Le letture si aprono con un’espressione straordinariamente efficace “qui s’infrangerà l’orgoglio delle tue onde.” Onde orgogliose, per dire indomabili. Qui sulla costa pugliese capita di vedere qualcosa di queste grandi tempeste; ci è ben noto, invece, il lavorio incessante del mare che erode, talvolta schiaffeggia, le opere dell’uomo. In proposito possiamo osservare che l’aggettivo orgoglioso è straordinariamente evocativo. Orgogliose sono le onde che sfidano il Creatore onnipotente, ma orgoglioso è anche l’atteggiamento dell’uomo che dai primordi della civiltà sfida le onde. Si affronta il mare per sete di avventura e conoscenza, come nelle grandi epopee; si affronta il mare, con i suoi pericoli, per portare il pane a casa. Talvolta, dunque, basta una parola per riconoscere che la Parola di Dio parla di noi.
Questa sinfonia del mare, nella prima lettura e nel salmo, ci prepara al brano evangelico della tempesta sedata. Leggendo questo brano è difficile non tornare all’ultima volta che lo abbiamo ascoltato insieme. Eravamo tutti a San Pietro, il 27 marzo dell’anno scorso, per il “Momento straordinario di preghiera in tempo di epidemia”. Il papa che bacia il Crocifisso rigato dalla pioggia, la benedizione con l’Eucaristia sulla città e sul mondo intero. Oggi qui in Italia possiamo sperare che il peggio sia passato: un’intensa campagna vaccinale consente di tenere sotto controllo il diffondersi del contagio e la gravità della malattia. Presi dall’umanissimo desiderio di tornare ad una vita normale, possiamo ammettere che a molti di noi mancano notizie dei fratelli che rimasti sulla barca che probabilmente affronta ancora la tempesta; ci accontentiamo di aver trovato noi una buona scialuppa per riprendere la navigazione in sicurezza. Evidentemente quando si affrontano questi discorsi il rischio della retorica moraleggiante è incombente; ma ciò non toglie che il ricordo della disparità tra fratelli rispetto alla pandemia non può essere messo da parte; fratelli con fortune diverse nell’orizzonte planetario, fratelli con destini diversi qui nella stessa Italia.
«Maestro, non t’importa che siamo perduti?» Di primo acchito si rimane sopresi da quel tono di rimprovero «non t’importa?» da parte dei discepoli. Spigolando, come mio solito, su cose minori, rimango sorpreso da quel vocativo, «Maestro», che a me sembra decisamente fuori luogo. Lo chiamano «Maestro» nel momento della tempesta. Ma cosa può fare un maestro mentre infuriano le onde e la barca è ormai allagata? Il maestro può insegnare a prendere la rotta giusta, a navigare anche con venti contrari, a venir fuori dalle secche o a vincere la deriva. Ma nella tempesta no, un maestro non basta.
Evidentemente si affidano al maestro perché in cuor loro sanno che Gesù è più di un maestro. Del resto, una volta sedata la tempesta, le parole successive di Gesù e dei discepoli fanno luce sul punto. Gesù rimprovera di non avere ancora fede e, ovviamente, ha colto nel segno. Infatti, tra i discepoli risuona quella domanda: chi è dunque costui? È una domanda ricorrente nei vangeli, in Marco in particolare. Fino alla confessione di Pietro a Cesarea di Filippo: “Tu sei il Cristo”. Fino alla confessione del Centurione ai piedi della croce: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!”. Altri celebri versetti, dal vangelo di Giovanni, fanno luce su ciò che nel brano letto oggi è ancora immaturo: Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, … Nel passo di oggi sembra che ci sia ancora solo il Maestro.
Questo scarto lessicale tra Maestro e Signore, magari è fuori tema, ma continua a sembrarmi un punto di particolare interesse, sotto molteplici profili.
Sotto il profilo personale è tutt’altro che scontato riconoscere Gesù come maestro, assumere come regola di vita ciò che lui propone, assumere la sua vita per gli altri come modello; ma riconoscerlo Signore è un passo decisamente più impegnativo. Siamo costretti a interrogarci sulle nostre convinzioni più profonde e siamo al cuore della fede. Riconoscere Gesù come Signore significa riconoscere che c’è una presenza viva che tiene la trama dei nostri giorni, delle nostre storie, del nostro destino oltre quello che riusciamo a vedere. Molto spesso siamo così impegnati a vivere credendo di bastare a noi stessi che ce lo dimentichiamo.
Lo stesso tipo di salto si registra se dovessimo parlare agli altri della nostra fede in Gesù. Credo che molti di noi lo presenterebbero anzitutto come il Maestro, maestro con la vita oltre che con le parole, di altissima levatura, ma semplicemente maestro. E sono sicuro che sono in tanti a subire la fascinazione del maestro, anche declinato laicamente. Confessare “Gesù è il Signore” è decisamente qualcosa di più intimo e al tempo stesso scomodo. Da adulti, infatti, abbiamo giustamente imparato a fare a meno dei signori (salvo poi continuare a cadere in dipendenze vecchie e nuove).
