La ‘liturgia’ di gesti e ossequi, cortei e lutti, cori e sbandieramenti, silenzi e sfilate seguita alla dipartita di Silvio Berlusconi ha mosso in me tanti pensieri e generato tante domande. In particolare, quanto abbiamo visto accadere in Duomo a Milano.
Anzitutto rispetto all’opportunità di dare la disponibilità della cattedrale, e forse anche all’opportunità per l’arcivescovo di esporsi in prima persona. Su tutto pesava forse il fatto che – rispetto al Cavaliere – la Chiesa italiana ha sempre un po’ giocato a nascondino, immagino per convenienze e timori e forse anche opportunismo (ma vale in genere per il rapporto politica-chiesa in Italia). Per il corrispettivo di un piatto di lenticchie – o due, tanto non fa differenza – buona parte del mondo ecclesiale italiano ha chiuso occhi e intelligenza davanti alle parole, ai gesti pubblici, alle scelte politiche di Berlusconi. Non mancano a tutt’oggi cattolici ed ecclesiastici che ne tessono le lodi.
Credo che l’arcivescovo Delpini – con la sua omelia e lo stile asciutto della celebrazione – abbia percorso l’unica strada percorribile, certo in coerenza con il suo stile, ma anche nella constatazione all’inutilità di rimproverare o ribadire o prender posizioni in morte. Ha dichiarato con il suo modo (non esplicito, discreto forse troppo, sapienziale e ‘poetico’) l’orizzonte di vita delle persone, lo stile di vita di Berlusconi, e ha ribadito l’unica cosa che (minimalisticamente? poco coraggiosamente?) occorre tenere presente: tra tutti i giudizi, tra tutte le vicende, tra tutte le conquiste, i fallimenti, le contraddizioni, alla fine tu ti trovi davanti a Dio come un uomo e basta. Certo, rimandare tutto a Dio è anche semplice.
Mi stupisce che nel testo della predica non ci sia una volta la parola Gesù Cristo. Forse – eccedo nella benevolenza – per semplificare il pensiero a chi non ha dimestichezza con il fatto cristiano… Mi stupisce anche l’assenza dei nomi dei figli, unico riferimento affettivo stabile nel tempo per l’uomo Silvio; Delpini è essenzialmente un uomo sapienziale, e magari non ci avrà pensato.
Complessivamente la Chiesa poteva dire o fare diversamente? Forse sì, ma non ho idea degli equilibri, delle richieste, delle pretese. Certo mi genera inquietudine e tristezza una Chiesa che non sa dire parole profetiche e scomode leggendo la realtà proprio alla luce della Parola. Scriviamo di parresìa e poi non ne siamo abitati. Peccato per quello che ha percepito la gente di fede e di intelligenza interiore, che forse attendeva un segno anche piccolo.
Sant’Ambrogio non fece entrare in chiesa l’imperatore Teodosio dopo la strage di Tessalonica. Era un altro tempo, un altro contesto, un altro modo di concepire la fede e la società. Ma anche oggi – nella misericordia che non condanna per sempre ma chiarisce e illumina – servirebbe uno sguardo e una parola che aiutano a ritrovare il filo di ciò che è bene e di ciò che bene – in particolare nella cosa pubblica – non è e non può essere. Almeno se affermi (o esibisci) un’appartenenza cristiana e se la fede non è semplicemente una scelta devozionalistica.
Berlusconi è davanti a Dio, la preghiera per lui si è levata, il suo tempo è compiuto.
Ora è meglio fare i conti con ciò che la Chiesa vuole dire e vuole essere, rispetto al Vangelo, nel devastato panorama sociale, politico e morale dell’Italia.
(ph di copertina fotogramma dalla diretta TV)
Visto che si tratta di un uomo che ha rivestito ruoli istituzionali, un Battezzato, un cittadino che ha lasciato opere importanti allo sviluppo economico del Paese, reso Milano centro e luogo di vita economica europea, il Duomo non poteva essergli precluso per le onoranze funebri dove tanto popolo trova spazio entro e antistante le sue mura. La Chiesa ha in esso il suo Tempio sacro, cuore pulsante della vita dei suoi cittadini, tutti, li in tale circostanza radunatisi a esprimere amicizia, gratitudine omaggio, da uomini, come ben ha sottolineato il il Capo della Chiesa milanese. Perché sollevare obiezioni, meglio un decoroso umano e civile saluto di commiato.
