Il Dio delle emozioni complesse

Se andiamo a fondo con l'esegesi dei sentimenti di Gesù, la loro complessità ci rivelerà molto della complessità del "Nome" di Dio e delle nostre identità relazionali
30 Marzo 2023

Se accendiamo il faro delle emozioni e dei sentimenti per puntarlo sulla cosiddetta resurrezione di Lazzaro (Gv 11) – come ha ben fatto qui Stefano Fenaroli – dobbiamo anche aspettarci che di questo mondo degli affetti emergano sfumature e ambivalenze inattese, a tratti scandalose, ma non per questo insensate. Anzi, se la ragione si ricorda di illuminare il testo originale del vangelo, scritto in greco, il lavoro di scoperta o di estrazione dei sensi nascosti risulta più agile ma non meno affascinante.

Alcuni dettagli si impongono alla vista. Come ho già evidenziato qui, Gesù viene in un certo senso contestato per non aver impedito la morte di Lazzaro, sia da Marta e Maria (vv. 21.32), sia da coloro che erano andati a confortare le due sorelle del defunto (v. 19.31): «costui che ha aperto gli occhi al cieco non poteva anche fare sì che questi non morisse?» (v. 37 – la frase non è identica alla lettera dei vv. 21.32, ma è analoga nella sostanza). Se dunque coloro che restano bloccati ed imprigionati nelle logiche confortanti ma mortifere del mondo (vv. 19.30-31.39.44) sembrano volere evitare ad ogni costo la morte, ecco che potrebbe svelarsi il misterioso motivo per cui Gesù – refrattario ad ogni sua raffigurazione come taumaturgo o mago – lascia che l’altrettanto misteriosa malattia di Lazzaro abbia il suo corso letale (vv. 6.17) e lo fa addirittura rallegrandosene, gioendone, godendone per i suoi discepoli (χαίρω/gaudeo – v. 15): una sorta di (scandalosa?) pedagogia dell’accettazione della morte biologica (bìos) e del superamento della paura di questo morire che aveva (e in futuro avrebbe) preso anche i suoi discepoli più vicini (vv. 7-13.16).

D’altra parte, quando questa morte avviene, per chi è del mondo – come qui appaiono Maria e i suoi amici (vv. 31.33) – non resta che piangere in modo rumoroso (klàio), incontenibile, quasi disperato per la fine di tutto; del pianto di Marta, invece, non si dice nulla, anzi si evidenzia il fatto che la sua credenza in una possibile futura resurrezione del fratello (vv. 22.24) sfocia in una straordinaria confessione messianica-cristologica (v. 27). Interessante, a tal proposito, è il collegamento operato dal vangelo di Giovanni tra questo tipo di pianto e coloro che leggono il loro e altrui rapporto con Lazzaro sotto il segno del “solo” volersi bene (philèo – vv. 3.11.36; analogamente a quanto avviene in Gv 21 con l’alternarsi di philèo, usato tre volte da Pietro, e agapào, usato due volte da Gesù). Come se il pur nobile volere bene al prossimo non sia sufficiente per preservarci, nel momento della sua scomparsa, dalla malattia mortale della disperazione. Come se, per continuare a sperare oltre questo venir meno del prossimo, sia necessario addirittura amarlo: «forte come la morte è l’amore» (l’agàpe – Ct 8,6), professa non a caso il Cantico dei Cantici.

