Il Volto tra i volti

Frammenti di Via Crucis per vite frammentate
15 Aprile 2022

Ecco. Come ogni anno – come ogni lista di buoni propositi, come gli esami all’università – arrivo a Pasqua impreparato. Avrei potuto, voluto e dovuto fare di più: più tempo per la preghiera, più spazio da ritagliarsi nelle giornate, magari un ritiro. E invece. E invece nemmeno mi ero ricordato di spostare il turno per partecipare alla Via Crucis del venerdì santo anzi, stavo anche dimenticando che i suoceri sarebbero arrivati in aeroporto proprio oggi pomeriggio. Ora loro sono a casa e io ho fatto lo slalom tra le doppie file per cercare parcheggio vicino alla parrocchia. Sono in ritardo, la celebrazione è già iniziata. Vediamo quanto tempo potrò fermarmi prima di scappare al lavoro.

Terza stazione – Gesù cade la prima volta    

Il Signore rende sicuri i passi dell’uomo e si compiace della sua via. Se egli cade, non rimane a terra, perché il Signore sostiene la sua mano. [Sal 37,23-24]

Ecco. Non solo arrivo in ritardo, ma non mi piacciono nemmeno i commenti alle stazioni che stanno leggendo – oltretutto con voce alcuni monocorde, altri fin troppo enfatica – dal solito e stropicciato libretto. Guarda, là avanti c’è anche Marco. L’altro giorno ha scritto un post bellissimo su Facebook. È riuscito a essere qui, pur con le stampelle: sì, perché il mercoledì delle ceneri si è rotto il femore. No, Marco non è un simpatico nonnino, ma un atletico trentenne, con la gamba spezzata in due da una brutta e improvvisa caduta sul campo da basket. Tutto è andato per il meglio, ma ha condiviso sui social quanto il ricovero in ospedale l’abbia esposto all’esperienza della sorpresa, del limite, della pazienza. La sorpresa che la vita possa cambiarti in un secondo, con un inatteso crac, alcune volte non a livello di un osso. Il limite di non poter nemmeno riuscire ad alzarsi, vestirsi o fare pipì da solo. La pazienza di quei giorni, non così tanti, ma sufficientemente lunghi dal non passare mai.

Gesù, volto amico, salvami dalla caduta che mi prende di sorpresa e pretende di rubarmi il fiato. A chi si sente sempre sul pezzo, impavido sulla cresta dell’onda, insegna a riconoscere l’occasione custodita dal fastidio di inciampare, la scoperta di essere fragile come chiunque altro, la possibilità di riconoscersi debole e ferito per sorridere con luce nuova agli altri deboli e feriti.

Quarta stazione – Gesù incontra sua madre Maria

Io invece resto quieto e sereno: come un bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è in me l’anima mia. [Sal 131,2]

Ecco. D’altra parte, si sa: in chiesa, o a qualcuno suona il cellulare, o un bimbo si mette a frignare. Adesso, la seconda: al tenore sciapo delle meditazioni si aggiunge la lagna che procede imperterrita e a volume superiore alla sirena dell’antifurto, amplificata dalle volte della chiesa. Sbuffando (da sotto la mascherina, così mi si appannano pure gli occhiali), noto che la mamma del piccolo è più insofferente di me: culla il passeggino, allunga ninnoli vari, prende in braccio il bimbo, lo dondola, passeggia per la navata, con scarsi risultati. Penso a mia sorella e ai miei genitori, quando nacque il piccolo Tommaso, ai loro giorni e notti insonni, a un lavoro ambito e a una meritata pensione messi fra parentesi. Quando mi sento così bravo a dare consigli alle vite degli altri – come farei molto volentieri adesso a questa signora, invitandola con gentilezza verso l’uscita (con gentilezza, eh, non sia mai!) – dovrei ricordarmi di quando anche io tenevo un po’ in braccio mio nipote con le coliche o il mal di denti, e avrei voluto essere altrove, fuorché lì.

Gesù, volto di Figlio in cui splende la luce del Dio paterno e materno, svela la bellezza del mistero dell’accettazione. A chi pretende di aver capito tutto, a chi ritiene di non dover essere disturbato nei propri impegni, sempre più importanti di qualunque altra cosa, accorda la ricchezza di chi accoglie la meraviglia da scoprire quando ci si arrende dolcemente a prendere, in ogni circostanza, il pacchetto completo.

