Fuori dai confini di Israele (“oltre il Giordano” v. 1), Gesù viene fatto oggetto di una “verifica”, viene messo alla prova dai Farisei. In Mc il verbo “provare-tentare” viene usato, rispetto alle persone, solo e sempre in riferimento ad azioni compiute dai farisei, gli strenui difensioni della loro interpretazione della legge mosaica. Essi pensavano che con una stretta osservanza della Torah e del Talmud si potesse vivere una vita santa e gradita a Dio. Ma in realtà Mc li vede, invece, come strumenti di Satana, primo e radicale oppositore di Gesù (v. Mc 1,13), l’unica altra volta in cui il verbo “provare-tentare” è presente nel suo vangelo.
Già da Mc 3,6 i Farisei avevano preso la decisine di far morire Gesù, perché più volte mostrava di scostarsi dalla legge mosaica. Ma nel testo di oggi c’è qualcosa di più, se ascoltiamo il testo greco nella sua scelta particolare dei termini utilizzati.
La “prova” a cui Gesù viene sottoposto verte sulla possibilità o meno di divorziare. A partire da Dt 24,1, tutta la tradizione ebraica aveva sempre riconosciuto possibile il divorzio. E i Farisei non erano da meno. Perciò chiedono a Gesù se rimandare la moglie è “secondo l’essere” (permesso v. 3). Il testo greco, perciò fa supporre che loro siano interessati a verificare se per Gesù la legge mosaica traduca adeguatamente le cose come sono nella realtà (secondo l’essere), quindi abbia valore di verità o no.
Diventa, allora, interessante come Gesù formula la sua risposta. Spinge i Farisei a dichiarare apertamente quale sia la legge a cui si attengono. E loro dicono: “Mosè permise di scrivere un atto di separazione” (v. 4). Ma qui il verbo “permettere” è una parola diversa dal v. 3, e indica da parte di Mosè, “un lasciar fare, girando sopra la questione”. E la parola “separazione” traduce l’idea di “allontanarsi da ciò che è stabilito”. Nella risposta dei Farisei, quindi, c’è già la percezione che la regola di Mosè sia un compromesso e non la traduzione delle cose come sono (secondo l’essere).
Questo mostra, in atto, ciò che Gesù esplicita a loro appena dopo: “Per la durezza del vostro cuore…”. Cioè, la risposta stessa dei Farisei mostra il loro cuore indurito, la non ammissione che le cose, secondo l’essere, non stanno come Mosè ha permesso. La durezza del cuore indica, la fissità, la rigidità dell’intenzione che anima i Farisei, anche quando hanno vaga consapevolezza del loro errore. Non si tratta, quindi, tanto di essere insensibili e non emotivi. Il cuore, nella bibbia, indica il centro decisionale dell’uomo in cui tutte le sue facoltà, ragione, emozione ed istinto, convergono e danno origine all’intenzione, che, alla fine è ciò che qualifica le azioni umane e l’uomo stesso. Cuore duro, perciò indica chi non vuole muovere la propria intenzione anche quando qualcosa ci segnala che è rigida e inapplicabile senza far danni.
Ma il passo in più di oggi, sull’approccio alla legge è che, questa risposta di Gesù ci dice che il cuore di Dio, invece, non è duro. Dio permette a Mosè che permetta agli israeliti di divorziare. La fissità, nell’intenzione di Dio, lascia il posto alla disponibilità di adattarsi ai tempi e alle condizioni dell’uomo. L’amore, non è mai rigido e ammette che rispetto alla pienezza delle cose secondo l’essere, ci possano essere situazioni intermedie che, anche se non perfette, contengono comunque un bene.
E questo ci dà una chiave per approcciarci al resto della risposta di Gesù: “Però, dal principio della creazione (…) l’uomo si unirà a sua moglie e saranno una carne sola. (…) L’uomo, dunque, non separi ciò che Dio congiunse”. Tradotto, seguendo l’etimo delle parole greche: ciò che proviene dal fondamento, dall’inizio, delle cose stabilite (l’essere), è che l’uomo tenderà a cementarsi, proverà a realizzare una unità radicale, con sua moglie, fino a poter essere con lei un solo essere vivente concreto. L’uomo dunque non metta spazio in ciò che Dio ha accoppiato assieme, come i buoi che arano.
Questa unità, così radicale, non è, perciò, un dato di partenza, ma di arrivo. Il “si unirà” e il “saranno” sono verbi al futuro. In partenza c’è la tendenza che Dio ha messo nelle cose: “essere accoppiati”, che è una condizione esistenziale, non l’obiettivo già realizzato, e segnala un inizio in cui quell’unità così radicale, tanto da diventare una carne sola, non c’è ancora. Dio mette l’uomo nella condizione di sentirsi legato, “accoppiato”, non nella condizione di essere già unito saldamente alla donna. L’obiettivo (diventare un solo essere concreto) è lasciato in mano alla libertà umana, dei due della coppia, ai loro tempi e ai loro limiti, soprattutto alla possibilità che loro mantengano un cuore non “rigido”, ad immagine e somiglianza di Dio.
