Il dio della carneficina

Perché subito dopo il Natale la liturgia cattolica ricorda il martirio di Stefano e l'eccidio dei bimbi innocenti?
27 Dicembre 2019

Prima santo Stefano. Poi i santi innocenti. Non si fa a tempo a godere dell’incanto donatoci dal bambinello che la liturgia cattolica ci mette di fronte a ciò che a prima vista sembra caratterizzare quella che Elsa Morante definì la Storia: una sequenza ininterrotta di massacri. Una carneficina tale da mettere a dura prova la fede dei dotti e dei semplici, soprattutto quando – e in quanto – venga determinata da cause interne alla comunità.

Fratelli che s’innalzano contro altri fratelli. Ma non tra di loro uguali o gemelli, come nelle violenze apparentemente equilibrate narrate dai miti pagani. Bensì – come nelle evidenti asimmetrie dei racconti biblici – capi politici e superiori religiosi da un lato, e vittime inermi, grandi o piccole che siano, dall’altro lato. Approfittando i primi di un potere politico che dapprima si mostra interessato ai propri sudditi (Mt 2,4.7-8), per poi autogiustificarsi con ideologie figlie della paura di perdere tale potere (Mt 2,1-3). Approfittando i secondi di un potere religioso che se concede a qualcuno di discutere con esso è perché è certo di convincerlo (At 7,1), ma appena fallisce tale obiettivo bruscamente smette di ascoltarlo e letteralmente de-cide: taglia – con le parole di Girard – la testa al toro, o meglio agli agnelli da sacrificare (At 7,57-58).

Cittadini innocenti (Mt 2,5-6.16-18) e al “servizio” della Chiesa come necessari sostituti dei Pastori, quasi sempre provvisti di “buona reputazione” per la loro “sapienza ispirata” e la loro “grazia” unita a “fortezza” (At 6,1-6.10). Doti mediante le quali hanno spesso compiuto in mezzo alla parte di popolo loro affidata veri e propri “miracoli”: perché oggi avvicinare o mantenere prossimo al credo e all’etica di una religione chi è oltre la frontiera è quasi un “prodigio” (At 6,8) – soprattutto se i rappresentanti dell’élite intellettuale laica continuano a commettere (e a difendere) errori di cultura religiosa da matita blu.

Eppure, sorprende sempre quanto basti poco per stravolgere e travolgere un’esperienza consolidata. Come sono necessari decenni, se non secoli, per far crescere una foresta, mentre è sufficiente un incendio di qualche giorno per distruggerla del tutto; così poche e semplici accuse provenienti da parte di “alcuni falsi testimoni” – e mosse sempre verso l’origine e la qualità delle conoscenze trasmesse dalle future vittime – riescono a “sollevare” verso il male coloro che contano e comandano (At 6,9.11-14). Sì, il male è sempre ordinariobanale, scrisse la Arendt. Certo, esso è dotato di un pensiero calcolante, lucido, freddo – come, non a caso, si presenta il fondo dell’Inferno dantesco; ma poi si concorre al male in modo spesso alquanto ordinario.

Straordinario, viceversa, sembra essere – almeno all’inizio – il modo attraverso cui si concorre al bene che non sacrifica nessuno (Gv 17,12; 10,28; 6,39). Altrettanto lungo e complesso il ragionamento che smonta le semplificazioni diaboliche del Male che sacrifica qualcuno per il bene di tutti (Gv 11,49-50; 18,14). Esso richiede, infatti, una grande padronanza diacronica (At 7,2-48) ed una certa audacia (e creatività) sincronica (At 7,49-53.55-56).

Si tenga però presente che a questa offerta di un bene straordinario, a questa proposta di decostruzione diacronico-sincronica, si risponderà dapprima con un silenzio adirato (At 7,54) e successivamente mettendo al bando, in pubblico, le vittime da scartare (At 7,57-58), costringendole infine a “disperdersi” nei luoghi più disparati (At 8,1).

Cosa si potrà fare, dunque, prima di “inginocchiarsi” a “perdonare” coloro che stanno operando questo sacrificio (At 7,59-60), per poi “seppellire” le vittime sacrificate (At 8,2)?

Quantomeno, soprattutto se “il pastore” o “il guardiano” del “recinto” si rivela essere un “mercenario” (Gv 10,1-13) o un “lupo rapace” travestitosi da esso (Mt 7,15; At 20,29) – perché non solo non guida né segue il ‘fiuto’ del gregge, ma anzi, come cantano i Pink Floyd, lo manda al macello – sarà sempre possibile, anzi doveroso, belare ad alta voce sino alla fine: salmodiare Dio perché liberi infine le pecore in pericolo dalle mani già sanguinanti dei loro sacrificatori (Sal 30; 123).

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

I commenti devono essere compresi tra i 60 e i 1000 caratteri. I commenti sono sottoposti a moderazione da parte della redazione che si riserva la facoltà di non pubblicare o rimuovere commenti che utilizzano un linguaggio offensivo, denigratorio o che sono assimilabili a SPAM.

Ho letto la privacy policy e accetto il trattamento dei miei dati personali (GDPR n. 679/2016)