ANNO C – I DOMENICA DI AVVENTO – Lc 21, 25-28.34-36
Il nuovo anno liturgico comincia oggi con la preparazione al Natale, cioè il tempo di Avvento. In questa prima domenica ci viene consegnato il testo di Lc 21. Un testo apocalittico, parallelo a Mc 13, già celebrato 15 giorni fa. Ma Luca e Marco hanno due interpretazioni diverse della cosidetta “venuta di Cristo”. Lc sottolinea soprattutto le reazioni degli uomini a questo evento, e ci mostra come queste reazioni possano consentire di accogliere o meno Gesù che viene. Sono essenzialmente tre gli atteggiamenti descritti da Lc.
Il primo appartiene a tutti, a tutte le “etnie” (“popoli” del v. 25) e a tutta “la terra abitata” (“mondo” del v. 26).
Ad indicare la venuta “imminente” di Cristo sono descritti degli effetti, percepiti come “segni” (v. 25), che si mostrano negli elementi naturali: sole, luna, stelle, mare (v. 25) e cielo (v.26). C’è un’altissima probabilità che Lc non voglia indicare qui segni “reali” di quegli elementi, ma, nel linguaggio apocalittico, suggerire che l’ordine “stabile” delle dinamiche della realtà, prima dell’avvento di Cristo, manderà segnali del suo cambiamento. Segni, però, che sono avvertiti dalle persone come un “presentimento” tragico, come un cambiamento che “scuote” (“flutti” v. 25) potentemente il mare (la dinamica fluida della vita) e “le potenze dei cieli” (v. 26), cioè le dinamiche di fondo che presiedono alla vita. Segni che fanno ritenere imminente la fine del fondamento stabile della realtà, di ciò che finora è stato e che poteva anche venir dato per immodificabile.
Questa interpretazione genera nelle persone la “paura” di ciò che deve accadere (v. 26), il senso di “blocco” e di “impotenza” (“difficoltà” del v. 25) a decidere, perché i riferimenti non sono più stabili e tutto diventa incerto, producendo il “restringimento del cuore” (“angoscia” del v. 25), cioè il tentativo di chiudersi, per proteggersi e salvarsi, ma che di fatto, invece, provoca la “perdita dell’anima” (“moriranno” del v. 26) e la percezione che la fine sarà una “trappola” (“laccio” v. 36).
Appare fin troppo facile accostare a questa descrizione il sentire comune, diffuso oggi in molte parti del mondo, di un cambiamento epocale in atto che sconvolge l’ordine stabile delle cose e costringe tutti a non sentirsi più tranquilli, a non sapere più cosa fare e a cercare di chiudersi per salvarsi, perché non è più sicuro che stiamo camminando verso una rinascita e cominciamo ad immaginare che la fine “tradirà” la bellezza della vita.
Ma questo non apre le porte all’idea che siamo alla fine del mondo. Lc parla alla sua comunità facendo riferimento, quasi certamente, ai cambiamenti negli anni immediatamente successivi al 70 d.c. e a come questi siano percepiti dai cristiani di allora come una “rivoluzione” totale. Allo stesso modo possiamo leggere questo brano come l’annuncio di una “rivoluzione” radicale dell’essere dell’uomo nel mondo di oggi, della sua stessa natura, delle sue relazioni con gli altri, del suo rapporto con il creato, con le inevitabili paure, impotenze e smarrimenti, ma soprattutto con il dolore e la violenza connessi, ma senza necessariamente immaginare la fine del mondo, bensì una svolta radicale nel mondo.
Il cristiano che vive nel mondo non può semplicemente essere fuori da queste percezioni, perchè esse sono il preludio alla venuta di Cristo, al Natale, alla sua ennesima (ri)nascita nel mondo. Lc ci dice, perciò che di fronte allo sconvolgimento del mondo siamo autorizzati e chiamati a sentire queste emozioni negative, condividendole con i nostri fratelli, qualsiasi sia la loro posizione religiosa. E a non ipotizzare che la venuta di Cristo si manifesti nel credente come antidoto a queste reazioni, come se la fede ci immunizzasse dall’essere nel mondo e da questo sentire. Sotto questo aspetto prepararsi al Natale significa essere davvero contemporanei, vivendo quello che questo tempo ci consegna, senza volerlo mistificare, occultare o giudicare.