Di Gesù, infatti, che è semplicemente nel mondo ma non del mondo, si sottolinea invece che “soprattutto” ama Lazzaro e le sorelle (agapào – v. 5), ma anche che risponde in modo complesso di fronte ad una reazione disperata e in fondo sottomessa alla morte. Da un lato – quello compartecipante, compassionevole – con un lacrimare silenzioso (dakrùo – v. 35), contenuto, ma perciò realmente e veramente speranzoso in un al di là della morte; dall’altro lato – quello più giudicante, ma salvifico – manifestando verso il pianto e le contestazioni di Maria e dei suoi amici (ma non di Marta) turbamento (taràsso) e, innanzitutto, ‘disapprovazione’ (embrimáomai, così tradotto altrove nel vangelo, salvo nel nostro caso dove stranamente diventa ‘commozione profonda’ – vv. 33.38 quasi in risposta ai vv. 32.37): una sorta anche qui di (scandalosa?) pedagogia, volta a rendere credibile la possibilità di una vita non più solo biologica ma vivente (zoé), non più astenica (tale è la sintomatologia di Lazzaro – vv. 1.3-4.6) ma finalmente risorta (anàstasis), nella quale non i pianti ma, appunto, le lacrime verranno asciugate (Ap 7,17; 21,4). Una vita, in definitiva, che si può rischiare di perdere solo per qualcuno a cui non si vuole soltanto bene, ma che si ama totalmente.

In questo senso, per riprendere il filo della nostra Quaresima con Caparezza, il Michele Salvemini “critico della religiosità” – che qui canta come vi sia «un campo minato tra me e Santiago» – ancora una volta può incontrare e compiere un tratto di strada insieme al Gesù altrettanto “critico della religiosità” (dei funerali ‘strappalacrime’ e dei sepolcri ‘monumentali’) costruita sopra la (paura della) morte. Chissà se Papa Francesco intendesse qualcosa del genere, quando ha affermato che lo Spirito – «il protagonista dell’annuncio», «il motore dell’evangelizzazione» – «insegna una cosa, valida anche oggi: ogni tradizione religiosa è utile se agevola l’incontro con Gesù» (Udienza generale, 22 febbraio 2023). Anche la Scrittura, come frutto della primissima tradizione, deve essere servita da fari esegetici sufficientemente complessi perché da essa emerga lo Spirito del messaggio di Gesù su Dio nella sua interezza e, quindi, nella sua capacità di avvicinare tutti – critici, eretici, atei e agnostici compresi.

 

2 risposte a “Il Dio delle emozioni complesse”

  1. Pietro Buttiglione ha detto:

    Non vorrei apparire come interventista ma diatarz, come si dice in Puglia, ieri l’altro, esponevo al mio rif.to. Religioso una riflessione che intravedo in Sergio.
    Il tema è la comunicazione con i ns defunti.
    Tema importante alla mia etã.
    Ma anche con Gesú, il Risorto.
    Dopo averci provato in varie strade… la conclusione cui sono arrivato è che esiste un solo unico modo.
    Quello di vivere l’Amore che ci ha legato in vita, lo stesso Amore.
    Che, a pensarci bene, é davvero l,’unica STESSA cosa che ci ha accomunato in vita.. e qualunque ‘altro’ non sarebbe terreno COMUNE di incontro/relazione.
    Se amiamo davvero il nostro Gesú capiremo/sentiremo come e quanto Lui ama noi.
    Perchè ê lo stesso Amore.
    PS. notavo, sempre diatarz, quante donne su VN.
    Bello e significante!

  2. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Quando una persona cara muore, è normale qualsiasi esternazione di dolore, ti manca la sua presenza, ti manca per il bene profondo che le volevi, di più, si scopre quanto avresti fatto è potuto fare di meglio un desiderio perché di lei si rimarca tutte le sue doti migliori e quindi il dolore è vero e profondo. Gesù, dunque, avrà provato questo dolore umano, e la grande cosa che lo spinge a rivolgersi al Padre per far risuscitare l’amico c’è lo fa sentire anche oggi a noi, Lui non era ancora il Risorto, ma a noi oggi, non appare come a Maria e Marta “l’uomo dei miracoli”, ma la speranza, la fiducia e consolazione che proprio la Sua Risurrezione ci da prova che la vita continua, non vince la morte, e con questa fede è consolante sapere che le persone care sono vive come lo è Lui, per merito suo, noi possiamo crederlo. La vita Sua come la nostra sono dunque e dono prezioso del Padre e gli rendiamo grazie

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