Chi è che dà la sveglia?

«Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli»
25 Giugno 2017

XII domenica del tempo ordinario: Mt 10,26-33

IL RINNEGAMENTO DI PIETRO (prima metà del XIII secolo, Benevento, porte bronzee della Cattedrale)

 

Con i passerotti del Vangelo odierno (e dopo la colomba e il pellicano delle settimane scorse), un altro pennuto su cui meditare è il gallo. Iniziando dal ricordo di una sbandata, occorsa nientemeno che al leader degli apostoli. Proprio a quello che, per ironia della sorte, era soprannominato “Roccia” e poi s’è dimostrato poco saldo.

Ciò per dire che può succedere a chiunque d’essere vittima del demone della separazione: quello che mina la stima, instilla sfiducia e fa credere d’essere tanto più liberi quanto più sciolti.

Vale pure con Gesù: riconoscerlo, finché le cose vanno bene e c’è il sole, non è difficile. Poi arriva una giornata no, in cui gira tutto storto, in cui basta un grande freddo a farci sentire abbandonati. E a farci cadere, a nostra volta, nella tentazione di abbandonare, di lasciare, di sconfessare. Persino un grande amico, uno di cui si sono condivise la vita e le idee… di punto in bianco si finge di non conoscerlo.

La serataccia di Pietro è nel segno del gallo solo per la premonizione di Gesù. Sebbene non sia tra gli animali che cambiano aspetto con il luogo e con il tempo, ha il triste destino d’essere accostato al rinnegamento, diventandone simbolo suo malgrado. E il fatto che venga posto in cima ai campanili, a mo’ di banderuola segnavento, quella che muta posizione secondo l’aria che tira, conferma il pregiudizio negativo nei suoi confronti. Ve n’era uno – peraltro immobile, in quanto assai pesante – pure sull’antica Basilica di San Pietro, ora conservato nel Museo del Tesoro.

Per rendere il gallo visibile, la tradizione lo colloca quasi sempre in alto, su un trespolo o su una colonna. E lo annovera – accanto alla croce – tra i simboli della Passione, in mezzo agli strumenti di offesa (i flagelli e la colonna, gli sputi, la corona di spine, i chiodi e il martello, la lancia, il titolo con la scritta INRI) e alle altre immagini della via dolorosa (la tunica di Gesù e i dadi dei soldati, la canna di issopo con la spugna imbevuta di aceto, le tenaglie per levare i chiodi, la scala per la deposizione…).

È giustamente innalzato, l’animale, perché col rinnegamento non ha nulla a che spartire, avendo solo scosso Pietro da cattivi pensieri. Potrebbe diventare simbolo addirittura del cristiano: di colui, cioè, che riconosce la luce e, col proprio canto, dà la sveglia a chi dorme («Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze»). Non solo non ci si deve vergognare del Vangelo (Rom 1,16): c’è da essere orgogliosi di portarlo in palmo di mano, senza paura.

 

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