Quinta stazione – Simone di Cirene aiuta Gesù

Ma io sono povero e bisognoso: di me ha cura il Signore. Tu sei mio aiuto e mio liberatore: mio Dio, non tardare.   [Sal 40, 18]

Con le mascherine alcune espressioni rimangono nascoste, ed è più difficile intravedervi i sentimenti che manifestano. Però lui lo conosco, perché ormai da due anni, se lo vedo, ha una FFP2 a coprirgli metà del viso: è il mio medico di base. Non che mi piaccia molto come definizione, quasi a sottendere che esistano altri suoi colleghi per le altezze, per patologie o competenze più raffinate. Ciò che non potrò mai sapere è che in questo momento è lui a non star bene, e non a causa di qualche disturbo di salute. Sta facendo mentalmente il conto degli accessi al suo ambulatorio nell’ultimo anno: continua a ripeterlo, crede sia un errore, ma il risultato è sempre quello: poco più di quarantamila, più di cento al giorno. Escluse le telefonate. E i messaggi, che lo fanno litigare spesso con la moglie, mentre sono a tavola. Non potrò mai sapere nemmeno che in questo preciso istante sta pensando a un ricordo dei tempi dell’università quando, giovane tirocinante, un professore gli confidò che avrebbe dovuto guardare ogni paziente come fosse stato il papà, la sorella, il figlio, la fidanzata. Tutto questo per non perdere la passione, per non farsi vincere dalla routine. È difficile, tanto difficile, perché lui è un essere umano, non un supereroe. E, quando sbaglia – perché gli uomini sbagliano – sta male, tanto male, così male che vorrebbe chiudere l’ambulatorio e aprire un bar, o scappar via, almeno per una mezza giornata. E invece continua a indossare quel camice bianco, con le maniche lise dalle fatiche, dalle incomprensioni, dalla sproporzione del peso tra la sofferenza e la cura.

Gesù, volto rigato di sudore, lacrime e sangue, permetti che siamo adoperati anche noi, magari per forza, attorno alla croce. A chi sente sulle sue spalle il legno dell’ingiusta condanna, dona il tuo sguardo che, se non toglie il peso, insegna a portarlo con rinnovata dedizione.

Sesta stazione – Veronica asciuga il volto di Gesù

Non con la spada conquistarono la terra, né fu il loro braccio a salvarli; ma il tuo braccio e la tua destra e la luce del tuo volto, perché tu li amavi. Molti dicono: Chi ci farà vedere il bene? Risplenda su di noi la luce del tuo volto.      [Sal 44, 4-6]

Non ho giustificazioni al mio guardarmi attorno, ancor più durante una liturgia terribile e solenne come questa. Eppure, come mi capita di fare al ristorante o in metropolitana, lo sguardo vaga e si sofferma sui particolari, minimi o grossolani, di chi ho vicino; e la fantasia vaga, immaginando chi sia quella persona, che sentimenti stia provando, in quale momento della vita si trovi. Non visto, vedo una suora. Giovane, mi sembra. Tra mascherina e velo, la fessura degli occhi: siamo distanti, eppure luminosissimi. Non perché siano lucidi, almeno non solo. Incrocio il suo sguardo proprio mentre non riescono a trattenere le lacrime, che iniziano a scorrere, intervallate a singulti sommessi. Chi più di una consacrata può immedesimarsi nelle sofferenze del Maestro? Ciò che non potrò mai sapere è che non sta piangendo per le sofferenze del suo Signore, almeno non solo. In queste settimane, meravigliose e terribili, sta sperimentando un sentimento nuovo. Mai avrebbe immaginato, dopo la solenne professione dei voti, di potersi innamorare. Così le giornate, ritmate dagli abituali impegni di servizio e preghiera, sono ora altrettanto scandite dal desiderio di rivedere quello sguardo, dall’inadeguatezza di chi crede di aver così a lungo ponderato ogni possibilità prima di decidersi per la consacrazione e ora si ritrova in balia di qualcosa di inimmaginabile, dal senso di colpa che sopraggiunge dopo ogni messaggio. Non sa bene nemmeno lei se siano lacrime di dolore o di gioia; le stesse di stamattina quando, raccontando tutto alla sua anziana superiora, si è sentita carezzare il volto da quella mano tenera e rugosa, mentre le veniva detto che amare e piangere sono le due lenti di quegli occhiali che permettono di vedere meglio il Signore che passa.

Gesù, volto sfigurato dal dolore, che permetti a Veronica di poterti dare un istante di sollievo, concedi a noi, che cerchiamo in mezzo a tante domande la risposta ai nostri interrogativi, di diventare noi stessi vera icona del tuo amore che accoglie senza riserve e senza condizioni.

Settima stazione – Gesù cade la seconda volta

Al mio nascere tu mi hai raccolto, dal grembo di mia madre sei tu il mio Dio. Da me non stare lontano, poiché l’angoscia è vicina e nessuno mi aiuta. [Sal 21,11-12]

A scuotermi è, improvvisamente, il chiasso di un motorino, così forte da sembrare in mezzo alla navata. Sarà di qualche ragazzetto che scorrazza in giro, vagando in un pomeriggio senza scuola e senza compiti. E invece è di un rider: proprio così, quel nuovo e ingrato mestiere, eppure così utile anche a me quando non ho voglia di cucinare oppure ho bisogno di un regalo entro domani. Non saprò mai chi è questo ragazzo su un motorino scalcagnato, carico di quell’enorme zaino verde brillante, a portare qua e là pizza e sushi, noodles e arancini, per pochi spiccioli, magari in nero. Sta lavorando a digiuno: non per il venerdì santo, ma per quel mese che sta preparando da un anno intero, i giorni del Ramadan, dove anche il ricco somiglia al povero, il sazio all’affamato, resi tutti uguali dalla mancanza di cibo e di acqua finché brilla la luce del sole. A bruciare non è solo la sete di acqua, ma la fame di affetti, lontani da casa, e la fame di sogni: chissà quando riuscirà a mettere da parte i soldi per quel corso professionale a cui tiene così tanto.