Le cose si complicano ulteriormente se pensiamo anche alla Chiesa. Il titolo di maestro, che credenti e non possono attribuire a Gesù senza troppe difficoltà, non si trasferisce in automatico alla Chiesa. Anzi la “Chiesa maestra” penso che provochi qualche forma di insofferenza. Probabilmente lo scarto della nostra fede, tra Maestro e Signore, influenza anche il modo in cui ci rapportiamo ai nostri fratelli, dentro e fuori la comunità ecclesiale. Se Gesù è prevalente maestro forse enfatizzeremo l’approccio dottrinale, lasciando in secondo piano qualcosa; molto probabilmente questo aspetto meriterebbe ulteriori approfondimenti.
Rimane, infine, un dubbio: cosa vuol dire che i discepoli “lo presero con sé, così com’era”? Possiamo sperare che anche in questo caso la Parola, in realtà, parli di noi. Noi prendiamo Gesù per quello che riusciamo a comprenderlo. Lui ci prende così come ci siamo, e ci concede, passando per qualche tempesta, il tempo per riconoscerlo, come Maestro e come Signore.
Leggendo la postilla, sull’acqua di Lordes, aggiungo:
È sempre la Fede che salva; il miracolo è un varco, un’apertura nella coscienza, da dove passa così più Luce, è una nuova vibrazione che alleggerisce l’anima, liberandola dei suoi pesi, e possono esserci luoghi o situazioni che facilitano questo nostro stato di apertura.
Il Maestro che dorme, ancora una volta, è la nostra coscienza addormentata, che non sente ancora in sé la Presenza del Cristo; il miracolo è possibile solo se ci accordiamo a quella Presenza, se la sentiamo e la accogliamo dentro di noi tutta intera, ma non è facile, richiede tempo, come ogni metamorfosi e rivoluzione interiore .. Il dramma dell’uomo moderno, è pensare che tenendo i piedi ben saldi per terra, si sia più saggi e uomini di ragione, in verità ci si sta solo tarpando le ali, ..riprendendo la metafora, se il bruco non ammettesse e non comprendesse in sé la possibilità di diventare farfalla, forse non imparerebbe mai a volare. ..
Il Maestro mostra la Via, il Cristo è la Via stessa innata in noi.
È la nostra coscienza di Lui che dorme, che dobbiamo invece risvegliare, ed è grazie ad Essa che impariamo a superare le inevitabili tempeste, ridiventando semplici come un bambino, che andando incontro alla vita, non si ferma per la paura di sbucciarsi un ginocchio..
Certo ci vuole Fede, dove Fede è anche più che credere a qualcosa che un maestro indica di esterno a noi, è la nostra destinazione percepita nel profondo, come l’adulto è già nel bambino, o la farfalla nel bruco..
Mah, sembra voglia il Maestro dare lezione ma aspettando che è se noi capiamo da soli il perché lui dorme nella tempesta mentre gli uomini suoi discepoli sono agitati e impauriti…Forse non credono ancora che Lui è Colui che è?, altrimenti se ne starebbero tranquilli fidandosi della sola sua presenza anche se dormiente? Ci interroga noi oggi questa P. quanto anche noi crediamo, se avremmo la stessa reazione circa un cataclisma che ci sovrasti.Chiesa ha mobilitato e Ci ha offerto ogni possibilità a pregare per una fine. Di questa pandemia. Siamo inclini a ringraziare medici e ricercatori per i vaccini, quanto va il nostro grazie anche a Dio? Si tratta di Fede… Forse è difficile umanamente capire l’amore che vede e tolleri l’esistenza di certo dolore che ci troviamo a subire, e magari preghiamo con fiducia pur sembrando anche a noi un Dio sordo, non vedendo miracolo come gli apostoli si ricade nella sfiducia.
Per chi cerca, ed io sono di quelli, qui c’è la risposta alla ? Sul male INNOCENTE
La Fede.
Mi viene dentro quel Salmo…
Come un bimb….
Davvero scompare ogni onda, ogni mare in tempesta, ogni cosa/persona che ci manca.
SE ci sei TU.
Ci sono brani destinati a far riflettere generazioni di esegeti e questo della tempesta sedata è uno di quelli.
Un brano che mette in contrapposizione l’atteggiamento del Maestro che dorme in mezzo agli eventi avversi e dei discepoli impauriti che vedono l’infuriarsi delle onde travolgerli.
Non tutto può essere condotto dalla superbia della nostra mente ma molto può essere risolto dalla nostra fede.
La fede è la misura del nostro vivere che ci porta ad affidare a Dio ciò che non possiamo risolvere da noi stessi.
La fede sposta le montagne, placa una tempesta, ottiene tutto!