I benpensanti di Nazareth

Accettare il cambiamento inatteso come parte della "fisiologia cristiana" e, connesso a questo, accettare la provocazione della profezia e poi, magari, farsi profeti.
4 Luglio 2021

Basta un po’ di attenzione per individuare nell’ormai solito “Chi è costui?” il filo rosso che tiene insieme i brani di Marco che stiamo leggendo in queste settimane. Cambia il contesto, cambiano gli episodi annessi, il tema rimane.

Questa volta siamo (tornati) a Nazareth. La domanda è implicita nelle domande dei compaesani, quelle domande sui conti che non tornano «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?»

Cercare di “inquadrare” le persone è una cosa che facciamo tutti nella vita. Il nostro “farsi un’opinione” in qualche modo coincide con la costruzione di un telaio/copione entro il quale le persone si muoveranno (precisamente: prevediamo che si muovano); la sintesi del telaio/copione può essere un’etichetta. Se la memoria non mi inganna, da qualche parte ho letto che la principale ragione per cui Gesù è stato “tolto di mezzo” è stata l’impossibilità di farlo rientrare in un telaio/copione, di farlo rientrare in un’etichetta. Non so se come affermazione sia corretta, rimane evidente la scomodità chi non rientra negli schemi.

Tuttavia l’atteggiamento degli abitanti di Nazareth è, se vogliamo, ancora più fastidioso. Il telaio in cui si vuole inquadrare la figura di Gesù non deriva dalla sua persona, dalle sue parole, dalle sue scelte di vita, dalle sue azioni. I compaesani sono scandalizzati dal disallineamento di Gesù rispetto alle sue origini. Nell’opinione dei suoi compaesani, Gesù avrebbe dovuto rimanere per sempre il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo…. Invece no: Gesù sta avendo successo come maestro predicatore itinerante, parla con autorità e dice “cose originali”; si racconta che compia pure miracoli. Questo no, i suoi ex compagni di giochi e di sinagoga non riescono ad accettarlo.

Si è detto che l’atteggiamento dei compaesani è fastidioso, ma sicuramente non è infrequente: affibbiare alle persone un ruolo in commedia in base a come le conosciamo è quello che possiamo chiamare pregiudizio. Il pregiudizio è più odioso se addirittura guarda non alle responsabilità personali attuali, ma al ricordo cristallizzato nel passato, alla famiglia di origine, alla provenienza. Disponiamo, a proposito della famiglia (o della provenienza), anche di un proverbio: la mela non cade mai lontano dall’albero. Il proverbio è formulato in modalità neutra, dunque è leggibile, di volta in volta, come lode o critica.

Qui non c’è una mela che è caduta lontana dall’albero, qui c’è un albero di mele che ha prodotto una nuova “variante”, qui c’è un salto evolutivo nella catena della riproduzione. Può succedere. Anzi direi che sotto certi aspetti è inevitabile che succeda, fa parte della “fisiologia cristiana”. Cosa è il battezzato se colui che (ogni giorno, dopo ogni caduta) rinasce (viene rialzato) come “nuova creatura”?

Comprendiamo, allora, la conclusione di Gesù «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». Il profeta, colui che parla a nome di Dio, è esattamente colui che è uscito dal solco, perché è la logica di Dio ad essere fuori dagli schemi. Figuriamoci, dunque, se un profeta può essere accettato volentieri da chi lo ha conosciuto prima della vocazione profetica; la fissità del pregiudizio avrà la meglio.

Questo, dunque, il punto: fare uno sforzo per uscire dagli schemi di comodo preconfezionati e tranquillizzanti; schemi da benpensanti potremmo dire. Accettare che le persone, o le situazioni, possano fiorire (ahimè, anche sfiorire) in modo per noi inatteso.

L’episodio che leggiamo oggi è riportato nei tre sinottici: Marco e Matteo hanno versioni piuttosto simili. La narrazione è significativamente diversa in Luca, dove ritroviamo la frase divenuta proverbiale “In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria.” Quanto è facile sentirsi tutti soloni, tutti profeti. Profeti spesso inconcludenti. E per l’inettitudine abbiamo pronta la scusante di essere incompresi dai più vicini; proprio come dice il Vangelo. Ma, diciamocelo onestamente, siamo profeti di piccolo cabotaggio.

Quando si prende coscienza di questo, due sono le possibili strade: una è quella dell’afasia e del disimpegno; l’altra è quella dell’ascolto e della ricerca delle voci profetiche che anche oggi risuonano. Forse, con questa abbondanza di opinioni espresse (pure quella di chi scrive), si fa fatica a distinguere con chiarezza quelle autenticamente profetiche.

Qualcuno potrà replicare “meno male”. Il profeta è, per definizione, schierato; e urla con tutti i mezzi che ha a disposizione, per costringere anche te a prendere posizione. Ma come la mettiamo se ci trovassimo noi ad essere oggetto dell’indice puntato del profeta? E come la mettiamo se le voci dei profeti non dovessero risultare consonanti?

Dunque, per quieto vivere, oggi come a Nazareth: alla domanda “profeti?” si risponde “ma anche no“; ci sta bene lo sfumato. Lo sfumato di chi preferisce parlare, anziché ascoltare e farsi mettere in discussione. Che sia questa una declinazione del cuore indurito di cui parla Ezechiele?

PS A proposito di pregiudizio. Non sarà che questa possibilità riguarda anche noi che siamo nati in un paese di tradizione cristiana? Anche noi abbiamo conosciuto Gesù, anche noi siamo esposti al rischio di rapportarci a lui con il pregiudizio, per il ricordo del catechismo per bambini e ragazzi, per le esperienze giovanili, per il tal prete che ci ha deluso, per il sentito dire, …

 

 

2 risposte a “I benpensanti di Nazareth”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Bisogna ammettere che dalle letture della Bibbia emerge chiara l’idea di quanto Dio nei millenni trascorsi abbia e insista a salvare l’uomo, in ultimo sacrificando il suo Figlio unigenito a quella ignominiosa morte, una ignominia dell’uomo che arriva uccidere ciò che si frappone alla sue mire. E noi oggi boicottando la Chiesa, misconoscendo le Verità evangeliche, ritenendole insidie alle nuove evolute esigenze della persona umana, che mirano a godere di maggiore libertà di espressione, sembra ipocrisia ancora appendere il Crocifisso in qualche ambito storico, o scolastico, tanto poco di Lui ce ne cura, e non disturba! Si oggi nessuno alza la voce contro, non si gettano pietre, perché in libertà tutto ha una ragione la si cerca e se c’è mancanza, una giustizia con punizione in denaro o da scontare in carcere. Tanto basta. Così, una legge può anche sembrare strumento di interessi, per quanto è contesa la sua approvazione.

  2. Paola Buscicchio ha detto:

    Per la durezza dei cuori parlarono i profeti dei tempi antichi per convertire il popolo e ricondurlo a Dio.
    Il cuore che è l’organo dell’ascolto può perdere allora la sensibilità e non farsi permeante alle attese di Dio.
    Dio allora manda allora uomini e donne unti con lo spirito della profezia a ricordare al popolo di non seguire vie alternative.
    Le mie vie non sono le vostre vie troviamo scritto.
    Chi dovrà dunque ricondurre i dispersi d’Israele è il profeta eletto, il Figlio di Dio.
    Non sarà ascoltato e messo a morte.
    La croce non dichiara finita l’epoca della profezia anzi inaugura tempi nuovi..

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