Gesù, il pastore a cui nessuno può strappare le pecore

"Le pecore ascoltano la mia voce e io le conosco". Si basa su questo reciproco legame una fede che può rassicurare e consolare
8 Maggio 2022

Il brano del Vangelo che la IV Domenica di Pasqua ci propone è brevissimo (Gv 10,27-30), ma è come un rosario: ogni grano – ogni espressione – pur strettamente collegato agli altri, chiede di fermarsi a pensare. A partire dal fatto che Gesù, il maestro, si propone usando l’immagine del pastore, una categoria che all’epoca non godeva certo di buona fama, ma che resta tra le più amate in ogni epoca.

LE PECORE ASCOLTANO LA MIA VOCE. Tutto comincia da qui: dall’ascolto. Ma è interessante il fatto che Gesù non dice “ascoltano la mia parola”, bensì “ascoltano la mia voce”. Il suono della voce è sufficiente a comunicare che c’è qualcuno là fuori. Ed è una voce amica, che ci dice che non siamo soli: c’è qualcuno che chiama e che parla e forse anche, come tutti i pastori, ordina, e se lo ascolteremo comprenderemo il significato delle sue parole, ma intanto comunque c’è. Siamo come i bambini, che già nel ventre della mamma ne riconoscono la voce, anche se non conoscono il significato delle parole.

IO LE CONOSCO. Il pastore conosce le sue pecore: significa che anche lui le ha ascoltate, distingue la loro voce, sa riconoscerle. Che cosa avranno mai da dire, delle pecore, che valga la pena stare ad ascoltarle? Viene in mente l’episodio del libro dei Numeri (cap. 22) che racconta dell’asina che si rifiuta di obbedire al mago Balaam, perché le è apparso un angelo con la spada sguainata e le ha fatto capire che ciò che il mago vuole fare è male. E poi l’asina discute con il mago e gli apre gli occhi. «Anche un’asina può diventare la voce di Dio», ha commentato Papa Francesco, «aprirci gli occhi e convertire le nostre direzioni sbagliate. Se lo può fare un’asina, quanto più un battezzato, una battezzata, un prete, un Vescovo, un Papa» (Discorso ai fedeli della diocesi di Roma, 18 settembre 2021). Il pastore conosce le sue pecore, perché anche le pecore hanno un valore e hanno qualche cosa da dire.

ED ESSE MI SEGUONO. L’ascolto e la conoscenza reciproca hanno creato un clima di fiducia: lì, al seguito del pastore c’è la vita buona. E sicura anche. E quindi, anche se sei una pecora fifona e incerta, scegli di condividere il cammino del pastore ed esci con lui dal recinto. E non importa se lui quel giorno camminerà davanti (per indicare la strada), in mezzo (per incoraggiare), o   dietro (per non lasciare indietro nessuno). Ciò che conta è che lui c’è e che puoi percorrere la sua stessa strada.

IO DÒ LORO LA VITA ETERNA. Ma quella voce così amichevole, che ci ha convinto a seguirla, è la voce di un seduttore, di un influencer qualunque o è la voce di un Maestro? Che cosa ci sarà in fondo alla strada: una breve fuga dai problemi quotidiani o la vita? Il pastore non è un influencer: a chi lo segue dà la vita vera. Ed è da notare che Giovanni usa il verbo al presente: il suo dono è adesso, non alla fine dei tempi.

IL PADRE ME LE HA DATE. Gesù prima ha detto “le mie pecore”, ora sottolinea che il Padre le ha date a lui. C’è un’idea forte di appartenenza che risulta ancora una volta rassicurante: siamo suoi, di nessun altro. Lui ci dà la vita, lui c’è, lui ci proteggerà, come dice il passo successivo.

NESSUNO LE STRAPPERÀ DALLA MIA MANO. L’immagine bucolica del pastorello con le pecorelle in mezzo ai prati svanisce e lascia spazio alla consapevolezza che non c’è strada senza pericoli, senza insidie. Giovanni ce lo dice indirettamente, nel momento stesso in cui ci rassicura che la mano di Gesù è forte. Le pecore stiano tranquille: anche quando scende la notte, anche quando arrivano i ladroni, anche quando un precipizio taglia la strada, lui c’è e la sua mano è sempre tesa verso di noi.