E dunque, o comunque, rimango molto grato a Delpini.
Per essersi accollato una croce in mondovisione.
Ma soprattutto per tutte le riflessioni che ha suscitato in me nei giorni successivi.
Che cosa è l’uomo? impastato di fragilità e debolezze, desideri della carne di cui dovrà rendere conto a Dio, nell’orizzonte della vita eterna.
Ma la comprensione della condizione umana nulla toglie al discorso della responsabilità nell’orizzonte della vita presente e, da cristiano aggiungo, alla possibilità che abbiamo di vivere da salvati in Cristo risorto (Tt 2,11-13). Questo discorso, ahimè, è rimasto tra i sottintesi.
Vivere e vita; vitalismo, aveva commentato in privato un mio amico.
Desiderare e desiderio, come espressione ricorrente, in un testo relativamente breve; era stata scelta una particolarmente scivolosa (il NT la riporta al plurale e in termini problematici). E giusto ieri Affinati parlava di “deflagrazione del desiderio”, rifererendola alla tragedia di Roma.
Ritratto crudo di fedeltà compromesse, riferimenti all’amore ricevuto come concessione e alle passioni precarie.
Contentezza senza troppi pensieri, appena bilanciata da echi dell’inquietudine di Agostino nei riferimenti alla gioia che irrimediabilmente si esaurisce.
Uomo d’affari che faceva anche politica, e non uomo di Stato.
Senza lodi e senza condanne, in empatia umana, così almeno poteva apparire. Uno slalom finissimo.
Apprezzo l’omelia semplice e chiara e non cerimoniosa del Vescovo di Milano. Siamo uomini tutti uguali davanti al Signore, come ho molto apprezzato ieri l’omelia del vescovo di Bologna ai funerali di Flavia Franzoni Prodi….certo la differenza e’ evidente, ma forse anche la conoscenza della persona era diversa. cfr https://www.chiesadibologna.it/wd-document/omelia-per-il-funerale-di-flavia-franzoni-prodi/ . Il giudizio a Dio, solo a lui!
Se e’ per questo il nome di Gesu’ Cristo compare poco o nulla anche nelle prediche e nelle manifestazioni in Vaticano, dove addirittura il meeting laico su Fratelli tutti ha oscurato la Festa solenne e religiosa del Corpus Domini,un tempo fulcro della devozione popolare .
Il nome di Gesu’ Cristo compare pochissimo o per niente nei documenti partoriti dal vertice della Chiesa cattolica ,forse per ragioni di ecumenismo e per non offendere i fratelli musulmani . Gesu’ Cristo e’ decisamente superato rispetto a temi alla moda quali l’ ecologismo, i migranti, i fratelli tutti, eccetera.
S.Ambrogio? No, non era un altro tempo.Luci ed ombre.
La sua lettera che invita a a fare cosa degli ebrei…
Così succede che anche invocare Gesú Cristo puó sembrare allusivo/divisivo..
Conosco Delpini da quando era Vicario x la mia zona. Dopo Martini difficile avere la statura.. ma cmq lo aveva scelto lui. Uomo umile, vicinissimo all’ uomo ‘comune’, allergico ai voli pindarici.. davvero non lo vedo rivestire il ruolo del Vendicatore.. Basta Dio.. e ne avanza!
PS quanto scorretto sarebbe stato affondare di fronte ai partecipanti alle esequie? No. Non era il suo ruolo. Dovrebbe essere il nostro. Vacante.
Ma anche no. Ci sono momenti e momenti. C’è un tempo per la “profezia” e un tempo per la “sapienza”. A mio parere Delpini ha detto tutto ciò che c’era evangelicamente da dire (e questo mi pare che rientri nell’esigenza di non venir meno alla “parresia”), ma in un momento così delicato per la vita della comunità civile, ci mancava che con le sue parole andasse a buttare benzina sul fuoco. Se nell’omelia avesse usato i toni propri del castigatore dei costumi, non sarebbe stato diverso da quei prelati che per anni si sono erti inflessibili in difesa dei “valori non negoziabili”. Delpini, invece, pur non tacendo nulla dell’uomo e ricordando apertamente anche a tutti i “potenti” presenti che nessuno è esente dal giudizio di Dio, è riuscito secondo me ad offrire un volto di Chiesa che sa mettere la carità anche al di sopra della parresia
Ambrogio non fece entrare in chiesa l’imperatore……Erano veramente altri tempi! Il perdono non può essere coniugato con l’apoteosi.