Perciò non è fedele all’intenzione profonda della risposta di Gesù, trasformare la sua riproposta di tornare al “principio della creazione”, superando Mosè, in un comandamento altrettanto rigido quanto quello farisaico. Qui di “comandamento” si parla solo a proposito di Mosè (v. 5). Il senso di questa citazione di Genesi, da parte di Gesù, sta proprio nel promuovere, invece, una condizione di amore sessuale in cui il cuore dei due sia docile allo Spirito Santo e non rigido, permettendo loro di camminare verso quell’obiettivo che Dio ha messo in potenza nella loro creazione e che si realizzerà pienamente solo nel Regno di Dio.
Certo che questo non significa giustificare tutto, come del resto Gesù fa, una volta in casa, con i suoi discepoli, chiarendo che la rottura del legame matrimoniale espone all’adulterio possibile sia l’uomo che la donna. Ma “adulterare” ha che fare con l’idea di inquinare, avvelenare, qualcosa di buono, non di rottura di una unità che ancora, non è piena come lo potrà essere nel regno di Dio. Qui Gesù sta mostrando il valore finale e completo del rapporto di amore sessuale. Tanto che in Mt 19, 10 i discepoli comprendono perfettamente questo e dichiarano che se le cose stanno così è “meglio non sposarsi”. La pienezza richiesta dal matrimonio è davvero così alta che l’uomo da solo non riesce ad arrivarci, ma resta un pienezza libera, non obbligatoria, a cui tendere, non già data.
Questa linea di interpretazione ci permette anche di comprendere bene la chiusa del brano, che sembra non collegarsi al resto. I discepoli vorrebbero evitare che alcuni “bambini” possano toccare Gesù. Ma Lui lo vieta e li accoglie. Qui si parla di bambini non piccolissimi, che nella società ebraica sono gli ultimi, non hanno valore, se non per il fatto che possono servire gli adulti.
Quindi non vengono tirati in ballo per mostrare in Gesù la dolcezza emotiva che i bambini possono suscitare negli adulti. Vengono tirati in ballo, invece, per indicare che essi non hanno il cuore duro, rigido. Quando non si conta nulla, quando non si ha nulla da perdere, e si può solo servire, il cuore non si irrigidisce, perché non si riconoscono obiettivi da perseguire, regole da rispettare, status etici da conseguire. L’unica cosa che resta potentemente attiva nel “bambino-garzone-ultimo” è la tendenza a voler vivere e amare. Perciò tutto ciò che sa di quella vita muove il loro cuore, permettendo loro di essere parte del Regno.
La rigidità del cuore dei Farisei è opposta, così, alla docilità del cuore di questi “bambini”. Accogliere in questo modo il vangelo del matrimonio, consente di vivere la tendenza all’unità profonda tra uomo e donna, senza irrigidirsi in condizioni e situazioni relazionali che, alla fine distruggono i due e non creano unità. Pastoralmente questo significa essere molto più attenti a far crescere l’amore in una coppia che si vuole sposare, piuttosto che solamente il rispetto delle regole fissate. E richiedere loro di mettere attenzione, fin da prima di sposarsi, su quanto il loro cuore sia rigido o docile all’amore, perché è lì che lo Spirito Santo può avere spazio o no.
Resto convinto che le fratture matrimoniali siano sempre l’esito di relazioni in cui il cuore degli amanti è troppo rigido e non accetta che Dio possa scrivere, gradualmente, nella loro vita il suo amore. Ma Dio, davanti a questo non si irrigidisce, usa pazienza, stimola, mostra il bello possibile, fa sentire gli effetti negativi della durezza del cuore, ma “non scioglie il legame” con l’uomo, non “rimanda” mai nessuno. Tocca a noi allora restare attratti dalla bellezza di un amore sessuale pieno, accettando la fatica di camminarci dentro con i propri tempi, limiti e situazioni intermedie, nella certezza che Dio non divorzia mai da noi.
Il cuore duro è imprigionato nella volontà di essere e nel pregiudizio e non può essere liberato che dall’essere figli di Dio e dalla volontà di fare che salvano dal pregiudizio
(in ebraico la parola Emet ha il significato di verità ma anche di fare).
Il paragone con i bambini, per i quali l’immaginazione e l’essere figli sovrastano la volontà, chiarisce come la liberazione possa venire dall’imitarli in questo più che da un permesso che liberi forzatamente dal pregiudizio.
L’unione tra uomo e donna rappresenta il passaggio all’età adulta e viene da una volontà di fare che lo sovrasta ma che può essere a sua volta sovrastata dalla volontà di essere e subire lo scandalo del pregiudizio.
Basta sfogliare qualche pagina della Bibbia per restare mortificati a pensare Dio di essere duro di cuore, la tenerezza nei confronti del suo popolo! Certo si manifesta anche giusto rimproverandolo nel lasciarlo in mano a se stesso quando l’uomo si allontana dai suoi insegnamenti. L’unione uomo donna nel disegno divino ha per fine dare vita a un amore capace di tolleranza, di perdonarsi,dare vita a sentimenti come rispetto, considerazione della persona altra, impegno a costruire sempre di nuovo, come il custodire la prole, ma anche nel consentire l’evoluzione delle reciproche personalità. Le difficoltà da superare non sono poche, ma anche l’aiuto divino interviene in questo proposito, un amare capace di dono di se. Se il cuore tace prevale una durezza che rende impossibile la vita in comune, perciò meglio il separare. Ma Dio fa cose nuove anche a quel l’amore che rimane fedele al suo principio