I talenti: prendiamoli come un gioco

«A chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha»
19 Novembre 2017

XXXIII domenica del tempo ordinario: Mt 25,14-30

PARABOLA DEI TALENTI (Giulia Sagramola, 2009, in Quante tentazioni in un talento nascosto…, ed. Fondazione Talenti)

 

Quando l’illustrazione non si limita a travasare un testo, pari pari, nel linguaggio delle figure, ma lo arricchisce di una nuova interpretazione, dà una mano a comprenderlo meglio: è ciò che avviene con questo disegno, dove i talenti sono immaginati come palloni.

Il vantaggio è di uscire da una logica di lavoro o di investimento economico, per immettere in una dimensione di gioco. Facendo cogliere un aspetto non sempre associato al vedersi assegnare un compito: cioè che chi vi si appassiona e lo vive in modo leggero, come un dono ricevuto, riesce pure a divertirsi.  Non che impegno e fatica vengano azzerati, ma passano in secondo piano di fronte alla bellezza del gioco.

Ciononostante, c’è chi non ha mai voglia di giocare: l’equivalente di chi, nella parabola, fa la stupidaggine di seppellire il talento. Se il disegno riproducesse l’azione del sotterramento, lascerebbe pensare che l’uomo non voglia vedere il talento per non sentirne la responsabilità. O per non condividerlo, come fa la maggior parte delle persone quando ha un tesoro. Quel pallone stretto al petto dice qualcosa in più: insinua l’idea che al giocatore non va di rischiarlo, passandolo a qualcuno; che non lo vuole condividere.

Ma chi non si fida di sé né degli altri, non arriverà mai in porta. E non si vergogna di ammettere d’aver paura, nell’accusa di durezza rivolta a chi gli ha dato il talento: paura di lui, di non mostrarsi all’altezza, di qualcuno che gli porti via la palla…

Oggi, per il suo disimpegno, troverebbe mille giustificazioni (e qualcuno a fornirgliene altre). Direbbe di non amare lo sport, e in particolare quelli con la palla; direbbe che aveva intenzione di conservarla, per non consumarla; direbbe di voler protestare per aver ricevuto meno degli altri, senza pensare che il suo unico pallone potrebbe essere il migliore.

Ma il pallone che non viene messo in gioco… alla fine si sgonfia. Il bello della metafora è che lo sport porta con sé l’idea della velocità. Che nella parabola è un valore, se si sottolinea come «subito, colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli…». Costui ha capito di avere una grande opportunità: in un tempo e in un luogo limitati, gli è data la possibilità di fare qualcosa di bello. Per questo non perde tempo e si attiva. Già: ci sono cose che si fanno adesso (era il titolo della celebre rivista di Don Primo Mazzolari) o mai più. Anche se il suo signore, dice la parabola, giunge «dopo molto tempo», quindi non è poi così fiscale…

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