XXXI domenica del tempo ordinario: Mc 12,28b-34
IL PESO DELL’ALTRO (Jens Galschiot, 2002, Ringkoebing, Danimarca)
«Io non so parlar d’amore…», diceva una canzone. Benché l’amore sia più difficile da dire in figure, soprattutto se si ricorre sempre alle stesse. E anche la sua forma più recente, l’unione a cuore dei pollici e degli indici, non riesce a comunicare molto di più della parola love o delle faccine sorridenti degli emoticon.
È un problema antico. Ma duemila anni fa, anziché ripetere una parola-ombrello sotto la quale può stare di tutto, San Paolo – nella lettera ai Galati (6,2) – provava a spiegare l’amore con una metafora: «Portate i pesi gli uni degli altri». Un’immagine in qualche modo richiamata da questa statua, seppure al contrario: perché, delle parole di Paolo, non coglie né il significato né la reciprocità.
Nella scultura (il cui vero titolo è La sopravvivenza del più grasso) c’è un omino scheletrito a farsi carico di una donna gigantesca con gli occhi chiusi, che si intuisce essere una caricatura della giustizia (della quale mantiene il simbolo della bilancia). Per togliere ogni dubbio, un’iscrizione alla base recita: «Sono seduta sulla schiena di un uomo che è distrutto dalla sofferenza. Farei qualsiasi cosa per aiutarlo, tranne scendere dalle sue spalle».
Viene mostrata, dunque, non tanto la capacità di uno a reggere un peso enorme, quanto la capacità dell’altro a scaricarlo (oltre a esserne consapevole, con incredibile faccia tosta). La statua è la denuncia dello squilibrio nella distribuzione delle risorse mondiali, tanto più per il fatto che il portatore è chiaramente un giovane africano, mentre la donna portata in spalla non riesce a vedere l’ingiustizia.
Vengono in mente le invettive di Gesù verso scribi e farisei, quando «legano fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito» (Mt 23,4 e Lc 11,46). Viceversa, la voglia del Signore di renderci lieve l’esistenza traspare dalle parole «Il mio giogo è dolce e il mio peso leggero» (Mt 11,30), confermata da Giovanni quando scrive che «i suoi comandamenti non sono gravosi» (1Gv 5,3). È la stessa attenzione che avrà Paolo per i cristiani di Tessalonica: «Abbiamo lavorato duramente, notte e giorno, per non essere di peso ad alcuno di voi» (2Ts 3,8).