“Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta” (Lc 1,39-40).
‘Si alzò’ è il verbo della risurrezione. In qualche modo Maria è passata attraverso una morte, uno svuotamento, che Dio ha riempito di grazia e di verità, e “risorta” si mette in cammino, con lo slancio della nuova vita di Gesù nel suo grembo, per raggiungere colei che può capire il mistero e lo scandalo della sua fede.
Elisabetta e Maria sono due figlie di Israele, la loro storia si intreccia e si confonde con quella del loro popolo; entrambe sono incinte perché, in modi diversi, hanno fatto spazio alla promessa di Dio e il bene della loro vita si è compiuto dentro un bene più grande, un bene che arriva fino a noi. Sono due donne che hanno conosciuto nella loro carne l’impossibile di Dio. Elisabetta è avanti negli anni, sposata a un uomo di classe sacerdotale, ed è sterile, Maria è una giovane ragazza, promessa sposa a un carpentiere, ed è vergine; sono dunque molto diverse, ma condividono il mistero di una vita ricevuta “per grazia” e questo brucia ogni distanza, ogni imbarazzo, ogni timore di giudizio: il loro incontro diventa motivo di gioia e benedizione. È l’incontro che vorremmo accadesse almeno una volta, perché no, a ciascuno di noi.
Prima ancora di nascere, Gesù, nel grembo della madre, inizia a percorrere le strade della Galilea e della Giudea; prima ancora di nascere, Giovanni inizia a gioire di lui, l’Atteso da tutte le genti; prima ancora di nascere, Elisabetta riconosce la Sua presenza e la beatitudine di Maria “per aver creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto”. Prima ancora che nasca, Maria diventa discepola di quel Figlio, che “entrando nel mondo dice: Ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà”. C’è dunque qualcosa che avviene anche nel tempo dell’attesa, l’attesa di chi cammina nella fede verso la luce che non conosce tramonto.
Ogni giorno il Signore Gesù percorre le nostre strade, si affianca nei modi più diversi, la sua vita in noi è ciò che fa la differenza. Lui è il destino e la beatitudine di coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica, anche nei giorni difficili e bui, quando credere sembra meno che inutile, un andare controcorrente ed essere proprio là dove non si vorrebbe. E se Maria è benedetta fra le donne non in senso esclusivo ma inclusivo, cioè in mezzo a tutti, allora l’ascolto di Dio è anche ascolto dei fratelli e delle sorelle in mezzo ai quali viviamo. Ogni giorno, come Elisabetta, siamo chiamati a riconoscere i segni della presenza del Signore, ovunque si trovino, per benedire Dio e gioire di lui e del bene che ancora compie tra noi. Quanta speranza porta il bene riconosciuto e benedetto, il bene che già c’è nella vita quotidiana di tante persone, giovani e anziani, il bene che non fa rumore, né audience.
Ogni giorno, al tramonto del sole, prima che il buio avvolga ogni cosa, la Chiesa canta il Magnificat, il canto di Maria, che riecheggia quello di altre donne del suo popolo: Miriam sorella di Mosè, Anna madre di Samuele… Un canto di fiducia e di speranza, che accompagna il tempo dell’attesa e illumina il buio della notte: Dio non smette di visitarci nelle pieghe e nelle piaghe della nostra esistenza. Possiamo credere e sperare che già ora, nella nostra insostituibile adesione alla Parola e allo Spirito è in gestazione quel mondo nuovo nel quale i potenti sono rovesciati dai loro troni, gli umili sono innalzati, gli affamati sono ricolmati di beni e la misericordia abbraccia tutti e tutto.