Si può essere cristiani senza slancio?

«Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!»
14 Ottobre 2018

XXVIII domenica del tempo ordinario: Mc 10,17-30

CRISTO E IL GIOVANE RICCO (Heinrich Hofmann, 1889, New York, Riverside Church)

 

Nel volto, e soprattutto nella mano tirata indietro, si legge il dramma del giovane ricco: crede d’aver superato brillantemente l’esame del buon cristiano, d’essere irreprensibile dal punto di vista del rispetto delle regole… e poi inciampa all’ultimo gradino, scoprendo d’essere troppo pesante per slanciarsi verso Dio e verso gli altri.

Chi è zavorrato dai beni, spesso non coglie che sono loro a impedire le relazioni, sia con Dio che con gli uomini, e che liberandosi delle cose si riacquista agilità: quella che consente di aprirsi, di donare e di ricevere, di perdonare e di essere perdonati. Anche le privazioni del tempo quaresimale non servono che a questo, altrimenti sono esercizi inutili (e stupidi: sarebbe come inventarsi di parlare senza usare la lettera “e”, di dipingere senza il giallo, di camminare su una gamba sola…).

Solo se si tengono d’occhio, col Padre, i fratelli (indicati da Gesù, nel quadro), si capisce che il cristianesimo è qualcos’altro rispetto a un elenco di cose da fare e da non fare. E il cristiano non è l’impiegato modello che – per un padrone – ha da eseguire il lavoro a puntino: ma uno che – per il Padre e per i fratelli – ha prima di tutto un trasporto. Lo stesso che Gesù ha per il giovane, quando lo fissa con amore.

Se il giovane non corrisponde allo sguardo di Gesù, è perché preferisce le proprie fissazioni: lui va in cerca della ricetta che lo faccia star bene, che gli dia la sicurezza d’essere «un cristiano a posto», «a modo», «perbene». Ma cercare il proprio bene non vuol dire essere per il bene: c’è un bene altrui in attesa che gli si dia forma e «ogni uomo è colpevole di tutto il bene che non ha fatto» (lo diceva il laico Voltaire).

Non ci si può tirare indietro davanti ai fratelli. E c’è bisogno, nella misura più alta, di generosità e di gratuità: due qualità che non possono dare sicurezza perché sono spericolate, esagerate e – come l’amore e l’amicizia – esistono solo se vissute con passione. Chissà se colui che ha donato quest’opera alla chiesa newyorkese, John D. Rockefeller jr., ha capito la differenza tra fare il bene e fare beneficenza…

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