Eccolo!

Perché la Chiesa insiste così tanto nel riproporre la figura di Giovanni Battista in queste liturgie domenicali di inizio anno?
15 Gennaio 2023

Il brano del Vangelo di questa domenica si ricollega strettamente a quello di domenica scorsa e l’insistenza con cui la liturgia ci vuole parlare di Giovanni il Battista dovrebbe destare in noi delle domande.

Dalla memoria di una mia lettura giovanile emerge una citazione di Romano Guardini che di Giovanni dice, accostandolo ai più grandi profeti, “nulla per sé; tutto a disposizione della forza che li guidava orientandoli verso la misteriosa direzione divina operante nel popolo” – ed ancora “tra i profeti annunzianti il Messia egli è colui che può dire: Eccolo lì”.

Noi siamo nella stessa condizione del Battista perché ancora dopo duemila anni noi possiamo dire al mondo “Eccolo lì”.

Questa è la grandezza e al tempo stesso l’enorme responsabilità di ogni seguace di Gesù, che dovrebbe avere il centro della propria fede e la ragione della propria testimonianza nella certezza della presenza costante del Signore nella storia.

Questo è dunque il motivo per il quale la madre Chiesa ci vuole ricordare costantemente, attraverso la riproposizione della figura del Battista nella liturgia, il nostro compito di annunciatori della persona di Gesù.

Come è successo a Giovanni anche a noi spetta il compito di testimoniare, cioè non di fare gli speaker del racconto di una storia, ma di attestare ciò che abbiamo visto e udito, anzi, nel caso nostro, ciò udiamo e vediamo continuamente. Anche se, a volte, i falsi sensi di pudore, la paura di compromettere troppo la propria immagine o il senso di inadeguatezza rispetto all’importanza del compito possono impedire di esternare ciò che c’è di più importante nella testimonianza – che non è la conoscenza ma è l’esperienza spirituale della relazione con Gesù.

Giovanni fu testimone e però non scrisse un libro, come fecero altri profeti, ma si limitò a riferire ai suoi contemporanei di aver visto Gesù nell’umiliazione della Sua discesa nel Giordano e di aver contemporaneamente ascoltato la voce di Dio Padre che certificava al mondo che quello era Suo Figlio.

Per questa divina testimonianza, a noi che siamo venuti sulla terra dopo la nascita di Gesù occorrono certamente le parole, perché attraverso esse esprimiamo i sentimenti e la fede del nostro cuore, ma serve soprattutto l’impegno di vivere come Lui ci ha insegnato per fornire l’esempio.

Ciò che ci viene anche proposto, attraverso l’esperienza di Giovanni, è che la testimonianza (definibile anche profezia) non è soltanto “a favore” di Colui che si annuncia, ma quasi sempre è anche contro ciò che vi si oppone – e Lui questo lo visse sulla propria pelle con il carcere e la condanna a morte. Infatti la testimonianza non è quasi mai un compito facile, perché anche quando abbiamo la percezione che ciò che testimoniamo non provenga direttamente da noi, ma che noi siamo umili portavoce di qualcosa che ci viene sussurrato dallo Spirito, il mondo attorno a noi, anche quello dei “buoni cristiani”, tende a guardarci con sospetto, perché pensa che non siamo sufficientemente “titolati” per riferire quella voce interiore che ci parla.

Ma la testimonianza ha anche altri aspetti di sofferenza perché, data la nostra fragilità, non sempre è confortata dalla certezza, ma qualche volta è soggetta al dubbio, cioè allo “scandalo” di quel “messaggio controcorrente” di Gesù che molte volte non riusciamo a comprendere come armonizzare con i nostri criteri umani – e questo ci manda in crisi.

Pertanto -anche se non in senso letterale- spetta anche a noi, come a Giovanni, l’oscurità del “carcere” da cui lanciamo un grido di aiuto a Gesù perché ci illumini e Lui, rispondendoci appropriatamente, ci ricorda dove si trova la vera beatitudine con il Suo messaggio “beato chi non si scandalizza di me”.

Quindi la testimonianza è una beatitudine che si conquista a caro prezzo, perché per essere autorevoli testimoni bisogna accettare per noi stessi che “il seme sia nascosto sotto terra”, affinché possa successivamente germogliare e dare frutti. E noi, generalmente, non siamo molto propensi ad accettare questa personale “umiliazione”, perché a volte, anche tramite la testimonianza, cerchiamo di trovare una qualche forma di “visibilità” religiosa che ci faccia sentire migliori.

 

Una risposta a “Eccolo!”

  1. Pierangelo Leone ha detto:

    Condivido. La testimonianza è sempre fragile. Nessuno è autorevole. Se viene fatta per cercare visibilità è contro testimonianza.

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