La domenica della vite, della potatura e dei frutti

Un pochino me lo chiedo se lo sentiamo come un graffio che sanguina il dolore per i tanti che, alla spicciolata, si allontanano dalle nostre comunità...
2 Maggio 2021

Due paroline per presentare queste “note a margine”. Sono appunti di un cristiano qualunque che legge le Scritture domenicali. Privi di valore scientifico o pastorale, forse utili solo come stimolo a cercare commenti più autorevoli o, meglio ancora, a scrivere ciascuno le sue, di “note a margine”.

 

“Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto.” (Gv 15,2) Dunque, possono esistere tralci in Gesù che non portano frutto. Ma dopo dice: “Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla.” C’è una contraddizione? Non ho competenze per andare a fondo. Mi piace piuttosto pensare ad altre parole della nostra fede in Gesù: “Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono” (Col 1,17). Dunque, esistono per mezzo di Lui pure quei tralci imperfetti. Giacché, se Lui dovesse accogliere e dare linfa solo ai perfetti, la vite non avrebbe tralci e noi poveri uomini saremmo tutti perduti. Nella nostra imperfezione, veniamo potati (e i segni delle potature ci rimangono addosso, quasi come le cicatrici del Risorto), non sempre riusciamo a vedere i frutti (e possiamo anche dubitare di riuscire a portarne) e, nel frattempo, proprio in questo processo, diventiamo suoi discepoli. Singolare circostanza che la Chiesa introduca il brano con “In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli”: si è discepoli, eppure bisogna diventarlo.

“E qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito.” (1Gv 3,22) “Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto.” (Gv 15,7). Tra il Vangelo e la Prima Lettera di Giovanni rimbalza una di quelle frasi che lasciano il segno, eco di quel “chiedete e vi sarà dato”; un lettore poco attrezzato non sa mai come interpretarle. Non evidentemente in senso letterale: la storia di tutti è piena di richieste non esaudite. E il più delle volte non sono domande “fuori posto” (Gc 4,3): la salute, il lavoro per una vita dignitosa, un briciolo di felicità per chi si sta richiudendo a riccio. Come la mettiamo? Ci sono quelle clausole, “perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito.” “Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi”, ma non posso vederle come condizioni “contrattuali”, di scambio. Condizioni capestro, se ripensiamo alla fragilità della condizione umana. Dunque, rimane un mistero, un affidarsi che sia un radicarsi.

Rimanere è parola ricorrente. Un verbo dal sapore di affetti intimi, quiete domestica; diciamolo pure, sapore spiritualistico; introverso o, quanto meno, poco estroverso. Questo sapore potrebbe stare bene a me, cristiano un po’ pantofolaio, ma rimarcarlo troppo potrebbe dar luogo ad una degenerazione, mettere le briglie al Vangelo. Mi piace pensare che “rimanere” alluda non all’atteggiamento introverso, ma a ciò che rimane, nel senso che è così importante da sedimentarsi; oppure a ciò che, rimanendo, sorregge l’esistenza. La vita potrà portarci lontano, magari sarà il Vangelo a farci mettere le ali; la distanza il più delle volte non si misura in chilometri, ma in esperienze e scelte. Ma l’importante è che sempre ci portiamo dentro la linfa del Vangelo, esattamente come il sapore ed i valori di casa.

 

 

Infine, una noticina quasi off topic: “La Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samarìa: si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva di numero.” Sarà una nota ingenua quella sul numero dei fedeli che cresceva? lo sguardo pieno di entusiasmo dei primi tempi? Oggi sappiamo che la Chiesa non cresce con il proselitismo, ma per attrazione (e lo scossone del CoVID, la brusca interruzione di abitudini, ci ha messo sotto gli occhi la sua attuale capacità di attrazione). So anche bene che sarebbe grave peccato trattenere le persone nel recinto ecclesiale, tenerle a forza. Ma un pochino me lo chiedo se lo sentiamo come un graffio che sanguina il dolore per i tanti che, alla spicciolata, si allontanano dalle nostre comunità: i ragazzi dopo la Cresima (o persino prima), le donne, le famiglie… Non contano i numeri, ma le dinamiche si, la disattenzione pure.