Gesù, volto affaticato e stanco, salvami dalla caduta che faccio con volontà indebolita dalla noia, logorata dal tedio, sfiancata dalla routine. Rialzami perché io possa riconoscere nello scorrere dei giorni, apparentemente simili l’uno all’altro, il fragile e inestimabile tesoro di assaporare il tempo che mi è immeritatamente donato.

Vvvvvv. Sarà soltanto un messaggio. Vvvvvv. Vvvvvv. Vvvvvv. No: la tasca dei jeans continua a vibrare. È un collega, esco un attimo, provo ad aiutarlo da qui, anche se capisco che tra non molto dovrò necessariamente andare a lavoro. Nel frattempo ho perso una stazione, forse riesco a rimanere per un’altra.

Nona stazione – Gesù cade la terza volta

Rispondimi, Signore, benefica è la tua grazia; volgiti a me nella tua grande tenerezza. Non nascondere il volto al tuo servo. [Sal 69, 17-18]

Non ho mai ben capito perché nella Via Crucis ci siano tre cadute di Gesù. Innanzitutto, nessuno dei vangeli si sofferma su questo dettaglio. Poi, perché proprio tre? Altri particolari non sono ricordati, si sarebbe potuto lasciare loro spazio dedicando una sola stazione a una più generica caduta. E, se più d’una, perché proprio tre? Devo essere davvero distratto se sto pensando a queste minuzie. A riportarmi alla realtà è il mio vicino di casa, che noto soltanto ora, qualche sedia più in là. Quando voglio perdere un po’ di tempo, scorro sui social notizie, condivisioni, fotografie. Pur non commentando mai, ciò che scrive lui mi lascia sempre col fiato corto. Da poco più di un anno è vedovo: ha perso il compagno, ancora giovane, dopo una rapida malattia. Riproporre le loro foto insieme non mi sembra né melenso, né masochista. Io non conosco la natura del sentimento che li legava, unico e peculiare per ciascuna coppia. In quelle istantanee di vita quotidiana, però – mai in ospedale, tra flebo e mascherine, sempre con i loro cani, a volte col sorriso un po’ tirato – mi sembra di sperimentare io stesso un combattimento: da un lato un’arma affilata e tagliente, capace di aprire e riaprire ancora ferite profonde, mortali; dall’altro, un abbraccio tenero e forte insieme, che esprime nella concretezza ciò che nessuna parola può dire. In questi momenti arrivo a dubitare dell’esistenza di Dio, della vita eterna, e mi sembra tutto deciso – o non deciso – dal caso.

Gesù, volto ormai irriconoscibile dalla sofferenza mortale, salvami dalla caduta che è la disperazione. E quando dovesse accadere di rinnegare il tuo nome, il tuo amore, la fede in te, donami presto il conforto dello Spirito Santo, perché torni a respirare in me il tuo alito di vita che non conosce la morte.

È tardi, non posso più trattenermi. Senza far troppo rumore o disturbare gli altri, senza sbattere la porta, esco. Devo andare in ufficio, mi stanno già aspettando. E poi prima di tornare a casa ci sono tante altre cose da fare, prima del weekend. Esco di chiesa dicendomi che, tanto, so già come va a finire. Sì: perché a me basta questo Dio appeso a tre chiodi. Un Dio che rimane lì, per non restare lì. Un Dio in mezzo alle cose della mia vita. Un Dio del quale riesco a riconoscere il Volto, più vicino di quanto mi immagini nei volti di chi mi è accanto.

2 risposte a “Il Volto tra i volti”

  1. Anna Bortolan ha detto:

    Bell’articolo, il taglio narrativo fa guadagnare profondità al testo, assumendo un valore che va oltre la concretezza momentanea. Forse l’unico “peccato” di ingenuità è la motivazione delle lacrime della giovane suora. Può essersi innamorata, certo, ma può anche piangere per motivi più gravi ma la voce narrativa onnisciente non propone altre possibilità. Provi a scrivere altri testi narrativi, dottor Spina. Ne vale la pena.

  2. Giovanna Martinetti ha detto:

    Grazie Paolo! Ci conosciamo solo di vista, non abbiamo mai avuto l’occasione di approfondire un rapporto di maggiore conoscenza o amicizia.
    Grazie a questi “frammenti” mi sembra di poterti considerare un “fratello” che è alla ricerca di un significato più vero da dare alla propria fede radicata nella vita di sé e degli altri, di cui siamo involontari “custodi”.
    Grazie! Buon cammino verso la Pasqua che sta per esplodere.
    (Giovanna)

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