IL PADRE MIO È PIÙ GRANDE, SIAMO UNA COSA SOLA. E d’altra parte, come potrebbe qualcuno o qualcosa riuscire a strappare le pecore dalla mano del pastore, se quel pastore è una cosa sola con Dio Padre e la sua mano è quella del Padre? Gesù è il Messia perché è il figlio di Dio: alla fine tutto converge qui. È da questo rapporto tra Dio e il Padre che discende tutto il resto.

Questo brano del Vangelo è rassicurante, consolatorio. Non dobbiamo vergognarci a dire che la fede consola: anche se la ragione fa fatica ad ammetterlo, non dobbiamo vergognarci ad ammettere che ne abbiamo bisogno.

11 risposte a “Gesù, il pastore a cui nessuno può strappare le pecore”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Ma se Gesù parla delle sue pecore, c’è da domandarsi perché sono sue e nessuno gliele strappera:. Dunque si torna all’uomo il quale ha scelto Cristo suo pastore, e non altri dei. Nelle sacre scritture A.T Dio insegna, invita, ordina stabilendo leggi che se osservate sono il bene per l’uomo. E’ l’uomo sempre promette ma non mantiene, si svincola da quel Dio che gli è superiore, vuole fare da se, seguire il suo volere, un istinto che tende molto alla terra da cui è stato tratto. Ha una intelligenza che supera ogni altro essere vivente, ma soltanto seguendo Dio diventa santo, creatura eterna. Oggi, che ha conquistato il mondo, in potere e denaro, di ogni sua invenzione, creazione si è fatto idolo, dio di se stesso ma dove Dio è assente tutto quanto è caduco : si crea la vita e la si distrugge, là si fa carne da macello, isognevoli di cose ad esse dipendenti ; una idea di se stessi esaltante ma idoli distruttivi orbi e ignoranti quelle verità dove artefice c’è l’amore

  2. Luigi Autiero ha detto:

    Potete moderare ?

    Ok su tutto…..

    Caro Pietro, è confuso il suo commento; non so cosa vuole trasmettermi.
    Visto che è d’accordo su tutto ,ossia sul modello apostolico della prima Ekklesia,
    le suggerisco di Ravvedersi, e di cercare IL Signore Cristo in una relazione che le produrrà, perdono, salvezza, redenzione gioia, pace, e Riconciliazione col Padre, e questo la spingerà ad essere discepolo e testimone di Cristo IL Signore.
    Infatti il passo del vangelo di Giovanni 3…, prosegue:
    17 Dio infatti non ha mandato il proprio Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma affinché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18 Chi crede in lui non è condannato, ma chi non crede è già condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
    Stia bene

  3. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    Ok su tutto.
    Piccola? Differenza.
    Io tendo ad ignorare il Cornuto.
    Quindi anche il peccato.
    Con Gesù duc in altum, in positivo.
    Dubito molto che Lui sarebbe contento di Persone accablės, ripiegate sul “peccato”.
    Gesù è Gioia.
    Oggi Giovanni 12
    Non sino venuto per . Ecc ecc

  4. Luigi Autiero ha detto:

    Caro Pietro, ciò che “è scritto”, è che “Gv. 3, 16 Poiché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna”.
    Dunque quel “credere” implica Ravvedimento e relazione col Figlio di D-o; vita pratica; essere discepoli del Signore Cristo.
    La fede in Cristo, non è religiosità sterile, ma quella relazione….
    Non è semplicemente , essere parte di una confessione, ma una vera relazione intima, col Salvatore, dove l’anima ne sente IL Frutto che la trasforma;
    si sente arricchita dei doni del Cielo, anche con pochi soldi in tasca.
    Veda la prima Ekklesia.
    Pietro caro, siamo adulti, e ognuno sa, se serve IL Signore Cristo, oppure il peccato…;
    sa se l’anima sua è viva o è morta ,anche con una etichetta religiosa che sia..
    La saluto

  5. Luigi Autiero ha detto:

    Mentre, quando si ha la mente di Cristo; si è lavati dalle brutture del peccato, e non si serve più il peccato che piace, e che produce morte.
    La vera fede è relazione, non religiosità sterile, dove ognuno torna ai suoi affari e alla sua vita mondana.
    L’adesione religiosa è fine a se stessa.
    L’anima deve essere cibata , e il cibo non passa per le viscere , ma dal cuore, attraverso quella relazione quotidiana col Figlio di D-o.
    Senza questa , l’anima colma di brutture del peccato, è triste, infelice, depressa, morta se pur vive nella carne,
    quando è redenta, è felice, gioiosa e sente la Gioia di D-o.
    Ecco il termometro per misurare se si è pecore o capri; religiosi oppure Suoi discepoli.
    La saluto