 

5 risposte a “La domenica della vite, della potatura e dei frutti”

  1. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    Stamane a Messa il Vangelo era proprio questo.
    Il don nell’omelia cita la Samaritana.
    Spirito e verità.
    Non avevo mai notato e tantomeno connesso alla domanda precedente:
    Ma voi dove adorate…? In quale CHIESA??
    Forse Lui voleva dirci che non è necessaria? Né Chiesa, tanto meno Clerici 🥰🙃💥🔥🔥🔥

  2. Elisabetta Manfredi ha detto:

    Mi soffermo sull’ultima parola: disattenzione. Un esempio concreto: nella mia diocesi sta per aprirsi il sinodo diocesano, e sabato 22 aprile sono stati votati i rappresentanti laici della vicaria di Savona. La votazione ha avuto luogo all’interno di un incontro in cattedrale, con preghiere e canti, ed é durata i minuti necessari per scrivere sulla scheda e infilare questa nell’urna. Chi lavora di sabato pomeriggio, chi quel sabato pomeriggio aveva un impegno inderogabile, é stato esluso. La liturgia é stata preferita alla partecipazione.
    Bastava così poco per creare un seggio in cattedrale o in episcopio anche la domenica, diciamo dalle 10 alle 18…
    O forse una elezione senza canti e preghiere non é cosa buona?
    Ora scopro che la veglia di Pentecoste sarà alle 18. C’é il coprifuoco, ma la Chiesa non é fatta di soli pensionati, casalinghe e colletti bianchi.
    Io lo sento il dolore del graffio, ma sono io che mi allontano, o piuttosto é la Chiesa che mi allontana?

    • Stefania Manganelli ha detto:

      Mi sto chiedendo: sono io che mi allontano o sono coloro che non vivono la comunione (attuando e promuovendo atteggiamenti ed eventi di “nicchia”, che separano ed escludono, che sono l’esatto opposto dell’uscita/missionarietá della Chiesa) che si auto-escludono?

  3. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    Contano le dinamiche.
    Mi confesso.presto la cosa + che tra me e Lui, diventa un confronto tra ieri e oggi.
    Devo confessarvi che sono solito dedurre dai dettagli. Il tema: clericalismo. Ok.
    Ma cosa significa? Solo + laici?
    Torniamo al confessore. Io cito Teresa d’Avila quando proibì’ ad una suora Eucaristia-dipendente la Comunione, per mesi. Lo faccio x far passare che è meglio una “buona” che tante quotidiane, magari con le due suore schierate al primo posto ben prima che scenda il Prete…. Volete sapere il commento del Prete??
    Teresa ha osservato le regole. Lei poteva.
    Compris?
    C’è un Clericalismo che riduce il Cristianesimo a regole. Probabilmente dovuto a cosa si è seminato in Seminario
    Difficile cambiare la forma mentis
    Anche su VN vedo spesso ridurre probls a regole dei codex
    Forse qui sta il clericalismo dilagante.

  4. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Rimanere in Gesù è una scelta,avere fede nella Sua Parola vuol dire viverla, se si rimane dentro di Lui Egli assicura, porterà frutto.Quale? Quello che anche altri possono cogliere, godere, frutto.non è solo per bere il nostro vino.Come Lui ha dato tutto di se liberamente, questo anche si aspetterà da noi, una scelta che è dono che può per questo implicare sacrificio, fatto, sopportato per amore. E’ questo il regno che Cristo vuole costruire far diventare i figli dell’uomo, figli di Dio assicurando loro vita eterna. il tralcio secca se si esce dalla sua Persona, se si segue altra parola.e lo vediamo per le guerre,per gli innocenti,i deboli che ingiustamente subiscono il male provocato da altri, il clima , i pesticidi, l’aria inquinata, e non si può provare dolore per chi compie il male, si prega perché cessi questa pandemia che sta falciando vite umane colte di sorpresa! Le vittime le vediamo perire per danni commessi dall’uomo stesso.

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