel voler essere figlio aspira alla stabilità, alla ricchezza e al potere.
    I concetti riferiti al singolo restano uguali se riferiti al gruppo o alla comunità o all’umanità.

  6. ALBERTO GHIRO ha detto:

    Il limite più frequente e distorsivo nelle relazioni deriva dall’incapacità di riconoscere il punto di vista dell’altro, di mettersi nei panni dell’altro come si dice, e questo succede anche quando la relazione è con Dio, niente di diverso.
    Cerchiamo di capire il suo punto di vista ponendolo, per praticità, in alto sopra la nostra miseria ma anche questa è un’operazione che può compiere la mostra mentre quando l’oggetto della relazione è invisibile.
    La fede come relazione si riduce al voler essere in relazione con il padre ma l’iniziativa parte da noi nel disperato tentativo di salvarci dall’insoddisfazione desolante a cui porta il voler essere. Crediamo di chiedere la salvezza ma in realtà la vogliamo ottenere con le nostre mani.
    ….

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