V domenica di Pasqua: Gv 15,1-8
LA VENDEMMIA (primo quarto del XIII sec., Chartres, Cattedrale di Notre-Dame)
Lui la vite e noi i tralci: ancora una volta il Signore parla di sé per mezzo di una metafora. Che, non essendo semplice da rendere, è raffigurata poco e in modo poco felice. Con un Cristo che pare appollaiato su un albero (in alcune icone russe) oppure che, diramandosi a partire dalle mani, viene a somigliare all’Uomo Ragno: da quello di Lorenzo Lotto (nella Cappella Suardi, a Trescore Balneario) fino a quello di Bruno Ceccobelli (nel Lezionario della Chiesa cattolica italiana), tutti i tentativi portano ad ammettere che, in questo caso, la figura retorica funziona meglio a parole.
Ragion per cui – dovendo far ricorso a un’opera d’arte – è preferibile attingere al lavoro agreste (un tema che, fra XII e XIII secolo, con la scusa di celebrare i mesi dell’anno, ha fatto irruzione nelle nostre chiese)… e, in particolare, a un’immagine di raccolta dell’uva.
Se infatti, in alcune parabole, la vigna è presente come sfondo, stavolta è in scena da protagonista. Perché Gesù si identifica con la vite, aggiungendo d’essere «la vite vera», mentre assegna al Padre il ruolo dell’agricoltore e ai suoi quello dei tralci. Ciò per dire l’impossibilità di portare frutto da soli e, insieme, la grande opportunità di farlo rimanendo uniti a lui (nei primi dieci versetti, si usa il verbo rimanere per dieci volte).
Volendo andare fuor di metafora, è facile immaginare in che cosa consista – in assenza di frutti – il taglio dei rami secchi, come pure – in presenza di frutti – la potatura dei tralci. È più consolante uno sguardo prolungato sui vendemmiatori, per avere la conferma di quanto sia bella la gioia di dare frutti in abbondanza (e di quanto sia brutta la sterilità).