Il secondo è relativo a chi sta “seduto” (“abitano” v. 35) sulla terra.
A fronte di questa percezione emotiva di tutti gli uomini, Lc mostra come la realtà di per sé non definisca per forza una sola reazione obbligatoria. Come sempre, nel gioco infinito di interpretazione dei dati, ci possono essere diverse reazioni.
La prima è quella di essere “seduti sulla terra” (v. 35), che significa vivere ad una sola “dimensione”, quella terrena, quella che riduce l’orizzonte di salvezza solo alle possibilità offerte da questa realtà. In due forme. La prima, cercando di spegnere la percezione di quella paura attraverso gli interruttori chimici (“vino” v. 34), per distogliere l’attenzione emotiva da ciò che non si riesce a sopportare. La seconda, facendosi catturare dall’“ansia del controllo” (“preoccupazioni” del v. 34) che mantiene aperta la ricerca disperata di riferimenti anche quando questi sono impossibili, come estremo tentativo di non volersi lasciare andare alla realtà.
In un caso come nell’altro, Lc ci dice che si tratta di armi di distrazione di massa. Per non sentire più il dramma di una “fine” percepita imminente ci riempiamo di altro che ci sembra, al momento, più proficuo, più utile, ma di fatto produce la “pesantezza” del cuore (v. 34), cioè il fatto che la nostra coscienza inizi a vedere possibilità di salvezza, solo a livello terreno, solo nei limiti delle possibilità umane, senza poter più “alzare lo sguardo”.
Anche qui, appare davvero troppo semplice, ma non meno vero, l’accostamento di questa modalità a tante persone che si “stordiscono” con qualsiasi esperienza che generi emozioni o che si “incaponiscono” a voler gestire la realtà, per non sentire l’angoscia del vivere e del poter morire, e che finiscono per fare la fortuna del mercato globale, con la conseguenza di non riuscire più a considerare sé stessi davvero come esseri umani.
Il terzo è relativo ai discepoli.
Lc suggerisce che il discepolo ha la possibilità di reagire a quella paura di tutti, a modo proprio. Con tre indicazioni precise. Intanto, nell’apparire di quella paura, il credente può “drizzarsi e tirar su la testa” (v. 28). Dalla posizione solo orizzontale di chi si stordisce, di chi non alza lo sguardo oltre la realtà, il discepolo sa che il cielo è ancora aperto e vale la pena guardarlo, perché in esso appare la salvezza “in una nube, con potenza e gloria grande” (v. 27).
I greci avevano individuato, per definire l’uomo, la parola “antropos”: alla lettera essa significa un animale che sa guardare avanti e in alto. Il credente, quindi, non scappa davanti alla paura, la sente, ma non si fa dominare da essa e con coraggio non anestetizza il dolore e l’angoscia, e nemmeno prova a risolverli, proprio perchè vuole restare umano. Continua a guardare avanti e in alto, cioè guarda negli occhi queste emozioni e accetta di attraversarle nella fiducia che il mondo non può mai sfuggire alle mani di Dio.
Secondo. “Mettete attenzione a voi stessi per esservi vicini” (alla lettera “state attenti a voi stessi” del v. 34). Non ci viene chiesto di aumentare il controllo razionale e volontario sui propri comportamenti, producendo un atteggiamento disumano che sfinisce e blocca la vitalità, ma di ascoltare sé stessi, riconoscere le propri ferite interne e con amore abbracciarle (stare vicini a sè stessi). Questo genererà un comportamento sano, aperto alla salvezza, poichè ci renderà non “ipnotizzati” (“vigilate” del v. 36) dai messaggi e dalle pressioni esterne, perchè ascoltandoci nel profondo terremo aperto il canale con Dio, (“pregare in ogni tempo” del v. 36) proprio attraverso la connessione al proprio mondo interiore.