  6. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    Luigi Autiero scrive:
    ———
    Nessuna adesione religiosa salva.
    IL nostro nome deve essere scritto nel libro della Vita e non in quello di una confessione religiosa che sia.
    ———
    Se ben ricordo lei era di area protestante.
    Ma mi pare non sia ancora chiaro se “sta svritto” o dipende dalle mie azioni oppure dalla mia relazione con Dio

    • Luigi Autiero ha detto:

      Esimio Pietro
      L’adesione religiosa è fine a se stessa, e non è questa che fa la differenza.
      La relazione fatta con un cuore che sa di essere un peccatore “”seppur brava persona”” col Figlio di D-o, e che sa che, per la sua redenzione-riconciliazione, IL Figlio ha versato il Suo sangue…, lo spinge a ravvedimento a conversione, a prendere posizione e non ad essere partecipe di sterili liturgie.
      D-o ascolta il cuore.
      Quando avviene la nuova nascita “di cui il Signore parla a Nicodemo” per la fede in LUI , questa produce opere di Giustizia “che non sono da noi ma da D-o Efesini 2..”,
      segue

  7. Luigi Autiero ha detto:

    Segue
    Le relazioni con defunti ,che tanti hanno, che si creda che abbiano servito IL Signore è idolatria;
    questo recita il testo sacro, e tanti sono quelli che invece di relazionarsi col Figlio di D-o, innalzano le loro recite a defunti “cosiddetti mediatori”.
    E religiosità idolatrica sterile questa, da LUI sconosciuti.
    Per essere parte del Suo gregge, occorre invocare il Suo Nome, chiederGLI di essere salvati, redenti, Riconciliati col Padre Suo.
    Saluti

  8. Luigi Autiero ha detto:

    A mio avviso il problema è un altro; ossia è Il peccato che piace,
    e si perde di vista il vero problema che la perdizione eterna.
    Occorre prendere coscienza che si è peccatori, che IL Salvatore e venuto e chiama tutti a Ravvedersi, e ad essere salvati.
    Nessuna adesione religiosa salva.
    IL nostro nome deve essere scritto nel libro della Vita e non in quello di una confessione religiosa che sia.
    Occorre poi prendere posizione; credere in LUI; credere nel Suo Nome, e farsi lavare dal Suo Prezioso sangue , non sterile liturgia senza LO Spirito.
    Questa è la fede Vera, relazione col Signore Cristo; senza si è morti nei propri peccati.
    Il resto è religiosità ,individualismo, referenzialità, iniquità.
    Preghiere recitate…, quelle non si alzano dal pavimento; occorre Ravvedimento, conversione al Signore Cristo.
    Segue

  9. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    Molto facile lanciare pietre….
    Forse una rivisitazione del passo sulla pecorella sperduta…
    Forse chiedersi perché quella pecorella non è tornata all’ovile..
    Forse i preti pedofili??
    Forse i preti sposati a Mammona??
    Forse i preti che predicano ma razzolano…
    Forse le ipocrisie della Chiesa?
    Forse la Storia della Chiesa?
    Forse le pecore erano analfabete?
    Forse hanno cambiato il loro stato socio- economico?
    Tutte domande che chiunque fosse mosso da sincera ricerca della Verità e non semplicemente da sparare addosso al Papa….. Che pena!!

  10. Gian Piero Del Bono ha detto:

    Nessuno puo’ strappargli le pecore certo , ma sono le pecore stesse che oggi decidono di non seguire Gesu’. Nessuno riflette mai nella Chiesa sul calo spaventoso non solo di vocazioni, ma di fedeli praticanti o semplicemente di credenti . Nelle nuove generazioni calo dei credenti in Gesu’ raggiunge l’ abissò. Se una pecora su due o addirittura nove pecore su dieci non seguono piu’ la voce del pastore ci sarà ‘ un motivo ? Sono cambiate le pecore? E’ cambiato il Pastore? Il Pastore chiama ma le pecore non riconoscono piu’ la sua voce ? Il Pastore non chiama piu’ ? Chi e’ chiamato fa finta di non sentire?
    Nessuno puo’ strappargli le pecore, ma sono le pecore stesse che disertano il gregge e alla fine non ne rimase nessuna…..
    http://www.catholic-hierarchy.org/orders2022.pdf

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