VI domenica del tempo ordinario: Mc 1,40-45
LA PURIFICAZIONE DEL LEBBROSO (dal Codex Egberti, 980-993, Treviri, Biblioteca Nazionale)
È forte il salto tra la suocera di Pietro e il lebbroso, come passare dall’influenza all’Aids. Ed è duplice il miracolo che Gesù regala a questo walking dead (morto che cammina), simile a tanti – homeless, migranti, poveri – che si vorrebbe non vedere nelle nostre città perché «nuocciono al decoro».
L’ostracismo è ciò che patisce il lebbroso del Vangelo, in aggiunta alla malattia. Per questo, nella sua richiesta d’essere purificato, c’è il desiderio di guarire assieme a quello di non essere più uno scomunicato. Per essere finalmente parte di una comunità e poter camminare senza paura, da uomo libero, non confinato in periferia né costretto a segnalare la propria presenza.
Il valore aggiunto di questa miniatura ottoniana, realizzata nello scriptorium dell’Abbazia di Reichenau per l’Arcivescovo Egberto, è la presenza dello strumento – il corno (a volte una campanella) – con cui tali malati avevano l’obbligo di annunciarsi, per consentire agli altri di prendere le distanze ed evitare il contagio.
Nel racconto del faccia a faccia con il lebbroso (che è anche un toccare con mano), una traduzione coraggiosa mostra Gesù assai adirato nel momento in cui lo invita a «non dire niente a nessuno» e ad adempiere alla legge (quella per cui deve essere il sacerdote a dare il “via libera” a chi è guarito). Forse l’indignazione nasce pure dall’ingiustizia dell’esclusione. E viene persino il sospetto che, stavolta, il Signore possa aver chiesto il silenzio come ribellione all’imposizione di autodenunciarsi. Magari Gesù vorrebbe vedere in altri il gesto – questo, sì, strabiliante – di far sentire a ogni fratello d’essere in famiglia, non d’averne paura. Vedere qualcuno che cominci a credere nei miracoli dell’amore, anziché aspettare sempre quelli di Gesù.