Terzo. L’effetto di questa postura sarà quello di aver forza adeguata per “non farsi imbrigliare dal cambiamento radicale” che sta avvenendo (v. 36) pur sentendolo e vivendolo, e di poter “stare nell’essere di fronte e verso” Il Figlio dell’uomo. (v. 36). Espressione densa che non indica la capacità di sopportare il suo eventuale giudizio, non è di questo che parla Lc, ma della capacità di continuare a seguire Cristo anche quando tutto cambia. Si tratta di una postura eretta e stabile generata dal fatto che continuamo a guardare “a lui”, con l’intenzione del cuore di essere “per Lui”.
Prepararsi al Natale, allora, deve avere questo colore, in cui il credente si può ritrovare coraggioso, aperto, solido, vivendo le tre “I” della fede: innamorato di Gesù, incarnato in questo tempo e intero, cioè senza lasciare fuori dalla fede nessuna parte di sè.
Stasera sono apocalittico?
Mi scappa su YT l’ultima intervista prima della morte a Jung.
” L’uomo è l’unico vero grande pericolo per la nostra sopravvivenza.”
e si mostra molto pessimista al riguardo. Come non essere d’accordo?
( in cambio x Jung la vita non finisce affatto con la morte)
PS. Imo Gesù non era affatto apocalittico serio ma allegro..
brani apocalittici sono infusi dovuto omaggio ad un modo
diffuso allora e adesso.
Seguito:
Le tenebre saranno preferite alla luce, e si troverà che la morte è più giovevole della vita. Più nessuno volgerà lo sguardo in alto verso il cielo. Colui che è religioso sarà considerato pazzo e l’empio saggio; …ecc L’anima. infatti, e tutti gli insegnamenti che la riguardano. secondo i quali essa o è nata immortale o confida di raggiungere l’immortalità, quegli insegnamenti che io ti ho rivelato, saranno considerati non solamente ridicoli. Ma addirittura inventati.
Nota: per mero caso…
Mia figlia va ad un incontro su alchimia, ne parlo col suo compagno scultore… Mi cita le statue che parlavano e mi fa il nome di Ermete Trismegisto. Approfondisco. Anche lui parla dell’UNO, soggetto dei miei studi attuali ( Faggin, Päs, padre Gamberini e molti altri…) che si rifanno alla quantistica..
Sì, solo che Ermete lo diceva 3000 anni fa! Approfondisco e trovo quanto riportato sopra.. IT?
Perchè piangi, o Asclepio? Di mali più dolorosi di questi dovrà fare esperienza l’Egitto ….La terra che un tempo era santa, amantissima di dio, la terra che era l’unica in cui, per merito della sua devozione. gli dei abitavano, la terra maestra di santità e di fede, sarà un esempio di totale incredulità. Nella loro pazzia, le genti di quel tempo non troveranno nel mondo niente che meriti maraviglia o adorazione. Tutto questo universo, che è cosa buona, di cui non c’è e non ci sarà cosa migliore, sarà distrutto. Sarà un peso per gli uomini. ed essi lo disprezzeranno. Non ammireranno tutto questo mondo, che è un’opera di dio superiore ad ogni paragone, una costruzione grandiosa, una meraviglia composta di forme di molteplice varietà, ecc
(segue)
Grazie Gilberto anche per la sensazione di salita che si prova durante la lettura partendo dalla tradizione natalizia per giungere ad una lettura moderna che conferma l’importanza della tradizione ovvero la stabilità della fede.
L’avvento può essere visto non solo come preparazione al natale ma anche come periodo a sé come preparazione alla nuova venuta di Cristo dopo l’incarnazione.
La fede incarnata ovvero la fede che è dentro la vita ed utile ad essa e non al contrario la vita utile alla fede, si manifesta quando essa ci salva di fronte all’ineludibile, a ciò che non si riesce a controllare con la ragione e che non si può nemmeno eludere con altri mezzi. La fede riconduce all’essere figli del padre dove la ragione conduce invece al voler essere che è minacciato nostro malgrado da ciò che non può derivare da questa volontà.
Grazie per questo commento davvero ricco di provocazioni contemporanee. Molto ben strutturato il contesto relazionale per “non lasciare fuori nessuna parte di sé “